martedì 1 settembre 2015
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Creativa, fantasiosa e, soprattutto, profondamente cristiana. Bastano tre aggettivi al vescovo di Brescia, Luciano Monari, presidente della commissione episcopale Cei per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi, per sintetizzare il senso della Lettera del Papa sull'Anno della misericordia. Creativa perché il riferimento alla possibilità offerta ai sacerdoti della Fraternità San Pio X - i cosiddetti lefebvriani - di concedere "validamente e lecitamente" l'assoluzione dei peccati e di aprire così ai fedeli la strada verso l'indulgenza, è una scelta che rovescia le prospettive e diventa straordinaria prassi di misericordia concreta e praticata. «È come se il Papa dicesse: "Non importa se voi non ci considerate fratelli. Per noi lo siete e ve lo voglio dimostrare". Una scelta davvero controcorrente, che ci va capire con i fatti cos'è la misericordia». Virtù quanto mai derelitta in una società come la nostra dove i legami sempre più allentati e l'individualismo crescente, rendono di fatto impossibile l'abitudine alla misericordia. «Oggi - riprende Monari - i legami fanno paura, ce ne teniamo alla larga. La misericordia invece presuppone il legame, a vari livelli. Ci preoccupiamo del fratello che ci sta accanto, usiamo nei suoi confronti gesti di misericordia, quando riusciamo a metterci nei suoi panni. Oggi nelle nostre comunità questa condivisione purtroppo è sempre più difficile. E lo vediamo, per esempio, con l'accoglienza degli immigrati». Una deriva inevitabile, perché - spiega ancora il vescovo di Brescia -«se è vero che la misericordia si impara in famiglia, il fatto di avere nuclei sempre più frammentati e sempre meno inseriti nel cuore della vita comunitaria, non può essere senza conseguenze. Da qui la grande, fantasiosa intuizione del Papa, che con il suo riferimento diretto ai malati, ai carcerati, alle donne che hanno abortito, a chi compie gesti di misericordia, declina in modo concreto e immediato il paradigma della misericordia, essenza della vita cristiana».
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