sabato 31 gennaio 2015
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L'Occidente osserva e si «preoccupa », l’Africa prova a fermare Boko Haram, perché l’avanzata dei fondamentalisti in Nigeria minaccia la «sicurezza e lo sviluppo» dell’intero continente. Lo si legge in un documento stilato dai capi di Stato a margine della riunione annuale dell’Unione Africana (Ua) ad Addis Abeba. L’intenzione è quella di costituire una forza militare di 7.500 uomini da schierare contro i miliziani che hanno proclamato il loro “Califfato” nel Nord-Est e stanno penetrando anche in Camerun e Ciad. Intenzione che rischia però di restare sulla carta. Per una serie di motivi. Il primo è economico: l’Ua non ha soldi e per questo è decisa a chiedere all’Onu i fondi necessari, magari anche con un mandato forte del Consiglio di sicurezza. Il secondo è politico: fino al 14 febbraio, quando la Nigeria dovrà scegliere se dare ancora fiducia all’attuale capo di Stato Goodluck Jonathan o virare sul discusso ex presidente-militare Muhammadu Buhari, nessun soldato straniero potrà (per ragioni di opportunità) calcare il suolo del Paese. La terza ragione è meramente logistica: allestire un contingente multinazionale richiede tempo, addestramento e soprattutto non può ricadere negli errori di impreparazione del passato, che hanno portato a esperienze tristemente note come quelle somale contro gli shabaab.  Ma il pericolo che Boko Haram nel giro di poche settimane – come ha avvertito recentemente il vescovo di Maiduguri, Oliver Dashe Doeme – si possa annettere tutto il Nord-Est nigeriano è reale. I miliziani sono altamente addestrati, non hanno alcun scrupolo a sgozzare civili, colpire chiese o sequestrare donne e bambini da trasformare in schiave o guerriglieri. Inoltre, continuano a ricevere rifornimenti e soldi dall’estero: molti esperti vedono ancora la lunga mano dei potentati del Golfo dietro i lauti finanziamenti. E i metodi d’azione e l’ispirazione sono sempre più simili a quelli dello Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi che a quelli di un gruppo terroristico nato solo pochi anni fa e ora convertito al jihadismo. Da qui la «preoccupazione» dell’Occidente. Che per il momento, tuttavia, continua ad osservare.
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