giovedì 20 marzo 2014
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Non è ancora formalmente confluita in un’enciclica o in un altro documento quella parte di magistero che Papa Francesco sta dedicando al tema del lavoro. Ma la forza delle sue parole è tale da ricordare da vicino la Laborem exercens di Giovanni Paolo II o la Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Ciò che infatti il Pontefice ha detto oggi agli operai e ai dirigenti delle Accaierie di Terni, approfondendo concetti già espressi il 22 settembre scorso nella visita a Cagliari, è infatti anche letteralmente consonante con il documento pubblicato da Papa Wojtyla nel 1981. «Il lavoro è un bene dell’uomo. Anche se arduo, è un bene dell’uomo ¬- si legge infatti in un passagio cruciale quell'enciclica ¬-. Ed è non solo un bene utile o da fruire, ma un bene degno, cioè corrispondente alla dignità dell’uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce». Questa mattina Francesco ha ribadito: «Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali. Da qui deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità». Una corrispondenza pressoché totale, che accresce il valore dell’insegnamento di Papa Bergoglio, perché lo colloca nel pieno solco della tradizione della Chiesa e, in particolare, della sua Dottrina sociale. Allo stesso modo, quando Francesco dice che dalla crisi si esce anche e soprattutto con la solidarietà, fa sua e applica all’ora corrente l’intuizione di Benedetto XVI, che nella Caritas in veritate ricordava quanto fosse indispensabile elaborare anche in economia la categoria della gratuità, e cioè del dono, per uscire dalla miope logica del profitto a tutti i costi, che non di rada digrada nell’antica e aberrante dinamica dell’homo homini lupus. Con i suoi interventi, dunque, Francesco sta scrivendo un nuovo capitolo di quel magistero dei Papi sul lavoro, che dalla Rerum novarum in poi si è progressivamente approfondito e affinato, fino a giungere a gesti di grande valore simbolico, come la Messa celebrata da Paolo VI nell’Italsider di Taranto, la notte di Natale del 1968, o come le numerose visite compiute da Giovanni Paolo (di solito il 19 marzo di ogni anno) a varie realtà produttive, in Italia e all’estero. Siamo all’indomani della festa di San Giuseppe e in un certo senso anche Francesco ha voluto rinverdire questa sequela di appuntamenti. Rinverdire, appunto. Perché la sua è una voce che, pur inserendosi nel quadro di insegnamenti consolidati, ha la freschezza della novità, in quanto capace di adattare alle esigenze odierne l’eterna verità del Vangelo. Papa Bergoglio, infatti, va alla radice della crisi che genera disoccupazione e intacca quindi la dignità umana dei lavoratori e delle loro famiglie. E quando nella Evangelii Gaudium scrive »Il denaro deve servire e non governare», indica implicitamente ai poteri economici forti come ai ceti imprenditoriali e politici la via di una risalita non solo possibile, ma doverosa. «Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli». Parole scritte sempre nella sua prima esortazione apostolica, ma che da oggi chiedono di essere ricopiate anche in quel documento vivente che è il cuore di ogni uomo.
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