lunedì 25 agosto 2014
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Avessimo avuto bisogno di una conferma, ora questa ci arriva dai ricercatori dell’Università del Colorado: più i bambini, fuori dalla scuola, sono coinvolti in attività "strutturate" e meno sanno cavarsela quando viene l’ora che si diano degli obiettivi propri. Lo studio condotto su bambini di sei anni dall’équipe del professor Yuko Munakata a Denver, da poco pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Psychology e ripreso dalla stampa internazionale, ha segnalato come i bambini che sono tenuti più occupati in attività molto supervisionate e dirette dagli adulti (quindi con basso grado di libertà e schemi rigidi da ripetere) risultano meno portati a prendere iniziativa su obiettivi fissati autonomamente. Buono l’esempio indicato nell’introduzione all’articolo scientifico: per quale motivo un bambino potrebbe non vestirsi adeguatamente quando esce fuori di casa in un giorno di neve? Questo atto, così ovvio agli occhi di un adulto, in realtà è frutto di una serie di valutazioni che devono essere fatte dal bambino stesso. Si tratta di pensare al freddo fuori mentre in casa c’è un bel calduccio, di considerare che per terra sarà bagnato e l’aria sarà molto fredda e cercare di conseguenza scarpe e giacche più idonee rispetto a quando non nevica. Si può definire questo un processo decisionale e di pianificazione a pieno titolo. Un processo che va favorito, e che soprattutto non va ostacolato. La ricerca ci offre un interessante spunto di riflessione riguardo a una questione che è davvero rilevante e attuale: l’organizzazione delle giornate dei più piccoli. Organizzare è proprio questo il verbo da mettere sotto analisi. Come adulti infatti siamo sempre più tentati di progettare le giornate dei nostri bambini in modo da non lasciare quelli che erroneamente consideriamo "tempi morti". Sarebbero invece tempi estremamente vivi, persino vivaci, in quanto lasciati a disposizione della libera iniziativa dei bambini. Il tempo vuoto, mai morto, permette infatti l’emergere della domanda "che cosa posso fare?", alla quale si può rispondere mettendosi a disegnare, prendendo un gioco lasciato da parte da tempo, leggendo un libro, sfogliando l’album delle figurine o magari anche facendo niente per un po’. A volte fare niente coincide con pensare, immaginare, progettare. Se a questa tentazione aggiungiamo l’altra di sostituirci al minore e vicariarne le presunte o reali incapacità – quest’ultime da colmare invece gradualmente con l’esperienza – capiamo come i bambini spesso si trovino in difficoltà a fare da sé, quando viene a mancare la nostra guida. Certo, la mattina si fa più in fretta se allacciamo loro le scarpe; c’è meno rischio di note a scuola, se prepariamo noi la cartella; così come la loro schiena sembra più tutelata se ci carichiamo sulle spalle lo zaino pieno di libri, ma tutto questo ha un prezzo che si paga in termini di mancata autonomia. Con i bambini conviene rivalutare l’invito ad arrangiarsi. "Arrangiati!", quando non è abbandono o minaccia, diviene piuttosto un invito amoroso che prende la forma di "fa’ tu!", "ce la puoi fare", "provaci almeno!". Che soddisfazione per loro riuscire in un compito o in un’impresa nuova e che soddisfazione anche per noi vederli diventare grandi, giorno dopo giorno, ossia capaci di prendere iniziative e di portarle a compimento. È questo uno dei modi per aiutarli a diventare degli adulti solidi, adulti che non si sottraggono alle diverse scelte richieste dalla vita in quanto desiderosi di essere protagonisti della propria esistenza.
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