mercoledì 26 agosto 2015
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È una lezione tragica ma di profondo significato e che non si può liquidare solo come dibattuto sulla gogna mediatica, quella che ci arriva dalla dolorosa vicenda della Ashley Madison, il sito canadese per incontri clandestini tra persone sposate che conterebbe 37 milioni di iscritti in 46 Paesi del mondo. La pubblicazione dei dati sottratti dagli hacker, avrebbe causato due suicidi in Canada e uno negli Stati Uniti. Persone che, se venissero confermati i motivi del gesto, avrebbero scelto la morte per sfuggire alla vergogna dell’adulterio, consumato o solo virtualmente auspicato. Al di là della condanna morale del tradimento e del comportamento altrettanto criticabile degli hacker, che non si sa bene se avessero come obiettivo un’azione moralizzatrice o solo ricattatoria – come sta emergendo da non pochi riscontri – quella che si delinea sullo sfondo della vicenda, è in ogni caso la tenuta del profilo sociale del matrimonio. Anche nel pluralismo culturale del Nordamerica, dove perfino gli stili di vita eticamente più liberi sembrano avere cittadinanza, con la fedeltà coniugale non è lecito scherzare. Rimane un valore pubblico che non può essere né svenduto né sottovalutato. Mentre l’adulterio, al di là di alcune tendenze falsamente progressiste che vorrebbero presentarcelo come normalità accettabile o addirittura come terapia efficace per le stanchezze della routine coniugale, continua ad essere guardato come profondo e disastroso vulnus per l’intera società. Se è vero, come è vero, che ogni relazione umana si fonda sulla fiducia, intaccare e persino sbriciolare con un tradimento pubblicamente annunciato (a un 'pubblico' teoricamente riservato, ma in realtà vastissimo), il più intimo, profondo ed esclusivo dei rapporti, che è appunto quello coniugale, significa anche inserire nel corpo della società germi di inaffidabilità, precarietà, vulnerabilità. Come se quella fiducia promessa e poi tradita nel matrimonio finisse per corrompere, grazie alla sua amplificazione mediatica, porzioni sempre maggiori di società. In ogni caso la vicenda Ashley Madison conferma che l’industrializzazione dell’adulterio per via informatica, nuoce a molti e non giova a nessuno, tranne ai gestori di questi siti ignobili. E c’è quindi da interrogarsi seriamente sull’opportunità di permettere la divulgazione e la promozione del tradimento coniugale attraverso flussi crescenti di pubblicità web, annunci tv ma anche manifesti murali. Non si tratta di pretese confessionali, ma di attenzione a un bene che è di tutti. Se apparissero siti finalizzati a propagandare la bellezza del furto, sarebbe facile trovare un’opposizione larga e trasversale. L’adulterio non è più un reato. Ma rimane un danno sociale che ha conseguenze e costi sempre meno sostenibili. Possiamo permetterci di continuare a tollerare l’apologia di un comportamento che diffonde ovunque un male oscuro e profondo e, come sta capitando in America, finisce anche per indurre al suicidio?
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