venerdì 18 settembre 2015
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Quello che segue è il testo dell'intervista che il sostituto della Segreteria di Stato monsignor Angelo Becciu ha rilasciato a Cristiana Caricato di Tv2000 alla vigilia della partenza del Papa per Cuba e gli Stati Uniti. Il prossimo viaggio di Papa Francesco è il più lungo ma anche il più difficile? “È il più lungo, abbiamo le giornate contate quindi appare lungo. Sì ha i suoi aspetti di difficoltà ma guardando il Papa non vedo che lui lo noti difficile, impegnativo senz’altro. Direi che provoca nel Santo Padre un sentimento di entusiasmo e desiderio di conoscere Cuba che non conosce e poi negli Stati Uniti di poter portare la sua parola soprattutto per il tema della famiglia. Quindi direi impegnativo più che difficile”. Lei è arrivato a Cuba come ambasciatore del Papa nel 2009, l’isola le è rimasta nel cuore, può raccontarci qualcosa della sua esperienza, perché Cuba riesce a imprigionare chiunque? “Sono andato a Cuba dopo l’esperienza in Angola, inviato come nunzio apostolico da Papa Benedetto XVI. Cuba attrae le genti perché trovi un calore umano da parte della gente, e poi per noi preti e per l’esperienza di Chiesa che si vive. Un’esperienza di Chiesa perché è una Chiesa che va all’essenziale dell’essere Chiesa. Quello che ho scoperto e quello che amavo ripetere ai vescovi era proprio questo: ‘Voi ci avete anticipato in quello che sarà la Chiesa in Europa. La scristianizzazione a Cuba è iniziata da tempo, qui in Europa sta iniziando e progredendo. Qualcuno dice che addirittura non solo si vuole relegare la Chiesa nelle sacrestie ma si vogliono eliminare i valori della Chiesa e i valori evangelici e giudicarli come non cultura. Si vorrebbe tentare lo sradicamento totale di ciò che è il messaggio evangelico. Cuba forse ci ha preceduto ma l’essenza della Chiesa alla fine consiste nell’annuncio della parola, vivere questa parola ed essere segno della presenza di Dio tra gli uomini. Per cui ti lasciano senza chiese, scuole, istituzioni caritative. I sacerdoti, vescovi e cristiani cubani non si sono scoraggiati, non si sono depressi e non sono rimasti passivi ma hanno riscoperto l’essenza del Vangelo, del vivere la parola di Dio in maniera più radicale e fare della Chiesa una vera comunità tra credenti. Ti tocca il cuore e ti converte”. Dai suoi contatti nell’isola è riuscito a capire quali sono le attese e i sentimenti alla vigilia di questo viaggio così importante? “C’è una grande attesa. Ho sentito il nunzio qualche giorno fa e la gente aspetta con grande ansia l’arrivo del Papa. Il caso di Cuba è unico: tre diversi Papi arrivano in quest’isola. L’ultima visita non c’è stata da molto tempo: Benedetto XVI è andato nel 2012. Eppure c’è il desiderio di incontrare Papa Francesco che è già conosciuto anche a Cuba e il fatto che lui sia sudamericano aiuta ma la sua parola e il suo carisma ha toccato il cuore dei cubani fin dall’inizio. I vescovi hanno saputo presentarlo, la stessa televisione cubana spesso ha presentato la figura del Papa e ogni sera sta riservando uno spazio delle sue trasmissioni per presentare Papa Francesco. Questo è interessante perché prima era più difficile aver questo spazio”. La Santa Sede è stata una degli artefici del disgelo tra Cuba e Stati Uniti, ci può dire esattamente quale è stato il ruolo del Papa e della Chiesa? “Lì è stato veramente il Papa che ha incantato i due rappresentati del popolo cubano e americano perché sono loro che hanno chiesto al Papa di farsi garante di questo desiderio di parlarsi, dialogare e incontrarsi. Diciamo che l’azione diplomatica, parola che va al di là del significato tradizionale, è intesa nel senso di uomo e leader che si è impegnato con la sua parola, il suo carisma e ha conquistato anche i due capi di Stato. Loro hanno chiesto espressamente che il Papa li aiutasse. In questo il Papa non si è tirato indietro. Poi lui si è servito di alcune persone perché potessero portare a compimento il desiderio del dialogo e dell’incontro. Concretamente sono venuti qui in Segreteria di Stato per porre le firme nei due rispettivi documenti davanti al Segretario di Stato quasi come garante della parola che si erano scambiati tra loro”. In molti parlano di un’azione incompiuta, mancherebbe l’ultimo passo alla fine dell’embargo, sul Papa c’è questa pressione alla vigilia del viaggio, si spera da parte cubana ma anche da parte americana che il Papa possa accelerare il processo di avvicinamento dei due Paesi portandolo alla fine dell’embargo. Secondo lei è realistico pensare che il Papa agirà in questo senso? “Il Papa spenderà due parole in favore e continuerà ad incoraggiarli. Ma c’è già la determinazione del presidente degli Stati Uniti, ora si aspetta il voto del Congresso e si spera che sia positivo. Non si può continuare. Per 50 anni hanno sofferto a causa dell’embargo. La Santa Sede si è sempre espressa contro l’embargo sia a Cuba come in altri Paesi. Perché chi soffre sono i poveri e il popolo, non tanto gli altri. Per cui sarebbe veramente ora che si sollevasse questo divieto e difficoltà per il popolo cubano che ha sofferto troppo a causa di queste limitazioni”. Il Congresso degli Stati Uniti sembra la tappa più insidiosa per Papa Francesco, i repubblicani si son dichiarati contrari alla fine dell’embargo, in quella sede potrebbe esserci una parola del Papa o sceglierà altri momenti ? “Cosa il Papa dirà nel Congresso lo sentiremo al momento giusto, ma in qualche modo ci sarà l’incoraggiamento affinché il voto sia positivo, perché si ponga termine a questa ingiustizia nel rispetto del popolo cubano”. Quali potrebbero essere le ricadute della visita del Papa nell’isola, cosa si aspetta la Chiesa cubana? “Sappiamo che con la visita di Giovanni Paolo II ci fu come atto concreto il riconoscimento del Natale come festa civile, riconosciuta dalla nazione. Con Benedetto XVI venne riconosciuto come festa civile addirittura il venerdì santo. Adesso con Papa Francesco possono accadere tante cose ma sarà una conferma del nuovo clima che si è instaurato nei rapporti tra Chiesa e Stato. Quando mi trovavo lì avvenne un fatto molto importante ed eloquente del nuovo clima tra Chiesa e Stato. Ci fu la liberazione di 130 detenuti politici. La Chiesa cattolica fu incaricata come mediatore tra il governo e i detenuti, con grande meraviglia di tutti i diplomatici e anche della Comunità internazionale. Si chiesero come mai lo Stato cubano che aveva avuto difficoltà per tanti anni con la Chiesa si fosse rivolto all’istituzione ecclesiastica in particolar modo al cardinale Ortega, presidente della conferenza episcopale affinché facessero i mediatori. Si riconosceva il ruolo della Chiesa all’interno della società, un nuovo ruolo. Avevano visto che la Chiesa aveva mantenuto il suo prestigio e diventata un punto di riferimento per tanta gente a Cuba. Penso che la visita di Papa Francesco consoliderà ancora di più questo nuovo clima che si è creato tra il governo cubano e la Chiesa”. Dopo l’ultima udienza in Vaticano, Raul Castro ha detto che se il Papa continuava così Francesco lo avrebbe riportato in chiesa a seguire una messa. Era solo una battuta o è in atto un incantamento? “Certamente è stata una battuta simpatica. Poi non sappiamo cosa c’è nel cuore degli uomini. Ricordiamo che anche lui insieme al fratello sono stati alunni del collegio prima dei Fratelli cristiani e poi dei Gesuiti: qualcosa sarà rimasto nel cuore dei due. Ricordo che Fidel in un’intervista che uscì in un libro pubblico ricordava quei tempi come tempi meravigliosi, quando stava nel collegio e ammirava i gesuiti per la preparazione, il disinteresse, la capacità di dialogare con i ragazzi. Ricordava con molta simpatia quei momenti. L’unica cosa che rimproverava ad essi e l’unico difetto è che erano anti-comunisti”. E’ vero che Raul Castro diceva che di messe ne aveva sentite fin troppe, parteciperà a qualche messa di Papa Francesco? “È vero ha fatto questa battuta. Lui ha partecipato anche alla messa di Benedetto XVI, quindi immagino che anche alla messa di Francesco sarà presente. Sarà presente poi il Signore che lavora nel cuore degli uomini. Tutto può succedere”. L’incontro con Fidel Castro… cosa può portare in più nel viaggio di Papa Francesco? “Quando incontrò Benedetto XVI, mi colpì il fatto che lui gli avesse chiesto come dono l’invio di qualche libro spirituale, cosa che Papa Benedetto fece puntualmente. Papa Francesco avrà le sue belle parole, il momento sarà interessante perché Fidel è sensibile a questi valori. Immagino che sarà un momento importante anche per Fidel”. Cuba è solo la prima tappa poi l’impatto con il mondo americano. Il Papa sceglie ancora di partire dalla periferia per arrivare al centro, è una strategia? “Il Papa ama le periferie. Sceglie Paesi meno considerati e periferici. Qui ricordo quando gli presentai la richiesta che era in lista con altri Paesi e non ci stavo dando molta importanza perché c’era stato da poco Benedetto e pensavo che Francesco non ritenesse opportuno Cuba. E invece appena sentì che c’era l’invito disse: ‘No no a Cuba vado. E ci vogliono stare un pò di tempo, non è solo uno scalo tecnico. Voglio passare qualche giornata con il popolo cubano’. E’ una scelta partita dal cuore. E poi si è inserita nel contesto Cuba-Stati Uniti e nel dialogo che è nato tra i due Paesi. Il Papa così voleva dare risalto all’uno e all’altro paese”. Il viaggio avrà anche ricadute politiche, per il Papa c’è il rischio di qualche trappola e diventare una pedina diplomatica tra i due Paesi? “Il Papa è abbastanza avveduto e le trappole le evita, spero che non ce ne siano. Non penso perché ha la sua personalità, lungimiranza, abilità di percepire le varie situazioni. Non vedo trappole ma occasioni privilegiate di saper dare il messaggio appropriato ai due popoli e da cui trarremo vantaggi per l’uno e per l’altro popolo”. C’è una grande attesa per il discorso all’Onu, su questo discorso si concentrano le speranze di molti, cosa dobbiamo aspettarci dal Papa? “Ricordo che il Papa va al palazzo dell’Onu ma anche al Congresso. Mentre al Palazzo di Vetro ci sono andati sia Paolo VI sia Giovanni Paolo II, al Congresso è la prima volta che ci va un Papa. Il Papa certamente avrà parole coraggiose. Al Palazzo di Vetro si rifarà alla Carta fondante delle Nazioni Unite dove lo scopo è quello di riunire la comunità di popoli e aiutare a fare delle nazioni una comunità. Richiamerà i valori della giustizia, la solidarietà, il rispetto delle varie nazioni affinché la più potente non prevalga su quelle più deboli. E poi aiuterà ad aprire gli occhi perché la situazione attuale è molto delicata. Il Papa parla di terza guerra mondiale in atto, penso che vorrà aiutare i rappresentati delle varie nazioni a rendersi conto della gravità del momento. Saranno parole coraggiose e interessanti”. Solo pochi mesi fa a Santa Cruz il manifesto politico economico di Papa Francesco con movimenti popolari, quelle istanze ritorneranno anche nell’arena americana? “Il Papa viene dal Sud America, dove la questione sociale è molto viva e acuta. Il Papa, più di noi in Europa, ha visto i contrasti enormi tra ricchi e poveri. E’ interessante il discorso che fa a questi movimenti popolari dove manifesta la sua solidarietà verso i poveri, gli sfruttati, verso coloro che non sembrano avere uno spiraglio di giustizia e vita dignitosa. Però in questi discorsi, non mette la soluzione dei problemi sociali solo in chiave economica e distribuzione dei beni terreni, alla fine il Papa sottolinea, a differenza a chi manifestava solo discorsi ideologici, che non ci sarà vera liberazione di questi popoli fin quando Dio e il Vangelo non troveranno lo spazio giusto nella struttura della società. Il Papa continua ad essere Papa anche se molti lo hanno accusato di fare addirittura il comunista. È la cosa più falsa che si possa dire perché la sua sottolineatura è nell’accoglienza e nel rispetto dei valori evangelici che sono la vera libertà dell’uomo e sono la vera risposta alle esigenze intime della persona”. La differenza di vedute sul piano economico sembra essere la causa di questa diffidenza di alcuni media americani nei confronti del Papa, si parla anche di una tensione con vescovi americani, le risulta? “Da parte della società americana potrebbe essere che ci sia un giudizio negativo, dei pregiudizi e delle catalogazioni del Papa. Questo è inevitabile. Da parte dei vescovi non mi risulta e anche se fosse vero sono sicuro che il Papa con la sua presenza allenterà qualsiasi tensione, inoltre avrà un incontro riservato ai vescovi. Lì saprà esprimersi e dire la sua idea. E come è accaduto in altri viaggi le tensioni e prevenzioni cadranno, anche nella società americana. Tanti pregiudizi cadranno perché il carisma del Papa è tale da convincere ma convince perché crede in quello che propone. Poi quel che propone è Vangelo che sa provocare più si che no”. Come si è preparato il Papa a questo viaggio? “Il Papa è un bravo scolaro, sente lo scrupolo di far bene le cose. Posso dire che ha passato l’estate preparandosi per questo viaggio. Ha visto i discorsi uno per uno, li ha preparati, valutati, discussi, corretti, ripresi varie volte. Anche nelle lezioni di inglese è stato costante e scrupoloso. È vero che non li pronuncerà tutti in inglese però quelli impegnativi sì. Per cui penso che farà bene perché ci ha già dato esempio che dove ha dovuto parlare e leggere ha fatto bene. In lui c’è la carica comunicativa e dove potrà parlare la sua lingua sarà ancora più affascinante e comunicativo. Posso dire che ha fatto una preparazione scrupolosa e il desiderio di portare e presentare nel migliore dei modi il messaggio evangelico”. Cosa si aspetta lei da questo viaggio? “Ogni viaggio è una grazia speciale. Per chi ha modo di vedere il Papa e di accoglierlo è una grazia speciale che arriva per la Chiesa: quindi conferma il suo ministero, conferma nella fede i suoi fratelli vescovi, sacerdoti e fedeli. E per chi non crede è una provocazione, porrà dei punti interrogativi. Per Cuba sarà un incoraggiamento a continuare e vivere questo momento di difficoltà mantenendo alta la speranza che è una qualità che tutti i cubani cercano di avere in questo momento. Per gli Stati Uniti spero che sia una provocazione vera ma in senso evangelico”.

 

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