domenica 22 settembre 2013
Per l'isola una fiducia nuova dopo la visita di domenica. Bergoglio accanto ai poveri, ai giovani, ai disabili, ai lavoratori, chiedendo a loro nome che non manchi per nessuno la possibilità di «portare a casa il pane guadagnato con il lavoro». (Mimmo Muolo)
LE PAROLE DEL PAPA La preghiera per il lavoro | L'omelia | L'Angelus | Ai poveriAl mondo della cultura |  Ai giovani
EDITORIALI Una preghiera per l'uomo di Antonello Mura | Il piccolo ritorno di Francesco di Salvatore Mannuzzu
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Il denaro è un idolo, un sistema economico senza etica, che ruba la speranza e la dignità umana. Ed è la ragione più profonda della crisi profonda che il mondo sta vivendo e che mangia posti di lavoro, creando disoccupazione e sofferenza. Per questo occorre «dire no» a questo idolo ingiusto e «rimettere al centro l’uomo». Papa Francesco ha lanciato da Cagliari (in una terra profondamente toccata da povertà e precarietà occupazionale) il suo nuovo “manifesto” sociale, schierandosi dalla parte dei lavoratori e chiedendo in preghiera a loro nome che non manchi per nessuno la possibilità di «portare a casa il pane guadagnato con il lavoro». «Signore Gesù – ha invocato - dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro». Sono queste le istantanee della prima parte della visita del Pontefice nel capoluogo sardo, dove è arrivato alle 8,15 e dove ha tenuto un memorabile discorso a braccio nel primo incontro della giornata (quello con il mondo del lavoro riunito a Largo Carlo Felice), prima di celebrare la Messa e recitare l’Angelus all’esterno del Santuario della Vergine di Bonaria.Straordinaria la partecipazione della folla (120-150mila persone nei diversi appuntamenti) che ha tributato al Papa un lungo e caloroso abbraccio. Commovente l’incontro con i lavoratori, partecipata e raccolta (nonostante i numeri imponenti) l’Eucaristia domenicale. Estremamente affettuoso il saluto a circa 1300 ammalati, che hanno trovato posto nella Basilica della Bonaria. Ma ciò che resta nella memoria di questa mattinata sono soprattutto le parole sulla questione lavoro. Il lavoro è dignitàDopo aver ascoltato il saluto accorato di un operaio cassintegrato, di un’imprenditrice e di un agricoltore, Francesco ha praticamente messo da parte il discorso scritto e si è lasciato guidare dal cuore. «Con questo incontro ha esordito - desidero soprattutto esprimervi la mia vicinanza, specialmente alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassa-integrazione o precarie, agli imprenditori e commercianti che fanno fatica ad andare avanti». Quindi ha ricordato che anche nella sua famiglia, prima della sua nascita, si era vissuta una situazione del genere. «Io non l'ho visto, ma ho sentito in casa parlare di questa sofferenza. Conosco bene questo». Di qui il suo appoggio. Devo dirvi: “Coraggio!”. Ma sono cosciente che devo fare di tutto, perché questa parola “coraggio” non sia una bella parola di passaggio! Non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: “Coraggio!”. No! Questo non lo voglio! Io vorrei che questo coraggio - ha affermato il Papa interrotto ripetutamente dagli applausi - venga da dentro e mi spinga a fare di tutto come pastore, come uomo». «Coraggio! – ha ripetuto - Dobbiamo affrontare con solidarietà e intelligenza questa sfida storica».La mancanza di lavoro, infatti, «porta a sentirti senza dignità». «Dove non c’è lavoro, manca la dignità», - ha proseguito Francesco. E quindi, allargando lo sguardo, ha aggiunto: «Questo non è un problema della Sardegna soltanto - ma è forte qui! - non è un problema soltanto dell’Italia o di alcuni Paesi di Europa, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia; un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro. Dio ha voluto - ha osservato il Pontefice - che al centro del mondo, non ci sia un idolo, ma ci sia l’uomo, l’uomo e la donna, che portino avanti, col proprio lavoro, il mondo. Ma adesso in questo sistema, senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatro di questo "dio denaro". Comandano i soldi! Comanda il denaro! Comandano tutte queste cose che servono a lui, a questo idolo».Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. «Per difendere questo idolo si ammucchiano tutti al centro e cadono gli ultimi, cadono gli anziani, perché in questo mondo non c’è posto per loro! Alcuni parlano di eutanasia nascosta - ha proseguito il Pontefice - di non curarli, di non averli in conto. E cadono i giovani che non trovano il lavoro, la dignità. Ma un mondo dove i giovani - due generazioni di giovani - non hanno lavoro non ha futuro».La preghiera per il lavoro Un'autentica ovazione ha sottolineato questo passo del discorso. «Lavoro, lavoro, lavoro», ha scandito la folla. E il Papa ha risposto: «Questa è la preghiera. E’ una preghiera necessaria. Lavoro vuol dire dignità, lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare. Per difendere questo sistema economico idolatrico si istaura la “cultura dello scarto”: si scartano i nonni e si scartano i giovani. E noi dobbiamo dire “no” a questa “cultura dello scarto”. Noi dobbiamo dire: “Vogliamo un sistema giusto. un sistema che ci faccia andare avanti tutti”. Dobbiamo dire: “Noi non vogliamo questo sistema economico globalizzato, che ci fa tanto male!”. Al centro devono esserci l’uomo e la donna come Dio vuole, e non il denaro!». Quindi ha aggiunto: «A tutti, a tutti voi, quelli che avete lavoro e quelli che non avete lavoro, vi dico: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Forse la speranza è come la brace sotto le ceneri: aiutiamoci con la solidarietà, soffiando sulle ceneri, perché il fuoco venga ravvivato. Ma la speranza ci porta avanti. Quello non è ottimismo, è un’altra cosa. Ma la speranza - ha detto - non è di uno: la speranza la facciamo tutti. Per questo vi dico: “Non lasciatevi rubare la speranza!”. Ma siamo furbi - ha osservato - perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi do noi. In questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema globalizzato di vita, al centro c’è un idolo e questo non si può fare! Lottiamo tutti insieme perché al centro, almeno della nostra vita, ci siano l’uomo e la donna, la famiglia, tutti noi, perché la speranza possa andare avanti. Non lasciatevi rubare la speranza». ha ripetuto Papa Francesco, congedandosi con una preghiera. «Signore Dio guardaci! Guarda questa città, questa isola. Guarda le nostre famiglie. Signore, a Te, non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, eri felice. Signore, ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi, facendoci dimenticare un po’ l’egoismo per sentire nel cuore il “noi”, noi, popolo, che vuole andare avanti. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi».La Messa sotto lo sguardo di MariaNel discorso scritto (che si dà per letto ed è stato consegnato all’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio) il Papa spiegava che «la crisi non è solo economica, ma etica, spirituale e umana. E alla radice c’è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli, che di gruppi di potere. E’ necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita». Successivamente, nell’omelia della Messa, Francesco ha completato il concetto: «E’ necessaria la collaborazione di tutti, con l’impegno delle istituzioni, per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali, e far crescere una società più fraterna e solidale». Quindi, rivolgendosi alla Vergine della Bonaria, patrona della Sardegna (che tra l’altro ha dato il nome a Buenos Aires), il Papa ha detto: «Madre, donaci il tuo sguardo». Lo sguardo della Madonna, infatti, «ci aiuta a guardarci tra noi in modo fraterno». E’ lo sguardo che ci insegna ad «accogliere, accompagnare, proteggere i più abbandonati, i malati, coloro che non hanno di che vivere, coloro che non conoscono Gesù, i giovani che non trovano lavoro». Soprattutto, ha auspicato Francesco, «il nostro cuore di figli sappia difendere quello sguardo da tanti parolai che promettono illusioni; da coloro che hanno uno sguardo avido di vita facile, di promesse che non si possono compiere». Al termine della celebrazione, ha detto a nome di tutti l’arcivescovo di Cagliari, Arrigo Miglio, «ci siamo sentiti amati in modo tutto particolare. Sappia che i sardi non dimenticano mai chi vuole loro bene. Con la sua visita nasce una speciale parentela spirituale e affettuosa tra lei e la Sardegna».
Mi sento a casa in mezzo a voi
Francesco apre il suo pomeriggio pubblico a Cagliari incontrando poveri e carcerati. Ma dimostra di essere a casa anche nei successivi appuntamenti con la comunità accademica (nella sede della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna) e con i giovani, per incontrare i quali torna a Largo Carlo Felice, lì dove la sua giornata era iniziata con il grande discorso sul lavoro, coronato poi dalla preghiera a Dio per il lavoro a tutti. Gli incontri del pomeriggio, in un certo senso costituiscono la logica continuazione delle riflessioni mattutine, culminate nella Messa di Bonaria. Solidarietà, invoca il Papa davanti ai poveri e ai carcerati. Solidarietà per battere la crisi e la violenza (nella cronaca c’è infatti anche la condanna dell’attentato nella Chiesa di Peshawar in Pakistan: “E’ una scelta sbagliata e di odio e di guerra. Sono morte 70 persone. Non va, non serve. Bisogna costruire la pace”). Quindi, al mondo accademico dice che di fronte a questa crisi non ci possono essere disillusione e rassegnazione. Occorre speranza. “Ascoltare la “musica” diversa dei giovani. Aprirsi alle loro intuizioni”. E speranza raccomanda naturalmente anche ai giovani. Non siate seguaci della “dea lamentela, ma di Cristo”. Infine confida: “Sono felice di essere sulla strada di Gesù da 60 anni. Non mi sono pentito. E non perché sono forte come Tarzan, ma perché Gesù non mi ha mai abbandonato”.I poveri carne di CristoDopo il pranzo con i vescovi sardi nel seminario, il Papa incontra nella Cattedrale i poveri, i detenuti (questi ultimi provenienti anche dal carcere minorile di Quartucciu, oltre che dalla Casa circondariale Buon Cammino per gli adulti), i volontari della Caritas e a loro dice: “Nessuno di noi è migliore dell’altro, siamo tutti uguali davanti al Padre. Questa è la vostra casa”.  Così l’incontro si trasforma subito in una festa di famiglia. L’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio, aveva del resto sottolineato nel suo saluto: “Questa è l’occasione per ospitare i rappresentanti delle diverse povertà un po’ come si accolgono gli ospiti di riguardo nella sala più bella di una casa”.E in effetti Francesco appare completamente a suo agio. Abbraccia i bambini, saluta i carcerati, si intrattiene con le famiglie e i diversi gruppi dei presenti, accarezza alcuni portatori di handicap, così come in mattinata aveva abbracciato nel Santuario di Bonaria diversi ammalati tra i quali Antonio Aste, un anziano lebbroso. Gesti e parole del Papa sono l’esatta incarnazione del suo applaudito discorso, con frequenti aggiunte a braccio. “La carità non è assistenzialismo, per mettere a tacere la coscienza, ma una scelta di vita”. “Stare con i piccoli e gli esclusi non è moralismo o ideologia, ma parte dall’amore”. “Gesù non è venuto nel mondo a fare una sfilata, per farsi vedere. Gesù è la via, e una via serve per camminare, per percorrerla”. Dunque occorre percorrere questa strada con umiltà, specie in un mondo in cui “la parola solidarietà rischia di essere cancellata dal dizionario perché dà fastidio”.“Dobbiamo fare le opere di misericordia con misericordia – afferma il Papa -. Le opere di carità con carità, con tenerezza, e sempre con umiltà. Sapete? A volte si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri. Alcuni si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; alcuni strumentalizzano i poveri e questo è un peccato grave perché è usare la carne di Cristo per la propria vanità”. Dunque “sarebbe meglio che rimanessero a casa”. Infine il Papa afferma che “sulla via della carità noi seminiamo speranza. La società italiana ha molto bisogno di speranza, e la Sardegna in particolare”. Perciò avanti su questa strada in collaborazione con le pubbliche istituzioni, “nel rispetto delle rispettive competenze”.L’università contro disillusione e pessimismo. Aprirsi ai giovaniAnche l’Università può seminare speranza, afferma il Pontefice nel successivo incontro con il mondo accademico. Ci sono, è vero segnali preoccupanti (“deterioramento dell’ambiente, squilibri sociali, terribile potenza delle armi, sistema economico-finanziario”), ma “la crisi non è solo pericolo. Può essere anche opportunità, purificazione”. Di certo, però, “il pessimismo porta a una sorta di paralisi dell’intelligenza e della volontà”. Il Papa vede invece l’Università come “luogo del discernimento, senza letture ideologiche e parziali” (un discernimento “basato sulla visione della persona in tutte le sue dimensioni: non si può considerare mai la persona come “materiale umano””). Parla quindi degli Atenei come luogo “dell’incontro e non dello scontro”, anche aperto alla trascendenza: “La fede non riduce mai lo spazio della ragione, ma lo apre a una visione integrale dell’uomo e della realtà” (evidente qui l’eco del magistero di Papa Ratzinger). E inoltre il Papa invoca l’Università “come luogo di formazione alla solidarietà”, parola “fondamentale nel vocabolario umano e non solo cristiano”. “Non c’è nessun futuro per nessun Paese, per nessuna società, per il nostro mondo, se non sapremo essere tutti più solidali”. Infine aggiungendo un passaggio a braccio al discorso scritto, fa notare: “Pensando a questa realtà dell’incontro nella crisi, ho trovato nei politici giovani un’altra maniera di pensare la politica. Non dico migliore, ma in un’altra maniera. Parlano diversamente, stanno cercando. La musica loro è diversa dalla musica nostra. Non abbiamo paura! Sentiamoli, parliamo con loro. Loro hanno un’intuizione: apriamoci alla loro intuizione. E’ l’intuizione della vita dei giovani. Dico i politici giovani perché è quello che ho sentito, ma i giovani in genere cercano questa chiave diversa. Per aiutarci all’incontro, ci aiuterà sentire la musica di questi politici scienziati, pensatori giovani”.
I giovani, cioè il futuroE proprio parlando ai giovani, significativamente, il Papa si congeda da Cagliari e dalla Sardegna. Decine di migliaia, pigiati nella calca del Largo Carlo Felice, troppo stretto per contenere tutti. Scene da Gmg, fresco ricordo. Entusiasmo alle stelle e anche una tipica danza sarda in costume, oltre al saluto dei calciatori del Cagliari. Ma al di là del contesto gioioso, la collocazione dell’incontro è già un messaggio. Loro sono il futuro, sembra dire il Pontefice. A loro bisogna pensare fin da domani. Anche perché, come ricorda nel suo saluto Ivano Sais, giovane del Sulcis Iglesiente, “la nostra è una terra in crisi dove le miniere hanno lasciato il posto alle fabbriche e le fabbriche il posto al nulla”. Così, al sottinteso, Francesco aggiunge le sue parole esplicite. Parole che invitano i giovani stessi a farsi protagonisti della loro vita. No al pessimismo e alla sfiducia. Anche di fronte al fallimento: “Ad esempio alla cresima hanno cambiato il nome: Sacramento dell’addio. Fanno questo e se ne vanno”. Ma “voi giovani non potete e non dovete essere senza speranza, la speranza fa parte del vostro essere. Un giovane senza gioia e speranza e preoccupante. Non è un giovane. E spesso finisce per andarla a cercare dai venditori di morte”. “Per favore non vendete la vostra gioventù ai mercanti di morte. Voi tutti capite a chi mi riferisco (cioè i trafficanti di droga, ndr)”.Di qui l’invito “a fidarsi di Gesù, che non vende illusioni”. Francesco offre a questo proposito una straordinaria testimonianza della propria vocazione, di cui ieri ricorrevano i 60 anni. “Ve lo dico non perché mi facciate una torta – scherza il Papa – ma per testimoniare che non sono pentito. Sono stati 60 anni sulla strada del Signore, con momenti felici, ma anche con fallimenti, fragilità, peccati. Ma io sono felice e mi sento forte non perché sono Tarzan – dice suscitando l’ilarità generale – ma perché anche nel momento del peccato e della fragilità ho guardato Gesù, mi sono fidati di Lui e non mi ha mai abbandonato. Fidatevi di Gesù”, sottolinea.“Giovani di Sardegna, prendete il largo e calate le reti. Seguire Gesù è impegnativo, vuol dire non accontentarsi di piccole mete, del piccolo cabotaggio, ma puntare in alto con coraggio”. “Non è buono fermarsi al “non abbiamo preso nulla” - aggiunge in riferimento alla nota pagina di Vangelo in cui Pietro ritorna a pescare su suggerimento del Signore – C’è la minaccia del lamento, della rassegnazione. Questi li lasciamo a quelli che seguono la “dea lamentela”. Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è buono darci per vinti. La strada è Gesù: farlo salire sulla nostra “barca” e prendere il largo con Lui”. Infine due raccomandazioni: “Non esitate a spendere la vostra vita per testimoniare con gioia il Vangelo, specialmente ai vostri coetanei. Il vostro contributo è indispensabile per la missione della Chiesa”. E l’invito alla preghiera: “Pregate spesso la Madonna di Bonaria: è una buona mamma”.​
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