martedì 8 marzo 2016
8 marzo, i due generi dell'economia
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Anche la scienza e le scelte economiche hanno un urgente bisogno di aprirsi alla dimensione femminile. Gli uomini e le donne non si comportano allo stesso modo nelle scelte economiche, nell’uso del denaro, nel lavoro, negli investimenti finanziari. La teoria economica, e in particolare l’economia sperimentale, sta studiando da qualche anno questi temi, e ormai molta evidenza empirica rivela differenze di genere nei comportamenti economici. I risultati sono vari e interessanti, e sempre più ricorre la domanda: esistono differenze innate e peculiari tra uomini e donne, oppure esse sono solo frutto di educazione, norme e costumi sociali? Dalle risposte a questa domanda dipendono ovviamente scelte educative, politiche, strategie aziendali, e la qualità e dignità della nostra democrazia.  Per esempio, negli investimenti finanziari le donne propendono per titoli di organizzazioni a sfondo sociale o che “lavorino” per la salute e per l’ambiente. E questo dato è comune attraverso i diversi continenti e le diverse culture. Oppure in ruoli manageriali le donne sono più abili nel creare spirito di gruppo e gli uomini a prendere decisioni in tempi brevi. Di contro, sta diventando un luogo comune che le donne siano più avverse al rischio degli uomini: esperimenti e indagini rivelano che in media, nelle società occidentali, le donne amano realmente meno il rischio. Ma in campo finanziario questo dato influenza le scelte di investimento, e così mediamente le donne tendono a scegliere portafogli titoli più prudenti e stabili. Dato che però non viene confermato in Cina e Hong Kong, dove la propensione al rischio è uguale tra uomini e donne, e in India, dove ad essere più avversi al rischio sono invece gli uomini. Proprio in alcune parti dell’India (e in Tanzania) si sono realizzati alcuni esperimenti dai risultati molto netti: in quelle zone l’avversione al rischio è maggiore negli uomini, la propensione alla competizione e il miglioramento delle performance di fronte a incentivi monetari (normalmente più attiva negli uomini) è più presente nelle donne.  Domandiamoci allora: che cosa accomuna le società dove si sono svolti questi esperimenti? Sono di tradizione matriarcale. Il che conferma come l’educazione e le norme sociali modellino anche i comportamenti economici. Di conseguenza, è possibile lavorare sulle attitudini e abilità, di donne e uomini. Ma in quale direzione? Purtroppo, e a volte senza consapevolezza, gli studi economici assumono il maschile come norma e il femminile come deviazione da questa norma. Del resto il mondo economico e finanziario si è costruito nella teoria e nella prassi un po’ tutto su parametri maschili – le donne economiste nella storia del pensiero, fino a tempi recentissimi si contano su una mano, e ancora oggi l’unica donna economista premio Nobel, Elinor Ostrom, non era considerata dai suoi colleghi una vera economista per i suoi interessi “strani” sui beni comuni e le comunità.Dovremmo forse iniziare a porre domande diverse alla teoria e alle pratiche. Ad esempio: siamo proprio certi sia buona una maggiore propensione al rischio? Oppure: reagire meglio agli incentivi monetari fa migliori le nostre imprese e vite? Si è dimostrato, analizzando le società quotate in Borsa, che quelle con un maggior numero di donne presenti nei vertici (in questo caso si tratta di società prevalentemente occidentali e quindi dove le donne sono più avverse al rischio) hanno tenuto molto meglio di fronte alle crisi degli ultimi anni, e poche sono fallite, a differenza di società con consigli di amministrazione esclusivamente o prevalentemente maschili.  Un altro ambito è la cooperazione: i dati mostrano che nelle donne c’è una maggiore propensione alla cooperazione e risolvere dilemmi in gruppo: è una deformazione, una stranezza femminile, oppure attraverso l’educazione e una maggiore collaborazione tra uomini e donne potremmo imparare tutti regole e buone prassi per comportamenti più cooperativi? La festa di oggi, 8 marzo, con tutte le luci e le ombre di questo tipo di giornate, può essere un’occasione per provare a toglierci gli occhiali che ci fanno vedere la razionalità economica tipicamente maschile (strumentale, legata agli incentivi, alla meritocrazia) come norma, e iniziare a chiederci se le differenze osservate nei comportamenti possono offrire suggerimenti per scenari alternativi che farebbero diventare l’economia e la finanza più umane, perché più rappresentative di tutto l’umano, maschio e femmina.
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