sabato 19 aprile 2014
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Si comincia, si parte. Ed è già un risultato per un Paese che ha bisogno di uno scatto di reni. La svolta tanto promessa, più volte annunciata dal premier Matteo Renzi, quell’idea di «cambiare verso all’Italia» ieri ha cominciato a farsi concreta con un primo, significativo provvedimento: il bonus da 80 euro (in media) concesso ai lavoratori dipendenti che guadagnano tra 8mila e 26mila euro lordi l’anno. Un successo per il presidente del Consiglio, che può rivendicare di aver «smentito i gufi», chi riteneva, cioè, che non si sarebbero trovate le coperture necessarie per finanziare la manovra. E insieme però è stata anche l’ammissione di un limite. Per mantenere la parola data il 12 marzo – «distribuiremo 10 miliardi di euro (in un anno) a 10 milioni di persone» – infatti non sarà possibile allargare il beneficio né alle partite Iva, né soprattutto agli "incapienti", coloro che, avendo redditi molti bassi o più carichi di famiglia, non riescono a godere appieno delle detrazioni. Ricomprendere anche questi ultimi, almeno 4 milioni di persone, nell’intervento (seppure in maniera limitata) avrebbe comportato o costi aggiuntivi evidentemente impossibili da coprire in maniera certa oppure un eccessivo frazionamento delle somme erogate ai singoli contribuenti. E ridurre a "solo" 20, 30 o 40 euro al mese l’incremento in busta paga avrebbe rischiato di vanificare l’intera manovra. Quanti, ad esempio, si sono accorti che già da gennaio stiamo "godendo" di un incremento di 40 euro della quota base di detrazione per lavoro dipendente decisa dal governo Letta?Perché certo è significativo – come Matteo Renzi ha ripetuto più volte ieri in conferenza stampa – che «finalmente stiamo restituendo agli italiani qualcosa che è degli italiani, facendo stringere la cinghia alla politica e all’amministrazione», tagliando gli eccessi dell’una e dell’altra con un piglio perfino draconiano. Finalmente il fisco comincia a cambiare verso, ridando soldi anziché chiedendone di nuovi. Ma il vero scopo della manovra renziana è cercare di iniettare liquidità nei portafogli delle famiglie affinchè la trasformino in consumi sul mercato interno e diano così una spinta nel riavviare i motori della ripresa. Senza la quale non c’è bonus né riforma del lavoro né riforma istituzionale che tengano, il Paese non uscirebbe dalla palude. Un obiettivo questo, al quale il premier e il ministro dell’Economia sono evidentemente disposti a sacrificare anche un pezzo di equità. Se si guarda alla platea dei contribuenti, infatti, gli esclusi sono più degli inclusi. E non parliamo solo di redditi alti, ma di pensionati, lavoratori autonomi, partite Iva, giovani precari e appunto incapienti. Senza dire dell’eterna ingiustizia italiana di un uguale trattamento fiscale per differenti situazioni di carichi familiari.Ieri sera il testo del decreto non era ancora disponibile, se però venisse confermato che il meccanismo tecnico per garantire il bonus non è più la detrazione da lavoro dipendente, quanto una riduzione dei contributi previdenziali (riconosciuti in maniera figurativa dallo Stato) l’esclusione dei lavoratori incapienti apparirebbe ancora più ingiustificata. E, forse, anche passibile di una sentenza negativa in un eventuale ricorso giudiziario. Perché gli incapienti non pagano imposte, ma i contributi previdenziali sì, e come se ne giustifica allora l’esclusione?Dunque ora il premier Renzi nel rivendicare il primo successo si è in realtà assunto un nuovo triplice impegno per la prossima legge di stabilità in autunno. Il primo è rendere davvero strutturale il bonus anche nel 2015. Il secondo, includere gli incapienti nella manovra di riduzione del costo del lavoro. Il terzo, più importante, mettere mano a una profonda riforma del sistema fiscale perché tenga finalmente conto degli effettivi carichi familiari. La svolta è cominciata, va nella direzione giusta. Ma per essere davvero equa e percepita da tutti ha bisogno di altri passi, che non ci si accontenti di aver smentito i gufi. O molti si sentiranno presi per allocchi.
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