venerdì 21 novembre 2014
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Non sapeva che ieri fosse un giorno speciale per i bambini del mondo. Debi Singh non ha mai sentito parlare della Convenzione per i diritti dell’infanzia, di cui ieri cadeva il 25° anniversario. In ogni caso, questo  20 novembre gli resterà impresso in modo indelebile. Al mattino, la pressa per la lavorazione del granturco della fabbrica in cui era impiegato gli ha tagliato il braccio destro. Mentre i compagni cercavano di soccorrerlo, questo 14enne indiano dell’Orissa ripeteva: «E ora come faccio a lavorare?». Anche Luis, 12 anni, ignorava la ricorrenza. E, come al solito, ha vagabondato per le strade della zona sud di Lima con un sacco di carbone da vendere ai mercati. Luis, come Debi Singh e molti altri, non sa che quel documento approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1989 e firmato da 193 Paesi, riconosce ai piccoli il diritto ad avere un’infanzia e a trascorrerla in condizioni dignitose, costruendosi un futuro attraverso l’istruzione.  Un quarto di secolo dopo, tali prerogative sono ancora troppo spesso violentate. Secondo l’Unicef, nel Sud del mondo, il 49% dei bimbi non viene registrato dopo la nascita, oltre sei milioni sono uccisi prima di compiere i cinque anni da guerre o malattie curabili, un piccolo su quattro è costretto a lavorare per sfamare se stesso e le proprie famiglie. Questo spiega perché, tra la popolazione più povera, quattro ragazzini su dieci non siano mai entrati in una scuola. Non hanno né tempo né mezzi per studiare: la loro vita trascorre in fabbriche malsane, campi, miniere. In totale, sono almeno 168 milioni i baby lavoratori nel mondo, alcuni iniziano dai sei anni e la metà svolge attività ad alto rischio. Per un crudele paradosso, in America Latina – ma anche in diverse nazioni di Asia e Africa – le statistiche ufficiali sommano i loro pochi guadagni (sono pagati in nero e ben al di sotto del salario minimo) a quelli, ugualmente magri, degli altri familiari, in modo da “far uscire” il nucleo dalla povertà. Sulla carta, si intende. Perché nella realtà si verifica l’opposto. Il lavoro infantile è la gabbia che impedisce, nel tempo, a intere famiglie – e parti di mondo – di uscire dalla condizione di marginalità. Investimenti nell’istruzione, al contrario, hanno innescato  il boom di Paesi emergenti, Brasile in testa. Non è solo una questione morale. Sostenere l’infanzia conviene: per ogni dollaro speso nell’educazione dei piccoli, il governo ne incasserà almeno sette nel futuro immediato.
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