martedì 23 febbraio 2016
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Capisco perché Gesù ha voluto farsi povero coi poveri. Capisco perché saranno i poveri che salveranno il mondo dalle sue stupide follie. Comprendo il motivo del divario sempre più acuto tra ricchi e poveri. Perché i poveri fanno comodo a certi ingiusti equilibri mondiali. «I poveri li avrete sempre con voi», disse Gesù. Eugenio Scalfari, parlando a Tv 2000 ha detto: «Gli uomini hanno bisogni primari come gli animali… Ma i poveri, salvo pochissimi, non hanno bisogni secondari». Davvero? Sui bisogni primari degli uomini, non possiamo che essere d’accordo. Fame e sete, freddo e caldo si fanno sentire da tutti. Sui bisogni secondari, che solo i ricchi avrebbero la fortuna, o la sfortuna, di avvertire, si rimane basiti a sentire una tale sentenza. Intanto, occorrerebbe stabilire la soglia di povertà oltre la quale sarebbe vietato l’accesso di tanta parte di umanità ai bisogni secondari. E occorrerebbe stabilire chi sono i poveri. Parliamo di povertà solo in senso economico o anche morale e spirituale? Che cosa intende dire Scalfari? Che i poveri non sentono il bisogno di comunicare, di leggere e di scrivere? Che non riescono a meditare, riflettere, pregare? Che non si pongono le domande sul fine ultimo dell’esistenza? Che restano indifferenti davanti al mistero della vita e della morte? Chi lo pensa non ha mai frequentato i poveri. Eppure basta dare uno sguardo alla storia dell’umanità per rendersi conto che santi e filosofi dalle umilissime origini non si contano. E così artisti, scrittori e poeti. E preti. San Giovanni XXIII era figlio di semplici contadini. Don Giuseppe De Luca, nacque da una povera famiglia della poverissima Lucania. I genitori di don Primo Mazzolari non navigavano nell’oro. Non mi pare che Grazia Deledda e Gavino Ledda fossero nati in una reggia. Il nostro grande Totò era del rione Sanità. I fratelli De Filippo nacquero da una ragazza madre. Certo, quando lo stomaco è pieno è facile mettersi a filosofare. Nei campi di concentramento, però, ricchi e poveri impazzivano per una patata, un tozzo di pane, una mela. Il ricordo di una tavola imbandita li faceva impazzire. Una volta messo a tacere lo stomaco l’uomo si pone domande. Si chiede chi è. Che cosa è la vita, che cosa è la morte. In fondo la vita è illogica. Si nasce per morire. 'La vita è un pacco che il ginecologo lancia al becchino', ha detto qualcuno. Liberi di pensarlo. Se così fosse vivere sarebbe veramente deprimente. Riflette, dunque, solo il ricco? Ma che dice, Scalfari? Si è mai fermato a parlare con un contadino analfabeta? Io ho avuto la fortuna di averli in casa. Sono nato in una casa dove non era mai entrato un libro. Per il semplice motivo che i miei non sapevano leggere. Eppure quanta onestà. Quanto timor di Dio. Quanto desiderio di non far male al prossimo. Quanta capacità di amare. I miei riflettevano? Gioivano? Soffrivano per le ingiustizie altrui? Glielo assicuro. Certo ai poveri non è consentito fare le ore piccole. È un lusso che non possono permettersi. «Su a letto – diceva la mamma – domani il gallo canterà che è ancora buio». Il sudore e il sangue dei poveri ha fatto da concime per le terre altrui. Hanno permesso ai ricchi di gozzovigliare nel lusso e nei vizi. Che fosse terribilmente ingiusto, i poveri lo hanno sempre saputo. Certi canti dei braccianti agricoli del nostro maltrattato e umiliato Meridione sono dei lamenti struggenti. I poveri hanno dovuto abbassare la testa tante volte solo perché quei ricchi che «avevano bisogni secondari» li avrebbero massacrati alla prima ribellione. Lasciamo stare. Si riaprono ferite mai sanate. Il grido dei poveri assorda le orecchie della storia, degli uomini e di Dio. I poveri sono sempre stati e sono tuttora funzionali alle comodità di chi controlla l’economia e detiene il potere.  Ma i poveri sono persone che sanno riflettere e decidere. Sanno leggere i segni dei tempi e della natura. Del patrimonio comune che ci è stato dato essi consumano pochissimo lasciando ai ricchi di fare razzie a danno delle future generazioni. I poveri sanno cantare ed essere felici con poco. Sanno dipingere e gioire. I poveri sanno amare. Un amore che sa donarsi fino all’ultimo spasimo. «Mostra delle noci a un bambino – scrive sant’Agostino – e te lo tirerai dietro». Ma fagliele vedere quelle benedette noci. Fagliele toccare. Non arraffarle tutte. Non mangiarle da solo. Non accumularne tante da farle marcire. «Il cibo che gettiamo nella spazzatura – ha detto il Papa – lo stiamo rubando ai poveri». Vero. Verissimo. Quanti libri potrebbero essere comprati se i ricchi di tutto il mondo rinunciassero a tre soli giorni di vacanza? «Chi è sazio non crede a chi sta digiuno», dice un vecchio proverbio. È proprio così. Chi ha ricevuto di più, invece, deve sentire il dovere di donare di più. Perché i poveri abbiano gli stessi diritti dei ricchi. Perché la giustizia possa farsi strada. Perché le armi possano essere messe a tacere. Anziché dire parole senza senso, pericolose e dolorose, proviamo a riflettere e legiferare per fare uscire i poveri dalle secche nelle quali sono stati relegati.
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