domenica 11 settembre 2016
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Alla luce delle tensioni passate e della diversità di vedute, l’accordo raggiunto fra Russia e Stati Uniti per una tregua in Siria rappresenta sicuramente una buona notizia, soprattutto per la popolazione civile, che subisce i colpi peggiori di una lunga e feroce guerra senza regole. Ma la cautela – e ancor più i silenzi – con cui la diplomazia internazionale sembra reagire devono indurre a cautela, e sottolineano la quantità di questioni ancora non risolte.

Le differenze di posizione fra Mosca e Washington sul futuro assetto del Paese non sono certo evaporate in pochi giorni: l’accordo è una prova di intelligenza politica e di buona volontà che avrà bisogno di sostegni diplomatici e di continui "aggiustamenti" fra le due capitali. Il vero problema è tuttavia rappresentato dalla capacità dei due "garanti" di convincere la gran quantità di attori locali e regionali, milizie e gruppi armati che hanno reso il conflitto siriano una galassia quasi inestricabile di amici, nemici, finti amici, alleati occasionali e avversari ben disposti.

Va detto che per Putin e i suoi il compito appare meno arduo rispetto all’impervio sentiero che aspetta l’amministrazione Obama. Lo snodo centrale, per Mosca, è ottenere l’assenso iraniano, ossia dell’altro Stato che ha gettato tutto il proprio peso per sostenere Assad. Finora Teheran era apparsa tetragona nel rifiutare ogni alternativa al dittatore di Damasco, ma il pragmatismo della Repubblica islamica è sempre maggiore di quanto si creda in Occidente. Settimane fa, subito dopo il fallito golpe in Turchia, delle dichiarazioni congiunte con Ankara, poco notate in Occidente, sembravano segnalare la volontà di ridurre le differenze reciproche.

Speriamo quindi che la Russia riesca a far prevalere le posizioni meno oltranziste nella divisa élite di potere iraniana, perché allora sarà più facile premere su Assad e avviare la transizione politica. Più complicato il compito statunitense; non solo per la pluralità di attori con cui si confronta Washington, ma perché molti dei suoi presunti alleati, in questi anni, hanno sostenuto gli elementi più estremisti del radicalismo sunnita.

Davvero un’amministrazione in scadenza e sfidata all’interno da un Congresso dominato dai repubblicani riuscirà a forzare turchi e sauditi ad accettare un compromesso che sancisca - nei fatti - il fallimento delle loro strategie avventuriste e il successo (almeno parziale) dell’Iran? Obama riuscirà a tenere assieme le milizie curde (alleate, ma un po’ troppo aggressive ultimamente) con il governo di Erdogan (altrettanto aggressivo con i curdi)?

O evitare che i sauditi continuino a finanziare e armare i peggiori gruppi armati della regione? E le deboli forze dell’opposizione moderata dell’Esercito siriano libero saranno davvero un attore credibile, se si impedirà loro di coltivare le pericolose amicizie con i gruppi qaedisti e jihadisti? I tentativi di in atto di "ripulitura" dell’immagine di Jabhat al-Nusra, ossia di al-Qaeda in Siria, per far digerire il suo sdoganamento non sono un segnale rassicurante, perché è evidente che si tratta di un’operazione cosmetica. E che non sarà mai accettata da una parte della popolazione locale e da chi sostiene Assad. Insomma, dubitare del successo di questo accordo è più che legittimo.

Ma queste perplessità devono spingerci a sostenere con forza ancora maggiore il cammino intrapreso. Perché l’alternativa sarebbe la ripresa della mattanza di un intero popolo e della distruzione di comunità religiose e culturali vecchie di millenni.

Non si può però tacere un’ultima considerazione: questo accordo, giunto dopo più di cinque anni di guerra civile e di stragi, poteva forse essere ottenuto molto prima, se solo Washington non si fosse fatta condizionare dai suoi troppi alleati che demonizzano Russia e Iran. Mosca avrebbe dovuto essere coinvolta già nel 2012. Non solo dopo che - con il suo intervento militare - ha dimostrato il proprio ruolo e ha rafforzato la propria fazione sul campo. Meglio tardi che mai, si dice: ma ora basta sprecare occasioni e basta cinici tatticismi sulla pelle dei siriani.

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