giovedì 27 novembre 2014
L’ex presidente della Commissione europea rilegge le parole del Pontefice. «Non solo un generico ammonimento ma l’invito a una rifondazione etica»
Il grande filosofo francese Brague: «Dobbiamo auspicare un’agorà delle idee»
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«Mi ha colpito che il Papa abbia voluto usare il termine "nonna" per definire l’Europa in questo momento. Un sostantivo affettuoso. Pur essendo severo il giudizio complessivo, non ha voluto infierire definendola "Europa tiranna" o "egoista". Una nonna, invece, come a dire che ha un grande passato ma non lotta per conquistare il futuro, fa poco perché i nipoti possano cambiare vita. E oggi l’Unione europea sembra proprio così: rinunciataria». Il giorno dopo lo storico discorso di Francesco al Parlamento europeo a Strasburgo, Romano Prodi rilegge le parole del Pontefice anche alla luce della sua personale esperienza di presidente della Commissione europea nel quinquennio decisivo 1999-2004.Certo è difficile che un intervento, per quanto autorevole, riesca a cambiare il corso della politica europea, «molti oggi lo liquidano solo come un ammonimento morale – nota il professore –. Senza accorgersi che si tratta invece di un discorso di grande spessore e forza. Perché non si limita a mostrare la modernità della Chiesa e del suo pensiero, ma va più a fondo avvertendo in sostanza che anche una corretta economia non si ripristina senza una rifondazione etica, potremmo dire senza una "redistribuzione" dei valori etici. Di fronte a un Parlamento europeo certamente poco sensibile su questi temi, il Papa ha richiamato in maniera netta la centralità della persona umana, la sua dignità trascendente, l’esigenza della solidarietà, il valore della vita; ha messo in guardia sui drammi dell’eutanasia e dell’aborto. Insomma, un richiamo ai valori fondanti».Un deficit etico, quello di cui sembra soffrire l’Europa, che finisce per minare i pilastri stessi sui quali si è costruito il grande progetto europeo. A partire dalla democrazia che, avverte il Pontefice, rischia di essere ridotta a un semplice nominalismo. «È il dramma della democrazia moderna dominata da una politica di corto respiro. Oggi a pesare sono purtroppo soprattutto i sondaggi, le elezioni locali ripetute. Il mondo politico vive sempre più nel breve periodo, accorcia i propri orizzonti decisionali senza accorgersi che i problemi da affrontare – sanità, scuola, previdenza, ricerca e sviluppo – sono in realtà di lungo periodo. Quando questa discrasia cresce, allora sì la democrazia diventa a rischio di essere ridotta a un nominalismo vuoto».Un pericolo che, nell’analisi di Papa Francesco, trova un corollario nella deriva dell’esaltazione dei diritti individualistici in contrapposizione al bene comune. «Io lo riscontro molto chiaramente nel continuo attacco allo Stato sociale, a quel modello che è stata la più grande conquista del Continente nel secolo scorso – spiega Romano Prodi –. Intendiamoci: che si debba stare attenti a quanto si spende è sacrosanto e da presidente del Consiglio l’ho fatto, tanto che durante il mio governo il debito pubblico è sceso al di sotto del 100% del Pil (oggi è al 130%, ndr). Non sono lassista, dunque. Ma non si può ragionare come fa ora la cancelliera Angela Merkel che dice: "L’Europa ha il 6% della popolazione mondiale, produce il 20% del Pil e gode del 40% della spesa del welfare mondiale, non possiamo continuare così". Si tratta semplicemente di una redistribuzione delle risorse a favore di chi ha di meno. Lo Stato sociale è la nostra forza, dobbiamo adattarlo ai tempi. Altrimenti rimane solo il trionfo dell’individualismo sulla solidarietà». Il riferimento del pontefice ai «diritti individualistici» ha anche una valenza propriamente etica e sociale, come testimonia il concomitante richiamo al valore fondativo della famiglia. «Ma non si può dividere la chiave etica da quella economica e viceversa – riflette ancora l’ex premier che sui temi della crisi e delle disparità ha tenuto ieri una <+CORSIVOA>lectio magistralis <+TONDOA>all’Università Bicocca di Milano –. Perché la mancanza di senso della giustizia distributiva porta conseguenze immediate sul piano sociale come la mancanza di sviluppo, l’esclusione dei disoccupati e il dramma dei giovani che neanche più cercano lavoro, senza più futuro. Con un declino etico complessivo». Basti pensare a quando Francesco parla del «lavoro che unge di dignità» la persona e la cui mancanza è «peggio di non avere il cibo o il minimo per vivere». Per il Papa c’è quindi un’Europa che ha necessità di «ritrovare un’anima». L’ha persa dai tempi della sua presidenza?, chiediamo. «In quei cinque anni – risponde Prodi – abbiamo deciso l’allargamento dell’Unione a 10 Paesi, unico caso al mondo di vera "esportazione della democrazia". Abbiamo costruito l’euro prevedendo strumenti di solidarietà e un programma di riforme fiscali ed economiche da portare avanti. Abbiamo scritto la Costituzione della Ue. Cosa è accaduto dopo? La Costituzione è stata bocciata, i provvedimenti di riforma non stati portati a termine, la politica regionale non ha fatto grandi progressi. Non si sono mantenute le promesse nei confronti dell’area del Mediterraneo del Sud, con conseguenze forse sull’involuzione di alcuni Paesi. L’"Europa della speranza" è diventata l’"Europa della paura". Sono spuntati i movimenti populisti, i partiti tradizionali si sono rinchiusi in se stessi. L’intero edificio dell’Europa scricchiola...».Siamo dunque al baratro, prossimi al fallimento del progetto europeo oppure a una nuova sfida da affrontare, come dice il Papa ritrovando forza dalla proprie radici? «Se guardo alla storia dell’Europa devo essere non dico ottimista ma quasi. Ci sono stati momenti anche peggiori. Ma di fronte alle sfide mondiali, l’Europa è sempre riuscita poi ad andare avanti. Ne abbiamo la forza. Spero solo che la Germania capisca che è troppo piccola per continuare da sola nel mondo globalizzato. Il piano Juncker da 300 miliardi è un tassello, certo non è molto per un’Unione di 500 milioni di cittadini e non è neppure garantito che siano tutti fondi aggiuntivi. Guardiamo invece agli Stati Uniti e alla Cina: hanno iniettato l’una 800 e l’altra 600 miliardi di dollari e ora sono fuori dalla crisi. Da noi purtroppo è prevalsa una politica suicida di paralisi. All’Europa serve maggiore unità e responsabilità».
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