mercoledì 16 aprile 2014
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Su come preparare un’omelia si è soffermato il Papa nell’Evangelii Gaudium, poiché, ha scritto, «molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie». Una frase che suona come una parafrasi di una battuta diffusa sulle "prediche" lunghe, noiose o malriuscite: oggi il vero sacrificio della Messa è l’omelia… Ma già prima del richiamo pontificio, a partire dall’Anno della fede e dal Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, l’Ufficio liturgico nazionale, in collaborazione con quello Catechistico e quello per le Comunicazioni sociali, aveva pensato di avviare ProgettOmelia, itinerario di formazione rivolto ai sacerdoti e ai seminaristi per migliorarne l’arte omiletica. È partito a gennaio in alcune diocesi pilota - Vicenza, Cagliari, Taranto, Torino, Siracusa - con l’idea, una volta testato, di estenderlo a tutte le diocesi italiane. A coordinarlo, insieme a Simona Borello, è don Paolo Tomatis, docente di liturgia alla Facoltà teologica di Torino e direttore dell’Ufficio liturgico dell’arcidiocesi subalpina.«L’idea di questo corso è nata dalla consapevolezza crescente della complessità del genere omiletico – spiega don Tomatis –, un’omelia deve essere capace di comunicare con un linguaggio non verbale, deve essere attenta alla Parola, al contesto liturgico, al popolo, con parole che fanno ardere il cuore come dice il Papa… Nei corsi dei Seminari si fa troppo poco, troppo tardi e troppo in fretta». La Chiesa sconta un sensibile ritardo nella comunicazione dall’ambone rispetto al mondo, che nel frattempo ha camminato in fretta. «Una delle sfide è come fare tesoro di alcune delle intuizioni del public speeching, del parlare in pubblico, proprie della comunicazione più orientata al marketing – commenta don Tomatis – senza assumerne l’idea di fondo, cioè ricercare un’efficacia da venditori d’asta». Ci si può chiedere se sia mai stata quantificata la lunghezza ideale di un’omelia. La risposta è che non è possibile. «Le situazioni non si possono uniformare – continua don Tomatis – già fra nord e sud Italia c’è differenza. Sicuramente un’omelia mal fatta annoia fin dal primo minuto, mentre se si è preparati e attenti, anche in un tempo molto limitato si può essere efficaci». Andrea Galli

TORINO: CONFRONTO ON LINE (Marina Lomunno)Nel corso di quattro sabati di laboratorio sei sacerdoti accompagnati da un’équipe di osservatori (laici impegnati in parrocchia, una religiosa e praticanti "occasionali") e coordinati da Simona Borello, si sono confrontati sulle loro omelie, presentate nei vari incontri per ricevere incoraggiamenti e consigli. Ora che il percorso è terminato – precisa l’Ufficio liturgico di Torino – si proseguirà online in forma di condivisione e di scambio, soprattutto per quanto riguarda  un’attenzione comune alla preparazione della predicazione e alla comunicazione. «Ciò che ci ha colpito – spiega uno degli osservatori, Gianmarco Ieluzzi, insegnante, membro del Consiglio pastorale della parrocchia torinese dell’Ascensione – è la disponibilità dei sacerdoti a rimettersi in discussione, perché si sono accorti che parlare alla gente di oggi, andare al cuore dei loro problemi, creare nelle nostre celebrazioni un clima di accoglienza, dire una parola di consolazione e di speranza richiede attenzione ai mutamenti della realtà e del linguaggio. Non si tratta di ridurre l’efficacia spirituale dell’omelia ad una questione di marketing ma di acquisire alcune tecniche basilari per comunicare meglio la parola del Vangelo. E, soprattutto, per recuperare il ruolo centrale dell’omelia come momento di raccordo tra la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica».

VICENZA: AIUTO A MIGLIORARE (Romina Gobbo)Si chiamano Andrea, Matteo, Luca, Riccardo e di nuovo Luca. Sono cinque diaconi della diocesi di Vicenza, prossimi all’ordinazione, che già operano in parrocchia, pronti a mettersi in discussione, partecipando al ProgettOmelie, inserito nel progetto formativo del Seminario. Vicenza infatti è l’unica diocesi che lavora con i diaconi invece che con i preti: una sperimentazione nella sperimentazione. Iniziato il 27 febbraio il laboratorio, coordinato da monsignor Pierangelo Ruaro, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, prevede 5 incontri, l’ultimo il prossimo 9 maggio.«Vogliamo "montare" l’omelia pezzo per pezzo – sottolinea Ruaro –. La prima volta si è parlato di come curare l’incipit, la volta successiva di come raccordare l’inizio con la parte centrale, e così via. Non vogliamo però che i partecipanti si sentano sotto esame, non è questo il senso, vogliamo trasmettere l’idea dell’incoraggiamento, il nostro è un aiuto a migliorare». La commissione è a prevalenza femminile. «Per noi preti – prosegue Ruaro – è importante essere valutati da una sensibilità diversa».

TARANTO: COINVOLTI PRETI DI ETA' DIVERSA (Marina Luzzi)Hanno tra i 38 e i 56 anni i cinque sacerdoti della Chiesa di Taranto chiamati dall’arcivescovo Filippo Santoro, a partecipare al "ProgettOmelia". «Abbiamo optato volutamente per preti di età differenti – spiega il referente diocesano monsignor Vincenzo Annicchiarico – perché l’obiettivo non è indagare il fondamento teologico dell’omelia ma la corrispondenza comunicativa tra gli omileti ed i fedeli. Età diverse sono anche portatrici di differenti modalità di approccio e di stile». Altro aspetto peculiare è il diverso bacino di utenza delle parrocchie di provenienza. Dalla cultura contadina a quella metropolitana perciò il messaggio, seppur uguale nella sostanza, deve cambiare nella forma, riuscendo a cogliere i bisogni, le urgenze, le richieste di chi ogni domenica siede nei banchi della chiesa. Solo così si instaura il giusto feedback tra chi parla e chi ascolta e l’obiettivo viene centrato. «C’è entusiasmo tra i sacerdoti che partecipano – conclude Annicchiarico – e soprattutto vivo desiderio di mettersi in discussione per capire dove si sbaglia e come poter migliorare».

CAGLIARI: LA SFIDA DI ACCOGLIERE LE VALUTAZIONI CRITICHE (Roberto Comparetti)L’Ufficio diocesano della Chiesa sarda ha previsto cinque incontri il sabato mattina nei locali del Seminario arcivescovile. La struttura degli appuntamenti ha previsto un’introduzione tematica, guidata dal coordinatori, per poi passare ad un vera e propria esercitazione nella cappella del Seminario, dove viene pronunciata l’omelia da ciascuno dei cinque presbiteri partecipanti con durata massima di 15 minuti. Quindi un breve momento di analisi e "restituzione" da parte degli osservatori. Tra gli obiettivi del laboratorio diocesano la possibilità di chiarire i punti di forza e le carenze delle proprie omelie, mentre dal punto di vista delle competenze sarà possibile parlare di corrispondenza tra ciò che si intende dire e ciò che viene detto durante le celebrazioni domenicali, così come di conformità tra quanto pronunciato e quanto effettivamente ascoltato. «I sacerdoti – afferma monsignor Fabio Trudu, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano – accettano la sfida di accogliere le valutazioni critiche proposte dagli osservatori e di lavorare sui punti deboli che dovessero emergere. Ogni domenica in realtà i fedeli sono degli osservatori attenti delle omelie che ascoltano, anche se è raro che condividano le loro osservazioni con i preti che le pronunciano».

SIRACUSA: LO STRANO EFFETTO DI "RISENTIRSI" (Alessandro Ricupero)
La verifica, l’ultimo dei cinque incontri previsti, avrà luogo il 3 maggio. Ma l’esperimento del "ProgettOmelia" può dirsi già pienamente riuscito. Il progetto nell’arcidiocesi di Siracusa ha preso il via a gennaio. «È avvenuto tutto in maniera molto naturale – spiega padre Salvatore Savaglia, coordinatore dell’équipe –. Ci siamo dati delle regole, in un clima di condivisione e di preghiera. Nessun maestro, ma un dialogo per migliorarci ed offrire un servizio migliore. Abbiamo messo in evidenza i punti di forza e di debolezza di ciascuno per far prendere consapevolezza delle proprie capacità comunicative. Naturalmente con l’obiettivo di potenziare i primi e correggere eventuali debolezze. I cinque partecipanti si sono messi subito in gioco, ed il loro entusiasmo ha reso semplice il nostro compito e fruttuoso il laboratorio. Volevamo rendere chiara la struttura di un’omelia, e spiegare la necessità di avere un obiettivo comunicativo chiaro. Purtroppo il pericolo che il fedele si distragga è dietro l’angolo: non siamo assolutamente entrati nell’aspetto dei contenuti, ma abbiamo voluto sottolineare l’importanza del linguaggio del corpo, l’uso di una pausa, o del cambiamento di voce». Uno degli esercizi assegnati prevedeva la registrazione audio e video dell’omelia, in modo tale che i partecipanti potessero vedersi e ascoltarsi. E non tutti sono rimasti soddisfatti delle loro "prove".

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