martedì 21 ottobre 2014
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La beatificazione di Paolo VI, che fu arcivescovo di Milano dal 1954 al 1963, quando venne chiamato a succedere a Giovanni XXIII a Concilio aperto, «è per tutti – e in un modo speciale per gli ambrosiani – un invito a far tesoro oggi dell’eredità spirituale e pastorale di Montini che ci viene affidata in ordine a far crescere la Chiesa secondo il disegno del suo Signore e a far maturare una società umana, più giusta, libera e solidale». Ne è convinto il cardinale Dionigi Tettamanzi, terzo successore di Montini sulla cattedra di Ambrogio, appena rientrato da Roma, dove ha vissuto la gioia grande e contagiosa della beatificazione di Paolo VI. Dai Vespri di sabato nella Basilica dei Santi Apostoli, al rito di domenica in piazza San Pietro, alla Messa di ringraziamento presieduta dal cardinale Scola ieri in San Paolo fuori le Mura, l’arcivescovo emerito di Milano ha condiviso il cammino dei pellegrini ambrosiani. E ora condivide con Avvenire la propria testimonianza e riflessione. Con lo sguardo rivolto in particolare agli anni milanesi di Montini.Eminenza, lei ricevette l’ordinazione sacerdotale il 28 giugno 1957 dalle mani dell’arcivescovo Montini, il futuro Paolo VI. Che cosa ricorda di quel giorno e dei primi incontri con Montini? Cosa ricorda della sua figura, della sua personalità umana e spirituale?Ricordo, insieme al grande dono d’essere stato ordinato sacerdote. l’appello vibrante dell’arcivescovo a vivere un amore tipicamente pastorale, ad avere un "cuore missionario" sempre spalancato ad accogliere tutti, nessuno escluso, per donare la gioia del Vangelo. Quanto ai primi incontri da sacerdote con Montini li ricordo segnati tutti da una singolare affabilità, espressione di una delicata paternità. Il senso della sua "grandezza", lungi dall’allontanare l’arcivescovo, me lo avvicinava.Quale traccia ha lasciato l’arcivescovo Montini nella vita, nella spiritualità, nello stile pastorale del giovane sacerdote Tettamanzi?Il Seminario mi ha educato a vivere il sacerdozio con un profondo senso ecclesiale. E così i miei anni di "giovane sacerdote" hanno conosciuto una preziosa freschezza e un entusiasmo forte nel seguire le linee di pensiero e di azione dell’arcivescovo, che venivano rivelando una spiritualità incentrata sul «Cristo è tutto per noi» (sant’Ambrogio) e proponendo una pastoralità d’apertura fiduciosa e amicale nei riguardi di un mondo chiamato a ritrovare nella fede la sorgente e l’energia per l’affermarsi di un’umanità autentica e coraggiosa.Montini fu chiamato «l’arcivescovo dei lavoratori». Come possiamo declinare oggi il suo insegnamento nella Milano attanagliata dalla crisi economica e occupazionale?Spiritualità e realismo, lettura di fede e conoscenza profonda degli aspetti umani anche i più nuovi e complessi sono stati il metodo seguito da Montini nell’affrontare, con un approccio ad un tempo evangelico e razionale, i più disparati problemi della vita sociale, economica, culturale del tempo. Un metodo, questo, ancor più necessario e insieme decisamente fecondo nel dare risposte vere e concrete ai problemi sollevati dalle varie crisi che la storia nel suo sviluppo conosce. Il riferimento di Montini ai lavoratori è stato non solo un momento concreto della sua azione pastorale, ma soprattutto un segno eloquente di un dialogo e di una amicizia ch’egli ha voluto ritrovare e promuovere tra la Chiesa e il mondo. Nella linea peraltro della Dottrina sociale della Chiesa.Montini fu anche il pastore di una città che cambiava profondamente, fra immigrazione dal Sud Italia, espansione urbanistica, nuove periferie, modernizzazione. Nella Milano che oggi richiama e accoglie immigrati dal Sud del mondo, metropoli «plurale», religiosa e secolarizzata insieme, è ancora attuale la lezione di Montini?I cambiamenti registrati allora nell’ambito economico-finanziario, sociale, culturale e religioso sono stati di singolare velocità e profondità e hanno sottoposto la città ad un’evoluzione quanto mai rapida e ampia. In questo contesto dobbiamo riconoscere alla laboriosità tipica di Milano e all’anima profondamente cristiana della Chiesa ambrosiana l’essersi impegnate senza nostalgia nella costruzione di una società "nuova", davvero all’altezza dei tempi. Da qui l’esplosione di un’energia culturale e spirituale che ha portato da un lato a risposte positive e dall’altro lato allo sviluppo di situazioni gravate da non pochi "squilibri". Si tratta di non piccole disuguaglianze nell’ambito economico-finanziario tra "ricchi" e "poveri", in quello urbanistico tra "centro" e "periferie", a livello culturale fra "tradizione" e "novità", nell’ambito religioso tra cristiani e credenti di altre religioni e non credenti. Ne è derivata una situazione fortemente pluralistica e ambivalente che sollecitava la città ad uno sguardo sempre più ampio e ad una presenza sempre più capace di cogliere e realizzare gli aspetti positivi e promettenti che proprio nelle crisi si dispiegano delineando così un nuovo volto della città. Dalla stagione della staticità si è passati a quella del dinamismo, del bisogno di tutto rinnovare. Ma come? È qui che emerge il genio pastorale di Montini, l’arcivescovo dall’acuto senso della storia nei suoi aspetti dinamici e futuri. E dunque l’affermarsi di una tensione escatologica, frutto dell’ascolto di ciò che lo Spirito chiede alle Chiese attraverso i «segni dei tempi».Nell’episcopato milanese del cardinal Montini vi sono scelte, iniziative, gesti, che in qualche modo anticipano scelte, iniziative, gesti del pontificato?La risposta viene immediata dal confronto tra il ministero episcopale a Milano e quello petrino da Pontefice. Il servizio pastorale vissuto nella Chiesa ambrosiana presenta tutta una serie di scelte, gesti e iniziative impregnati di autentico "profetismo": sono il frutto di un’opera che scaturiva dall’ispirazione che viene da Dio e che si compiva nel segno del coraggio evangelico, sino al dono totale e sacrificale di sé. Sto pensando allo slancio della Missio ad gentes in Africa, all’orizzonte mondiale delle sue visite alle Chiese, all’apertura all’intera umanità nel segno dell’accoglienza e della condivisione, alla spiritualità come fondamento e dinamismo di un costume morale che prende forza dal Vangelo e dalla grazia di Dio. Come non ricordare nel magistero di Montini l’alleanza inscindibile tra verità e misericordia, tra fermezza sui valori e tenerezza paterna verso le persone secondo la legge della gradualità?Montini cercò in ogni modo di "entrare in sintonia" con la città e la diocesi che Pio XII gli aveva affidato. Ma Milano – la Milano ecclesiale, ma anche la Milano politica, civile, culturale – seppe entrare in sintonia col suo arcivescovo? Seppe capirne la grandezza, la profondità, la modernità, le "profezie"?La Milano civile ed ecclesiale di allora non solo ha ammirato la figura e l’opera dell’arcivescovo Montini, ma ne ha seguite le indicazioni e le provocazioni. Certo, secondo la diversità propria delle libertà umane. L’evento però della beatificazione di Paolo VI è per tutti – e in un modo speciale per gli ambrosiani – un invito a far tesoro oggi dell’eredità spirituale e pastorale di Montini che ci viene affidata in ordine a far crescere la Chiesa secondo il disegno del suo Signore e a far maturare una società umana, più giusta, libera e solidale.
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