martedì 3 marzo 2015
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Garantire e salvaguardare il pluralismo dell’informazione. Due termini di una spinosa questione che attiene ai fondamenti di uno Stato moderno. La garanzia è stata di recente sottolineata dal neo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nel discorso di insediamento, nel ribadire che il suo ruolo è quello di “garante della Costituzione” e che “la garanzia più forte consiste nella sua applicazione” lo ha poi declinato in diverse accezioni, tra cui una ha riguardato “l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia”.Nonostante questo forte richiamo venuto dalla più alta carica del Paese, l’attualità riporta tutti a confrontarsi con la salvaguardia del pluralismo per quanto riguarda il delicato snodo della libertà di stampa. Il costante ridimensionamento avvenuto negli ultimi anni, spesso in maniera retroattiva, al sostegno all’editoria sta portando al collasso numerose testate. Già diverse hanno chiuso i battenti, nel silenzio e nel disinteresse quasi generalizzato.Un autentico battage, spesso urlato e giocato sul web, ha associato il sostegno da parte dello Stato a una sorta di privilegio riservato a pochi favoriti. Il solo mercato, lo abbiamo ribadito anche su queste colonne in diverse occasioni, non può bastare a regolare un settore così delicato. Ne va di una parte della libertà dei cittadini cui sarebbe preclusa un’ampia facoltà di scelta tra mezzi di informazione.  Ecco perché è partita una vasta campagna istituzionale (#menogiornalimenoliberi) a cui è associata una petizione online sostenuta da numerose sigle dell’editoria non profit. Si va dai settimanali cattolici ai quotidiani locali e nazionali (questo giornale compreso), tutti uniti nella tutela del pluralismo e nel chiedere una riforma urgente dell’intero comparto.I pericoli di una concentrazione dell’informazione in Italia riguardano ogni mezzo, con evidenti vantaggi per i maggiori network. In gioco non ci sono solo migliaia di posti di lavoro, pure importantissimi. In questi giorni e ancora una volta, c’è una ricchezza di esperienze di una parte viva del Paese che, se dovesse rimanere senza voce, rischia l’irrilevanza. Siamo certi che nessuno si augura che ciò possa accadere.

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