sabato 24 maggio 2014
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​Domenica 25 maggio si voterà soprattutto per l’Europa e forse, nonostante tutto, più di qualcuno se n’è accorto. Tuttavia non si voterà soltanto per Strasburgo e per Bruxelles. E non solo e non tanto perché si celebrerà anche un importante turno amministrativo interno (riguardante due Regioni e 4mila Comuni), ma perché così funziona, in Italia. E si può capire, visti e considerati il fragile quadro parlamentare, la decisa, indocile e "ingombrante" azione di governo di un certo Matteo Renzi, l’incontenibile voglia di spallata di un certo Beppe Grillo (capo assoluto di quel M5S che dal febbraio 2013 è il primo partito italiano) e la caparbia volontà di sopravvivenza politica di un certo Silvio Berlusconi e dei suoi inquieti alleati. Già, si può proprio capire, visto e considerato anche l’ennesimo tentativo di far nascere elettoralmente, stavolta attorno ad Angelino Alfano, un’alternativa moderata all’ex polo dell’ex Cavaliere o di far rispuntare qualcosa di saldo – prendendo in prestito un leader greco, Tsipras – alla sinistra del Pd. Eppure domani si voterà comunque per l’Europa. Perché non c’è da rompere nulla, ma c’è molto da cambiare. Perché in Europa l’Italia deve tornare a pesare, contribuendo a far superare (senza archiviare, ma anzi rendendo più salda e anche eticamente sostenibile la responsabilità economico-finanziaria) la fase del rigorismo contabile depressivo e controproducente. Abbiamo motivo di sperare che i lettori di questo giornale lo sappiano bene. Per l’esigente attenzione che è loro propria. E grazie al lavoro sviluppato sulle nostre pagine. Abbiamo raccontato e analizzato che cosa, nel bene e nel male, l’Europa è diventata in quasi sessant’anni di cammino comunitario. E abbiamo indicato la direzione verso la quale la Ue può e deve svilupparsi come patria dei popoli e dei cittadini europei e non solo come moneta e mercato assai minuziosamente regolati e troppo poco politicamente governati. E questo perché, da cattolici, abbiamo caro e chiaro il "primato" della persona umana, delle sue relazioni fondamentali, dell’accoglienza, della giustizia e della felicità alle quali, con pieno diritto, ogni uomo e ogni donna aspirano. Uno sguardo e un metro di giudizio utili nel momento in cui siamo chiamati a eleggere il nuovo Europarlamento e a dare un’indicazione esplicita per la prossima guida della Commissione Europea. Lì, in quelle istituzioni e lungo i percorsi che le collegano, continueranno infatti a prendere forma moltissime norme (oltre il 90%, con la piena applicazione del Trattato di Lisbona) che toccano la vita dei singoli, delle famiglie, delle comunità. E la qualità delle idee in campo, e degli uomini e delle donne che devono farle camminare, è cruciale.Comunque, checché si sia detto e stradetto, non siamo chiamati a referendum. La speranza e l’attesa sono ben maggiori: un’infinità di voti che affermi una tenace volontà di costruzione dell’Europa unita e, in Italia, di ricostruzione di un quadro politico e istituzionale stimabile e affidabile. Non ci si può più accontentare di poco.
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