giovedì 5 maggio 2016
​Nella solennità dell'Ascensione Papa Francesco ha presieduto la veglia in San Pietro davanti al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa. Quanta tristezza nel mondo ma il Signore “ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli"
«Dio asciuga le nostre lacrime»
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Papa Francesco ha presieduto la Veglia di preghiera per asciugare le lacrime di “tutti coloro che hanno bisogno di consolazione”.  L'intenso momento di preghiera si è tenuto alle 18.00 nella basilica di San Pietro. Nel giorno in cui la Chiesa festeggia la solennità dell’Ascensione il calendario del Giubileo prevede questa novità assoluta voluta da Bergoglio.La veglia è iniziata con tre testimonianze alternate da letture bibliche, con l’accensione ogni volta di una candela davanti al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa, esposto per la circostanza alla venerazione dei fedeli nella basilica di San Pietro. Dopo la lettura del Vangelo, Papa Francesco ha pronunciato l'omelia.

“Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione”, ha detto Francesco. “Sentiamo forte il bisogno che qualcuno ci stia vicino e provi compassione per noi”, ha proseguito: “Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo intorno incerti, per vedere se troviamo qualcuno che possa realmente capire il nostro dolore. La mente si riempie di domande, ma le risposte non arrivano. La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine”. Il Signore, ha ricordato Francesco, “ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli: in ogni situazione della vita Egli sarebbe stato vicino a loro inviando lo Spirito Consolatore che li avrebbe aiutati, sostenuti e confortati”.

“Quanta tristezza ci capita di scorgere su tanti volti che incontriamo. Quante lacrime vengono versate a ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione”. È il quadro tracciato dal Papa nell’omelia della Veglia per “asciugare le lacrime”, in cui Francesco ha affermato: “Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini… Ci sono occhi che spesso rimangono fissi sul tramonto e stentano a vedere l’alba di un giorno nuovo”. “Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore”, ha assicurato il Papa: “Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto”. “In questo nostro dolore, noi non siamo soli”, è la certezza trasmessa da Francesco ai fedeli che hanno gremito la basilica vaticana. “Anche Gesù sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata”, ha ricordato citando “una delle pagine più commoventi del vangelo”: “Quando Gesù vide piangere Maria per la morte del fratello Lazzaro, non riuscì neppure lui a trattenere le lacrime. Fu colto da una profonda commozione e scoppiò in pianto”. “Le lacrime di Gesù hanno sconcertato tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite”, ha fatto notare il Papa, nell’omelia della Veglia per asciugare le lacrime, in corso nella basilica di San Pietro per meditare una delle sette opere di misericordia: “Consolare gli afflitti”. “Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto per il tradimento di Giuda e di Pietro, il dolore per la morte dell’amico Lazzaro”, ha ricordato Francesco, ma Gesù “non abbandona quelli che ama”, come scrive sant’Agostino. “Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere sapendo di essere compreso”, la tesi del Papa: “Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione”. “Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui”, ha ammonito Francesco: “Come lui consola, così noi siamo chiamati a consolare”. “La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza”. Ne è convinto il Papa, che nell’omelia della Veglia per “asciugare le lacrime”, ha fatto notare che “nel momento dello smarrimento, della commozione e del pianto, emerge nel cuore di Cristo la preghiera al Padre”. “Anche noi, nella preghiera, possiamo sentire la presenza di Dio accanto a noi”, ha garantito Francesco: “La tenerezza del suo sguardo ci consola, la forza della sua parola ci sostiene, infondendo speranza”. Dobbiamo fare, allora, come Gesù, che “presso la tomba di Lazzaro pregò dicendo: ‘Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto'”. “Abbiamo bisogno di questa certezza: il Padre ci ascolta e viene in nostro aiuto”, ha esclamato il Papa: “L’amore di Dio effuso nei nostri cuori permette di dire che quando si ama, niente e nessuno potrà mai strapparci dalle persone che abbiamo amato”, come ci ricorda “con parole di grande consolazione l’apostolo Paolo” nella Lettera ai Romani. “La forza dell’amore trasforma la sofferenza nella certezza della vittoria di Cristo e nostra con Lui, e nella speranza che un giorno saremo di nuovo insieme e contempleremo per sempre il volto della Santissima Trinità”, ha concluso Francesco: “Vicino ad ogni croce c’è sempre la Madre di Gesù. Con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime. Con la sua mano ci fa rialzare e ci accompagna nel cammino della speranza”.

Le testimonianzeDurante la veglia ci sono state anche delle testimonianzeLa morte del figlio La prima testimonianza della Veglia per “asciugare le lacrime”, nella basilica di San Pietro, è stata quella della famiglia Pellegrino, toccata dal dramma del suicidio di un figlio, Antonio. La prima a parlare è stata la madre, Giovanna, 48 anni: “Il mio primo figlio è da quasi cinque anni in cielo perché inspiegabilmente ha deciso di togliersi la vita a soli 15 anni”. “Ha trascinato nella tomba anche me, la mia mente, la mia anima”, la testimonianza toccante e commossa di Giovanna: “Ma Dio si è chinato e ha asciugato le mie lacrime, mi ha dato la forza, mi ha impedito di impazzire, di distruggere me stessa e la mia famiglia”. Poi ha preso la parola Raffaele, che insieme a Chiara è il fratello di Antonio: “Avevo una rabbia enorme, il Signore mi aveva privato di mio fratello a 9 anni, mi sono allontanato dalla Chiesa”. Ma poi, grazie alla misericordia di Dio, Raffaele è maturato e cresciuto. “Durante il funerale di Antonio – ha raccontato il papà – mi sentivo confuso, contemplavo un corpo meraviglioso ma inerme: avevo fallito come genitore, come uomo, come cristiano. Ero nulla”. “Poi – ha proseguito – uno sconosciuto mi ha abbracciato e mi ha detto: ‘Ho avuto la stessa tua esperienza due anni fa con mia figlia, coraggio, sono qui per te’. Era un abbraccio che veniva direttamente dal cielo, era la misericordia di Dio”.Il cristiano fuggito dal Pakistan Felix Quaiser è un rifugiato politico, giornalista pakistano appartenente alla minoranza cattolica presente nel Paese, scappato in Italia per mettere al sicuro la sua famiglia. È la seconda testimonianza portata davanti al Papa.“Il mio lavoro era la mia battaglia”, ha esordito Felix spiegando come poi l’abbia dovuto abbandonare a causa delle minacce crescenti verso di lui e la sua famiglia. Così la decisione di partire per Roma, dove è stato “catapultato all’improvviso in un Paese straniero e lontano dalle persone a me più care”, ha raccontato.“È stata molto dura”, ha ammesso, “mia moglie e i miei due bambini erano rimasti in Pakistan”. Dopo due anni, il ricongiungimento e l’abbraccio con la sua famiglia: “Ho capito che il peggio era passato, che insieme ce l’avremmo fatta”. Ora Felix e sua moglie, grazie ai padri gesuiti, lavorano in uno studentato di Venezia e i loro due figli vanno a scuola, “hanno imparato presto e bene l’italiano e oggi il loro futuro è qua”.

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