domenica 25 marzo 2012
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Che folla grande lungo i viali di Léon, per salutare il Papa. Venuti in pullman, da lontano, o reduci da una notte accampata dietro le transenne, per conquistarsi la prima fila. «Ti aspettiamo a braccia aperte», dicono gli striscioni. Ma che cosa aspettano davvero, in tanti, in Messico, per fabbricare ognuno con il proprio corpo l’ala festosa che ha salutato l’arrivo del Papa? Cosa può attendersi da quello straniero un popolo che in cinque anni ha avuto quasi 50mila morti nella guerra contro e fra i narcotrafficanti, e 20mila scomparsi nel nulla? Eppure, che folla è andata ad accogliere Benedetto XVI. Vedove, anche, o orfani di questa strage oscura: che cosa cercando, con quale domanda nei pensieri? Forse covando una non detta, nemmeno conscia ribellione alla apparenza che sembra porsi come unica e sovrana: il mondo è dei più forti, la vita è in mano ai violenti che la concedono o la tolgono, a capriccio loro. Per cui occorre semplicemente scegliere da che parte stare: se con gli oppressori, o coi vinti. E non c’è altro, nessun altro orizzonte a cui guardare. Dio? Se c’è, non c’entra: troppo alto per chinarsi sugli offesi, troppo lontano per sentire il loro pianto. E tuttavia, la gente di Léon ha colmato le strade. Come non accadrebbe forse in un Paese tranquillo, sazio, in pace. Come se da quella buia intestina guerra, dalla paura, dai soprusi si alzasse più forte la domanda di un’ altra vita, di un’altra logica - un’altra speranza. Ha detto Benedetto XVI, in viaggio, ai giornalisti, che «l’uomo ha bisogno dell’infinito. Se Dio non c’è, si crea un’apparenza di "infinitudini" che può essere solo menzogna». Le 'infinitudini' di ricchezze rubate, di un arrogante potere da banditi, di droghe in cui scappare. Se Dio non c’è, restano dei velenosi succedanei di infinito. Resta la povertà e l’avvilimento di chi deve piegarsi. Eppure, profonda, forte, risorge ancora una domanda: che la vita non sia questa rassegnazione, questa morte. E si va, all’alba, a vedere passare lo straniero che viene da Roma, se ne aspettano con ansia le parole. Perché dopo rivoluzioni e martirii e sangue una matrice cristiana qui è rimasta. Comunque è viva in fondo agli animi l’attesa di sentirsi annunciare che la vita e il destino non sono polvere calpestata dai venditori di morte; che c’è un disegno, e infinitamente più grande delle trame degli assassini. Così sono venuti nella notte, o all’alba, pigiati in scomode corriere; con i bambini, che vedano anche loro, coi loro occhi, quell’uomo, il successore di Pietro. A questo popolo Benedetto XVI è venuto, da Roma, pellegrino. Ha detto, come san Paolo ai Tessalonicesi: «Non siate tristi come gli altri che non hanno speranza». Quella speranza che cambia, già nel presente, la vita di chi crede. Che è testimoniata nello sguardo, nel fare di chi se la porta con sé, silenziosa compagna. L’ostinata speranza dei cristiani si è fatta largo per le strade di Léon, è come venuta allo scoperto in quella folla. Dentro e sotto ogni umana 'infinitudine', dentro ogni bugia eretta a legge e sistema comunque resta radicata una domanda, una originaria ineliminabile inclinazione a ciò che è vero per sempre, a ciò che non tradisce. Centinaia di migliaia di mani tese per le vie di Léon, allungate nella speranza di sfiorare; e quegli uomini nella folla, forse, meravigliati della propria stessa commozione. Dentro a un Paese straziato da una ferocia intestina che allinea i morti come numeri vuoti, lieti, per un momento, come bambini. Riconoscendo, dando voce a una censurata, quasi rinnegata attesa: che la vittoria non sia della morte, e che anche in Messico la misericordia di Dio attende ogni uomo, ogni donna, ogni bambino.
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