giovedì 6 agosto 2015
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Omelia di monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano Trasfigurazione 201537° anniversario della morte del beato Paolo VI 6 agosto 2015 - Grotte Vaticane Per molti anni è stato devoto appuntamento per tanti che coltivavano affetto, gratitudine e stima per Paolo VI ritrovarsi in questo giorno di festa nella Basilica Vaticana per una Santa Messa celebrata nell’anniversario della sua «pasqua» da questa terra al Cielo. Ora, che egli è già stato proclamato Beato, la nostra non è più una preghiera di suffragio, ma una domanda d’intercessione presso Dio. Siamo, allora, qui, presso la tomba di Paolo VI, semplicemente per ripetergli ciò che papa Francesco disse nell’omelia per la sua beatificazione: «Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!» (Omelia del 19 ottobre 2014). La prima memoria liturgica del beato Paolo VI nella Basilica Vaticana si farà fra poco più d’un mese, al pomeriggio del 28 settembre 2015 con la celebrazione della Santa Messa presieduta all’altare della Cattedra da S. Em. il Card. Pietro Parolin, segretario di Stato. Potremmo chiederci: perché, intanto, non v’è stata alcuna «elevazione» per il suo corpo? La risposta l’ha data lo stesso Paolo VI nelle sue volontà testamentarie. «La tomba amerei che fosse nella vera terra, come umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me». Così scrisse nelle Note firmate cinquant’anni or sono, il 30 giugno 1965. «Non desidero alcuna tomba speciale», aggiunse di prima mattina, alle ore 7,30, a Castel Gandolfo il 16 settembre 1972. «Non desidero né tomba speciale, né alcun monumento», confermò nelle Note del 14 luglio 1973. Ciò che Paolo VI ha domandato nei tre interventi testamentari è, rispettivamente, solo questo: cristiana pietà; qualche preghiera affinché Dio mi usi misericordia; qualche suffragio (beneficenze e preghiere). Nel suo notissimo Pensiero alla morte, però, egli volle riservare alla Chiesa l’ultima esortazione: «abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo». Permettete che mi soffermi solo sulle ultime battute che, nell’orizzonte del magistero e della testimonianza di papa Francesco, acquistano oggi una speciale tonalità. Paolo VI pensa, anzitutto, a una chiesa che cammina. Come non fare una sinossi con alcune parole di Francesco? La Chiesa in uscita è come un ritornello nell’esortazione Evangelii Gaudium. Montini ha pure esortato la Chiesa a camminare povera: quasi un codice simbolico per dire «libera, forte e amorosa». «Ah come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!», esclamò Francesco il 16 marzo 2013. Alla Chiesa, infine, il papa Paolo ha indicato una direzione e una meta: verso Cristo. Cristo è in noi come speranza della gloria (Col 1, 26): una sorta di cifra per l’odierna festa della Trasfigurazione. Nel suo testamento Paolo VI ha scritto di vera terra. La formula non è consueta. Noi forse al suo posto avremmo scritto: «nuda terra». Egli, no: ha scritto vera terra! È la verità della terra che san Francesco d’Assisi ha cantato e che il Papa ha ripetuto nella sua recente enciclica Laudato si’, scritta sulla cura della casa comune. Di questa Lettera, come già con la Populorum progressio di Paolo VI, qualcuno ha messo in evidenza la dimensione profetica. Proprio perché profetica, Laudato si’ contiene pure delle denunce e fra le più gravi a me pare ci sia questa: «Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini» (n. 203). Una frase che scolpisce il volto dell’odierno homo consumens. Leggendola, m’è tornata alla memoria una frase che Paolo VI ebbe cara al punto da ripeterla in più circostanze. È questa: necessaria non noverunt, quia superflua didicerunt, «hanno ignorato le cose necessarie, perché hanno voluto imparare le cose superflue». Egli la riteneva di sant’Agostino, forse perché così l’apprese da Pio XI (cfr Chirografo Ci si è domandato del 30 maggio 1929: AAS 21 (1929), 303). In realtà la frase è di Seneca (non discentes necessaria quia supervacua didicerunt: Epist. ad Lucilium 88, 37). Questo, tuttavia, non compromette la verità e la profondità dell’affermazione. D’altronde, come ripeteva san Tommaso, «la verità, chiunque la dica, è dallo Spirito Santo», omne verum a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est. Una volta Paolo VI la spiegò agli oltre mille studenti vincitori dell’annuale concorso Veritas giunti a Castel Gandolfo la domenica 14 settembre 1969. Disse: «Non è una condanna della scienza […] ma un avvertimento circa il dispendio che noi spesso facciamo per imparare, e talvolta con non poca fatica e tempo lunghissimo, cose vane, cose inutili, cose difficili e fatue, scienze astruse ed estranee ad ogni vero interesse personale ed ai problemi fondamentali della vita, ai veri valori per cui sia saggio spendere tempo e fatica; mentre restano nell’ombra le grandi questioni che riguardano i nostri destini, che toccano i segreti della nostra esistenza presente e futura, sui quali solo la religione, la vera religione, ci può dare la risposta luminosa e direttiva» (Insegnamenti, VII [1969], 623). Così diceva Papa Montini ed è, forse, pure una spiegazione di quanto oggi dice Francesco: «Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini». Tra i messaggi che ci giungono dal mistero della Trasfigurazione del Signore, che oggi celebriamo, c’è anche questo: allargare lo sguardo, liberare la mente e aprire il cuore a fini ben più robusti e di più ampio respiro. In fin dei conti, la vera terra che custodisce le spoglie mortali di Paolo VI potremmo intenderla come un indice puntato verso la «terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini» (Gaudium et spes, 39). 

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