martedì 29 marzo 2016
​La tregua dà speranza, ma sono rimaste solo cinque chiese. Duemila a Messa in San Francesco per la Veglia. Dai francescani «ecumenismo del sangue».
Casini: «Cristiani costretti alle catacombe»
 Aleppo, fede e coraggio nella Pasqua dei cristiani
COMMENTA E CONDIVIDI
«Cristo è risorto. Davvero è risorto». Ad Aleppo gli auguri di Pasqua si fanno così, con questa formula antica e solenne. E la certezza di quel 'davvero' sembra quasi sfidare la presunzione di chi – a pochi metri di distanza – vorrebbe rubare a questa festa cristiana gioia e significato. La città dei suq millenari devastata dalla guerra civile respira finalmente la prima aria primaverile dopo un inverno freddo e violento. Sotto il porticato della chiesa latina, la sera del sabato santo, si fatica a camminare tra gli abbracci festosi della gente. Il giorno prima, durante la via Crucis, c’erano quasi tutti. Alla veglia pasquale però la chiesa dedicata a san Francesco fatica a tenere un popolo intero. Molti stanno in piedi, con la candela in mano, assorti in preghiera, aspettano quella luce che sola può scaldare cuori e menti. Il silenzio che si respira è quasi surreale.I cristiani di Siria aspettano la Risurrezione, ultimo significato alle sofferenze interminabili, di chi sembra chiamato a «vivere sempre il Venerdì Santo». «Io proteggo coloro che credono in me e mi amano», forse solo il salmo recitato prima della Messa da padre Eduardo riesce a spiegare cosa sta accadendo sotto i nostri occhi. La gioia, la festa, i canti. Aleppo guarda con cauto ottimismo alle notizie di questi giorni. «Questa maledetta guerra finirà. Inshallah». «Se Dio vuole», ripetono. Solo il giorno prima nessuno poteva nemmeno immaginarselo. A Messa ci sono quasi 2.000 persone, di tutti i riti e confessioni. «Mai vista una chiesa così», si mormora tra i banchi. Latini, melchiti, ortodossi, maroniti. Qui lo chiamano "ecumenismo di sangue", un’unione dettata un tempo dalle circostanze e divenuta nel tempo amicizia sincera. E sarà forse merito della fragile tregua in vigore da qualche settimana, ma anche di una città che vuole tornare a vivere. E in fretta. Neanche questo però riesce a spiegare quel fiume in piena che in ordine scorre lentamente tra le navate della basilica ottocentesca. Perché il coraggio e la fede dei cristiani aleppini sono difficili da spiegare. Le bombe si sentono ancora dal convento che ci ospita. Un’oasi di carità dentro un deserto umano. Di notte Aleppo è ancora una città fantasma: una volta calato il sole, solo le stelle rimangono a illuminare ciò che resta di quei palazzi. Ogni tanto, il rumore delle esplosioni ci ricorda che non siamo soli. Il debole patto in corso tra le potenze occidentali sembra aver calmato – almeno in parte – le ritorsioni contro i cristiani. Se prima, in tutta la Siria, erano circa il 6% della popolazione, oggi si sono dimezzati. Ad Aleppo molti hanno preferito scappare, tentando la fortuna attraverso il mare. «Questo significa che molto probabilmente non potremo costruire nuove chiese, quando questa follia sarà terminata», affermano i vescovi all’unisono, preoccupati. «Chi non ha più la parrocchia viene da noi – spiegano i frati della Custodia di Terra Santa – e noi accogliamo tutti». «C’era in città – racconta padre Firas – una tradizione molto vecchia e cara a tutti. Il Venerdì Santo ogni fedele faceva 'il giro delle sette chiese'». Oggi però ne sono rimaste in piedi solo cinque in tutto, «e dunque risulta un po’ difficile...». Suona come una battuta quella del francescano, eppure è una realtà carica di drammi e contraddizioni. Le automobili hanno ripreso a circolare, ma la gente è ancora diffidente. Alla vigilia della festa c’era un po’ di apprensione, alcuni temevano potessero ripetersi gli attentati degli anni passati. Ma neppure la paura di un bombardamento è bastata a fermare la determinazione dei cristiani. Per arrivare in chiesa, bisogna superare i numerosi check point sparsi in tutta la zona. I poliziotti scrutano ogni straniero, diffidenti. Sono diversi anni che Aleppo non vede un turista. E di quella che era un tempo una città meravigliosa, dai superbi palazzi arabeggianti simbolo di un luogo accogliente e prospero, in alcuni quartieri non è rimasto altro che un cumulo di macerie. Non si contano le case distrutte. «Più di un centinaio – tra gennaio e febbraio – quelle dei parrocchiani che sono state colpite», racconta il parroco fra Ibrahim. Segni indelebili di un conflitto che ancora si combatte a qualche centinaio di metri da qui. La chiesa è a pochi passi dall’area controllata dai ribelli, accanto a una linea di confine precaria, difesa da sassi e sacchi di immondizia. L’esercito regolare è stanco e affamato, come tutta la popolazione lasciata a se stessa. E i cristiani non vivono sofferenze diverse dagli altri. Ma sono orgogliosi di essere qua. Gli occhi risplendono di quella luce accesa sul cero pasquale. Tra loro c’è George, ingegnere. Ha perso la casa tre volte, perché era sempre troppo vicina alla linea di confine che si spostava assieme ai bombardamenti. Anche il suo ufficio è stato interamente distrutto. Ma non si stanca di ringraziare: «Grazie a Dio sono vivo, il Signore mi vuole bene. Il Signore ha risparmiato la mia vita e io continuo a pregarlo». «Una fede da togliere il fiato», ha pensato padre Samar, animatore liturgico, quando è andato a trovarlo dopo i bombardamenti che gli avevano portato via tutto. Vicino a lui c’è Alexander. Dottore, specialista in chirurgia, è diventato vedovo poco dopo l’inizio della guerra. E un anno fa ha perso anche il figlio, Joseph, ucciso da un mortaio. «Gesù è la mia unica speranza»: dice di averlo capito dopo aver visto cosa può fare l’uomo. E la chiesa parrocchiale, quel luogo che prima vedeva solo di domenica, è diventato casa sua: «I frati mi sono stati vicini come nessun altro. In loro ho sperimentato la presenza e l’amore del Signore. Dio sia lodato». Anche lui è a Messa, per festeggiare con tutta la comunità la speranza cristiana. A luci spente il silenzio diventa assoluto. «Cristo è la luce del mondo», intona il parroco fra Ibrahim, secondo l’antica liturgia che introduce la madre di tutte le veglie. Ed è festa di Risurrezione anche ad Aleppo, nonostante tutto. Quella festa già vista nei volti radiosi dei suoi cristiani, segno di una Pasqua che – fa impressione scriverlo – dura tutto l’anno. ECCO COME AIUTARE I FRATELLI CHE VIVONO LE PROVE PIU' DURE. Sono numerose le iniziative in favore dei cristiani in Siria costretti, dall’avanzata del Daesh, a lasciare i luoghi dove hanno vissuto per generazioni. Caritas sostiene diversi progetti di assistenza. Le offerte possono essere inoltrate alla Caritas Italiana indicando nella causale "Siria". Versamenti su c/c postale numero 347013 intestato a: Caritas Italiana, Via Aurelia 796. È possibile anche fare un’offerta con carta di credito chiamando lo 06.661.771. Per sostenere le iniziative del vescovo Georges Abou Khazen nelle opere del Vicariato Apostolico di Aleppo si può invece inviare un’offerta alla Delegazione di Terra Santa indicando nella causale: "Vicariato Apostolico di Aleppo" presso Banca Carige Agenzia 11 - Roma. Iban: IT48A 03431 05018 000000 155180. Anche "Aiuto alla Chiesa che Soffre" ha sviluppato diversi programmi. Via internet è possibile donare seguendo le istruzioni all’indirizzo http://acs-italia.org/dona-ora/. Associazione di Terra Santa, Banca Popolare Etica - Iban: IT67W0501812101000000122691, conto corrente postale 1012244214; oppure donando online sul sito: www.proterrasancta.org.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: