lunedì 6 maggio 2013
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«Santa Maria di Oropa, ti affido la mia nipotina di tre anni che non cammina». «Guida la mano del chirurgo che domani opera mio fratello». «Grazie, o Madonna, per avere ascoltato il pianto di una mamma, fammi vivere fino a quando mio figlio non avrà più bisogno di me». «Ho sbagliato tante volte, forse è troppo tardi, ma chiedo lo stesso l’intercessione di tuo Figlio per cambiare vita». «Una preghiera perché possa arrivare il bimbo che da tanto tempo desideriamo». «O Madonna, salva il mio matrimonio e ti consacrerò la mia vita». Le ferite, le gioie e le attese di un’intera esistenza condensate in poche parole vergate a mano nelle pagine del libro dei pellegrini. Decine ogni giorno, scritte anche in francese, inglese, tedesco. Frammenti di umanità deposti davanti alla Madonna in uno dei santuari più antichi e frequentati di un’Italia in cui la devozione mariana conserva solide radici, che in questo mese di maggio vengono alla luce in maniera ancora più significativa. «Questo non è un luogo di passaggio, devi scegliere di salire fino a 1.200 metri, ti deve portare fin qui una motivazione forte. Ci viene gente con una fede profonda, gente che l’ha smarrita ma ne conserva ancora la memoria e la nostalgia, gente che si dichiara non credente ma si trova a fare i conti con le prove che l’esistenza le ha messo davanti: la malattia, la morte di una persona cara, un figlio che si è perso nei meandri della droga, una crisi coniugale. E allora cerca risposte, cerca un senso, un abbraccio alla propria fatica. È così da secoli, come testimoniano gli archivi del santuario, le centinaia di ex-voto, i libri del pellegrino che grondano umanità, e i tanti incontri che capita di fare qui». La mano di don Michele Berchi – biellese purosangue, alle spalle un’esperienza missionaria di otto anni come sacerdote fidei donum in Perù, rettore dal 2008 – indica la scritta in lettere d’oro sul portale d’ingresso della basilica antica, dove è custodita la statua della Vergine bruna col Bambino venerata da secoli: «Quam beatus, o Beata, quem viderint oculi tui». «In quella frase c’è tutto: "Quanto è beato, o Vergine Beata, colui sul quale si posano i tuoi occhi". Essere raggiunti da uno sguardo d’amore, sentirsi accolti da un abbraccio più grande dei nostri limiti, è questo che permette di ripartire nella vita. È successo a Zaccheo, alla samaritana, ai pubblicani, che si sono sentiti guardati da Gesù come mai era accaduto prima, e dopo quello sguardo la loro vita ha iniziato a cambiare. Lo dice con un’altra mirabile frase sant’Agostino: "Visus est, et vidit", fu guardato e vide. Ed è l’esperienza che fanno tanti pellegrini dopo avere pregato in questo luogo». La fortezza della fede. Visto da lontano, il santuario della Madonna di Oropa appare come una fortezza. E le sue origini, che tra storia e tradizione risalgono fino al quarto secolo, raccontano di un’indomita volontà di difendere la fede. Una volontà testimoniata anzitutto da sant’Eusebio, vescovo di Vercelli, un’esistenza spesa per contrastare l’eresia ariana che negava la natura divina di Gesù. Perseguitato e costretto alla fuga, si fece ardente predicatore di Maria come madre di Dio, affermazione riconosciuta più tardi come dogma dal Concilio di Efeso (431). E dalla devozione mariana da lui coltivata e promossa sono nati luoghi di culto come Crea e Oropa, argini all’arianesimo dilagante e sorgenti di nuova evangelizzazione. La storia del santuario è un succedersi di rifacimenti e ampliamenti – con una rilevante partecipazione dei Savoia – resi necessari dalla moltiplicazione dei pellegrini, fino all’inaugurazione della "basilica nuova" aperta al culto nel 1960. Il risultato è un imponente complesso di edifici collegati tra loro da ampi porticati a livello del terreno, sovrastati da loggiati e gallerie ai piani superiori, per consentire ai pellegrini – anche in inverno o nelle giornate di pioggia – di muoversi al coperto per accedere alla basilica, ai locali di ristoro, ai negozi di acquisto delle vettovaglie e di articoli religiosi, agli alloggi. «Nel Settecento potevano dormire qui fino a duemila persone, oggi mettiamo a disposizione 650 posti letto, l’offerta va dalla camera singola a soluzioni più spartane con stanze plurime e bagno in comune – spiega don Berchi –. Ospitiamo quasi 30mila persone all’anno: gruppi parrocchiali, di associazioni e movimenti, famiglie. In questi anni è cresciuta la presenza di studenti che passano qui alcuni giorni per preparare gli esami universitari o la maturità. Una delle caratteristiche di Oropa, frequentata ogni anno da mezzo milione di persone, è di non essere riducibile a luogo di sola spiritualità, ma di offrire una "casa" a tutti. Fu così per secoli quando i pellegrini che arrivavano fin quassù dopo giorni di cammino cercavano riparo, ristoro e alloggio, lo è ancora oggi. Questo ha generato ristoranti, bar, negozi, spazi di incontro e ospitalità, con una stretta connessione tra fede e vita quotidiana, come confermano anche le migliaia di persone che uniscono un’escursione sulle montagne circostanti o un picnic nei boschi alla visita al santuario. Qui tutte le dimensioni dell’umano sono accolte e valorizzate, sacro e profano non sono nemici. È la casa di Maria, Regina delle Alpi, e degli uomini».Il cuore della casa di Maria è il sacello custodito nella basilica antica, dove si venera la statua in legno della Vergine con il Bambino Gesù, databile al tredicesimo secolo, il volto e le mani verniciati di nero. Un fenomeno inspiegabile l’accompagna da secoli: sul volto della Madonna e del Figlio non si posa mai la polvere. Lo attestò per primo il canonico Agostino Penna nel 1720, confermato in seguito da numerose testimonianze, fino a quella di don Berchi: «Ogni anno in novembre, in prossimità della festa della Presentazione di Maria al Tempio, tocca al rettore ripulire la statua con un panno bianco di lino. E anche l’anno scorso ho constatato che solo sui volti non rimane alcuna traccia di polvere». Non si parla di miracolo, ma il mistero che circonda il fenomeno contribuisce ad alimentare la devozione per la sacra immagine. Di miracoli la Chiesa ne ha ufficialmente riconosciuti tre, ma lungo i corridoi del santuario è un susseguirsi commovente di centinaia di quadri, fotografie, stampelle e testimonianze scritte che raccontano di grazie ricevute. Sette gli "eventi prodigiosi" rilevati soltanto durante la cerimonia della prima incoronazione della statua della Vergine, nel 1620, che radunò 30mila persone e che si ripete ogni cento anni. La quinta incoronazione è prevista per il 2020, e il rettore ha un sogno nel cassetto che la Provvidenza negli ultimi tempi sembra rendere più realizzabile che in passato: avere a Oropa il Papa. «È nota la devozione per Maria di Francesco, e sono note le sue origini piemontesi. Io ci spero, il 2020 non è così lontano...».
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