mercoledì 3 febbraio 2016
​Pronostici non rispettati, il socialdemocratico Sanders e il repubblicano cubano Rubio potrebbero essere i nuovi leader dei due schieramenti. Analisi di Vittorio E. Parsi.
Corsa alla Casa Bianca, perché Hillary rischia
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Sarà tutto fuorché noiosa la lunga corsa alla nomination per la elezioni presidenziali americane. In entrambi gli schieramenti, repubblicano e democratico, si profila infatti una lotta avvincente e, a giudicare dai caucus dello Iowa, in grado di riservare qualche sorpresa. Come titolavano ieri i giornali americani, Donald Trump è il primo sconfitto del 2016. Aver strappato un secondo posto, molto più a ridosso della terza posizione che non della prima, rappresenta un mezzo flop per il candidato populista e antisistema per eccellenza di queste primarie verso la Casa Bianca. Sul fronte democratico, Hillary Clinton questa volta riesce a non perdere in Iowa (diversamente da quanto avvenne 8 anni fa nei confronti di Barack Obama). Ma il vincitore morale (e politico) è indiscutibilmente Bernie Sanders, il candidato 'socialdemocratico' che ha rimontato uno svantaggio abissale nei sondaggi attraverso il capillare sostegno, e l’ancor più capillare finanziamento, dell’elettorato giovane e progressista e dei tanti delusi da decenni in cui il 'sogno americano' si è trasformato in un vero e proprio incubo per molti ex appartenenti all’ex ceto medio. 

Per come le cose sembravano mettersi negli ultimi giorni, la ex first lady ed ex segretario di Stato di Barack Obama può tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Nella realtà, considerando la sproporzione degli apparati in campo, il segnale ricevuto da Hillary è tutt’altro che rassicurante. Una parte dell’elettorato democratico la giudica una 'minestra riscaldata', una donna ambiziosa, con una spiccata passione per il potere, ma non così progressista come asserisce di essere. E in fondo i Clinton ricordano da vicino la spregiudicata coppia della popolare serie televisiva Netflix 'House of Cards', dove la conquista del potere a qualunque costo è la sola cosa che conta. A non convincere della Clinton non sono tanto i punti specifici (e generici) del suo programma, quanto piuttosto la 'compagnia che frequenta' e che la finanzia generosamente, fatta di grandi banche e grandi società multinazionali, proprio quelli che si sono più avvantaggiati negli anni della 'new economy' dei tempi di Bill e che anche attraverso la crisi del 2007/2008 sono riusciti a rafforzarsi a scapito della middle class. Insomma, a chi cerca garanzie della rivincita di 'Main street' nei confronti di Wall street, la signora non appare fornirne abbastanza. Dalla sua la signora Clinton ha evidentemente un’immagine di persona esperta e ben inserita nell’establishment federale e internazionale. Una candidatura, la sua, che punta tutto sulla solidità e sull’affidabilità, fatta apposta per sfidare e affondare uno come Donald Trump.  Paradossalmente, se il tycoon stravagante e populista dovesse uscire di scena, ne patirebbe anche la candidatura di Hillary Clinton, che verrebbe a perdere la sua perfetta pietra di paragone. Non è un caso che, invece, nei confronti del 'vecchio' Bernie Sanders (che peraltro si rivela più frizzante e innovativo in termini di contenuti di tanti giovinetti) la solidità dell’ex segretario di Stato è apparsa essere un’arma spuntata. Mentre la coerenza valoriale di Sanders gli ha conquistato prima l’attenzione e il rispetto dell’elettorato e poi, in misura ancora difficile da quantificare, un consenso crescente. Sul fronte repubblicano, dicevamo, la partita appare ancora aperta. Jeb Bush, salvo sorprese, potrebbe decidere di ritirarsi nell’arco di qualche settimana, se gli elettori continueranno a non considerarlo. Con lui forse si chiude la vicenda di un’altra dinasty del potere americano. Cruz, che ha vinto in Iowa col 27% dei voti, è il candidato in realtà più debole. Appartenente alla destra religiosa conservatrice, ha fatto il pieno del voto evangelico, ma è indigesto all’elettorato repubblicano classico e anche alla destra più laica. La sua è una candidatura identitaria, che molto difficilmente potrebbe espandere il consenso oltre il recinto piuttosto ristretto dei suoi sostenitori più agguerriti. Donald Trump, d’altro canto, non è certo da considerarsi fuori dai giochi. Con il suo profilo totalmente eccentrico e per il suo posizionamento anti-establishment potrebbe avere serie chances di intercettare il voto dei senza-partito e dei delusi dal sistema. Ma per farlo deve sopravvivere ai primi turni delle primarie e vincere la nomination del GOP, cosa tutt’altro che scontata. Ha perso l’aurea di outsider dal tocco alla re Mida (non solo negli affari) e questo potrebbe averne intaccato irreparabilmente il carisma. Lo scopriremo già in New Hampshire, dove deve vincere e convincere. Trump non ha certo il problema di trovare finanziatori alla sua campagna, ma persino in questa America del XXI secolo i soldi da soli non bastano a diventare presidente. Il vero vincitore all’interno dello schieramento repubblicano potrebbe quindi risultare il cubano Rubio. È arrivato sì terzo, ma ad un’incollatura da Trump. Ha un posizionamento meno estremista e un discorso politico più inclusivo, in grado di conquistare quel centro dell’elettorato che potrebbe risultare più sguarnito non solo nel caso che Sanders fosse il candidato democratico, ma anche in quello in cui l’arzillo 'socialista' dovesse costringere l’algida Clinton a una lunga rincorsa a sinistra in primarie combattute all’ultimo voto. Rubio incarna il candidato che i leader del partito repubblicano sarebbero ben felici di appoggiare, anche per chiudere la lunga stagione del dominio della destra radicale sul partito che fu di Lincoln, Eisenhower e Nixon, prima che di Reagan e Bush. E se in New Hampshire dovesse vincere, cosa non così improbabile, potrebbe intercettare il sostegno di molti finanziatori di vedute conservatrici che finora sono rimasti alla finestra o hanno diversificato il proprio investimento elettorale. E forse la sfida Sanders contro Rubio potrebbe davvero essere la più interessante e quella in grado di portare una ventata di freschezza a due partiti che appaiono complessivamente sempre più in difficoltà a intercettare le paure e le aspirazioni degli elettori e a interpretare l’esigenza di cambiamento lasciata a metà da Barack Obama. Tanto Sanders quanto Rubio, nei rispettivi schieramenti, rappresentano comunque una novità, in questo senso in continuità con lo spirito che portò Obama alla Casa Bianca per la prima volta: ed è proprio di questa continuità nello spirito del cambiamento che oggi l’America ha più bisogno.

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