lunedì 9 novembre 2015
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Pubblichiamo il testo della Prolusione di monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente del Comitato al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze Cari confratelli e cari amici, siamo convenuti a Firenze da ogni parte d'Italia, provenienti dalle nostre Chiese particolari, portando in dono reciproco la ricchezza di esperienze diverse ma tenute insieme, nel profondo, dalla medesima passione per il Signore Gesù Cristo e la sua Chiesa; e dall’amore per questo nostro Paese, di cui ci sentiamo e vogliamo essere a pieno titolo, protagonisti e cittadini. I convegni della chiesa italiana sono momenti di comune riflessione attorno a tematiche che si collocano sul versante del rapporto della fede con la storia e della Chiesa con la società, sono il “luogo” per riflettere insieme sullo stato della fede nel Paese ed occasione privilegiata per verificare il percorso della Chiesa italiana nella sua recezione del Vaticano II. Accogliendo la consegna che papa Francesco ci affida nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, di trovare «vie nuove al cammino della Chiesa nei prossimi anni» (EG 1), lo scopo del nostro appuntamento fiorentino è quello di fare il punto sul nostro cammino di fedeltà al rinnovamento promosso dal Concilio e aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo.  Un appuntamento, quello che stiamo per vivere insieme, che ha già visto le comunità ecclesiali sparse in Italia rispondere all'Invito in un lavoro di discernimento comunitario che il Papa stesso ci invitava a compiere : «Il discernimento comunitario - diceva a noi vescovi italiani riuniti nell'annuale assemblea del maggio 2014 - sia l’anima del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini». E la Traccia ha raccolto e rilanciato, pur nella sinteticità della sua stesura, alle comunità ecclesiali quanto emerso: un umanesimo che è in ascolto; concreto; plurale e integrale; d’interiorità e trascendenza (cf. la Traccia). L'esperienza del ritrovarsi insieme a livello di comunità locali ha permesso di incontrare non solo le tante periferie in cui c'è una umanità ferita, ma, di verificare la possibilità, e di segni ne sono emersi molti, di "trasfigurare"e di "aprire alla speranza", di progettare un'umanità nuova. Per tante comunità è stata l'esperienza di ritrovasi, nella pluralità e diversità delle loro varie componenti, a "camminare insieme", a “mettersi in ricerca alla luce dello Spirito”, in una parola fare esperienza di “discernimento”. Esso è azione ecclesiale già raccomandata dal Convegno ecclesiale di Palermo (cf. Con il dono della carità dentro la storia n. 21) e ribadita al Convegno di Verona (cf. la relazione del card. Ruini), ma non ancora pienamente accolta nelle nostre comunità che, pertanto, fanno fatica ad incarnarsi nei loro territori per diventarne lievito di “umanità redenta e riconciliata” perché fondata sulla misericordia di Dio che rinnova l'alleanza compiuta in Gesù Cristo di ogni uomo con se stesso; l'alleanza di ogni uomo con il creato accolto come dono di Dio da custodire; l'alleanza di ogni uomo con il suo simile,che al di là delle reciproche differenze,appella a una vita basata sulla fraternità e il dono di sè. La sinodalità stile della comunità cristiana Questo stile di ricerca comune è una delle consegne più belle e significative che a noi viene dalla vita delle prime comunità cristiane; Giovanni Crisostomo scriveva nel Commento al salmo 149: “la chiesa è sinodo” (Ex in Psalm 149,2 in PG 55, 493). Non siamo infatti qui per predisporre dei piani pastorali, né per scambiarci informazioni, neppure per partecipare a dotte conferenze o a un corso di aggiornamento: siamo qui per inaugurare uno stile. Lo stile sinodale - vissuto sia a livello di Comitato preparatorio al Convegno, sia nel cammino delle chiese locali - deve accompagnare il lavoro di questi giorni e sarebbe già un grande risultato se da Firenze la sinodalità divenisse lo stile di ogni comunità ecclesiale. Il cammino (syn-odos) ci consegna innanzitutto un met-odos: non una mera metodologia, ma il desiderio di cercare e di crescere insieme per una chiesa capace di tenere il passato, ma di slanciarsi con forza e coraggio verso il futuro. L’interazione tra la parola che il Papa ci affiderà domani e le riflessioni del prof. Mauro Magatti e del prof. Giuseppe Lorizio che nutriranno il nostro pensiero costituiranno i tasselli di un mosaico che siamo chiamati a tessere insieme. Nello scenario mondiale, ed italiano in particolare, saremo aiutati a cogliere i processi sociali e culturali che agitano il nostro tempo; il necessario approfondimento del dato rivelato ci aiuterà a rifuggire dalla tentazione di trasformare la nostra fede in ideologia riscoprendo in Gesù di Nazareth quell’”umanesimo vero”, quell’”umanesimo sempre nuovo”, che deve ispirare la vita di ogni credente; ed infine l’ampio confronto da parte nostra può realizzare un serio lavoro sinodale di discernimento sul presente e sul futuro della Chiesa che è in Italia, in uno spirito di partecipazione e comunione. Tutto ciò sarà la linfa che alimenterà le nostre giornate. Il grido dell'umanità ferita che a noi giunge dalle tante "periferie esistenziali": la frontiera drammatica dell'immigrazione, la frontiera sempre più tragica delle povertà anche a causa della crisi economica e occupazionale, la frontiera delicata dell'emergenza educativa... chiedono che cammino di fede e cammino ecclesiale diventino vie o almeno sentieri di umanizzazione non da declinare in prospettiva intellettuale, bensì esistenziale. Papa Francesco chiede che la nostra riflessione si ispiri a un’autentica “cultura dell’incontro” e che la nostra teologia sappia abitare le frontiere e farsi carico dei conflitti e a queste indicazioni intendiamo ispirare le nostre giornate e il percorso che le nostre comunità sono chiamate a compiere nel dopo convegno, che quindi sarà un punto di partenza piuttosto che un punto di arrivo. Nello stesso tempo siamo consapevoli che anche coloro che non condividono l'umanesimo cristiano compiono opere di bene per l'umanità, che vanno apprezzate e riconosciute mediante un positivo e costruttivo discernimento. Uno sguardo amorevole sull'umano  Per questo mi auguro che in questi giorni sappiamo mantenere quella nota caratteristica che è emersa nella fase di preparazione: lo sguardo amorevole sulla realtà e sugli uomini del nostro tempo, fatto di riconoscenza e di gratitudine, che scaccia ogni timore e ci permette di leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore come ci ha ricordato Papa Francesco nella sua prima Enciclica: "«Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la strada del dialogo con tutti» (L.F. 34). La verità dell’uomo in Cristo non è opprimente e nemica della libertà: al contrario, è liberante, perché è la verità dell’amore. «Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo» (L.F.34) Così la testimonianza cristiana dei credenti avrà il sapore e l’odore delle quotidiane sfide dell’esistenza: l’amore dell’uomo e della donna, la generazione dei figli, la cura dell’educazione dei giovani e della dignità dei vecchi, la coltivazione della bellezza, la verità dei sentimenti, la giustizia delle emozioni, la protezione delle fragilità, il senso del lavoro, la capacità di morire, la misura delle parole, la difesa quotidiana della speranza. Sì, un Paese che sta sempre più invecchiando, in cui la gente è sfiduciata e ripiegata su se stessa,dove le diseguaglianze sociali e le povertà non solo materiali ma etiche e spirituali stanno crescendo e dove secondo le statistiche il 31 per cento della popolazione vive da solo chi per scelta, chi per necessità e chi per naufragio esistenziale, ha bisogno di riappropriarsi della speranza che la fede cristiana ha seminato nella sua storia, dando vita a un patrimonio di umanità,santità e civiltà esemplare per il mondo intero. Firenze, la città che ci ospita ci offre il contesto propizio per respirare una cura dell’umano scaturito dalla fede che si è espressa particolarmente con il linguaggio della bellezza, della creazione artistica, della cultura e della carità, senza soluzione di continuità. Qui possiamo sperimentare un modello concreto di come la fede può diventare anima di una cultura e di come la cultura nelle sue varie sfaccettature può offrire al messaggio cristiano un alveo privilegiato per entrare con piena cittadinanza e novità dentro il pensiero, la storia e la vita di un popolo. Desidero ora richiamare altri riferimenti importanti che dovremo tenere in considerazione nello svolgimento dei lavori. Dai cinque ambiti di Verona alle cinque vie 1. L’attuale Convegno si pone in continuità con quelli precedenti e in particolare con Verona 2006, di cui ha conservato lo scenario dei cinque ambiti, e cioè il porre al centro della pastorale non tanto i programmi, le iniziative e i mezzi ma la persona, avvicinata e accolta in ogni momento e dimensione della sua esistenza( vita affettiva,lavoro e festa,fragilità umana,tradizione, cittadinanza). Riconoscere la persona al centro significa mettere in gioco la nostra capacità di relazione, e superare la spinta individualistica che oggi caratterizza la cultura dell’io che orienta la ricerca della propria felicità e tornaconto a scapito di ogni norma morale oggettiva e di ogni apertura solidale al dono di sé. I cinque ambiti di Verona inoltre si associano e si completano nelle vie della Evangelii gaudium, sulla scia del Concilio Vaticano II. Esse indicano i contenuti e il metodo di un’azione pastorale dinamica che non si appiattisce sul già fatto e già detto e non si limita alla conservazione dell'esistente, ma sollecita la ricerca di nuove frontiere dell’umano che, illuminate dal Vangelo, aprono orizzonti di cambiamento vero e profondo della vita e della missione della Chiesa e permette di attivare un percorso educativo,personale e sociale che tende a una nuova generazione dell'umano in Gesù Cristo. Sarà importante dunque in questi giorni non separare le vie, ma sforzarsi di collegarle l’una all’altra dentro il comune riferimento al tema unitario del Convegno e soprattutto alla concreta azione pastorale dove l'annuncio gioioso del Vangelo converte i cuori, la comunità ecclesiale che lo testimonia e la stessa società, perché il Vangelo innesta nella storia una forza propulsiva, “rivoluzionaria” come ebbe a dire Papa Francesco nel viaggio in Ecuador. La Rivelazione, punto di verità insostituibile della fede cristiana, appella a vie di inculturazione che non ne vanifichino la carica di trascendenza, ma che siano anche capaci, mediante appropriati linguaggi, di mostrare la ragionevolezza e la assoluta novità di Gesù Cristo e del suo Vangelo in ordine al vissuto “feriale” dell’uomo in quanto tale. Questo significa che è possibile e doveroso individuare all’interno dei fenomeni anche più complessi e negativi del nostro tempo, quei varchi entro cui far emergere l’annuncio del Vangelo o che comunque appellano a un “di più” di senso e di verità che trova solo in Dio la piena risposta. È la città degli uomini l'icona che accompagna il percorso del Convegno. La città intesa come luogo emblematico dove si esprime e sperimenta la volontà di potenza delle culture dominanti. Gli architetti famosi rappresentano questa modernità inventando forme sempre nuove che sembra vogliano conquistare i cieli. Ma noi e tutti gli uomini, dal basso delle nostre periferie vediamo bene – e soffriamo – le contraddizioni e le disequità che uno sviluppo squilibrato e non solidale comporta. L’enciclica «Laudato sì» costituisce, a questo proposito, un magistero illuminante, e insieme un invito potente a ripensare certe categorie di «sviluppo», «progresso», «civiltà» con cui gli umanesimi non possono non confrontarsi. E però nella città siamo chiamati, e qui vogliamo abitare, per «rendere ragione della speranza che è in noi».(1Pt 3,15). Il Vangelo vi dia libertà Niente di ciò che è umano, infatti, è estraneo alla fede cristiana, dal momento che il Verbo di Dio ha assunto nella sua incarnazione l’umana natura, l’ha purificata e salvata. Per cui, in ogni realtà umana c’è come un appello chiaro o nascosto, ma reale, alla sua perfezione e compimento in Cristo – eccetto il peccato, ovviamente. Il Vangelo è via di libertà che difende ogni uomo dal diventare succube "delle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l'identità e la dignità umana"(cfr. Discorso di papa Francesco alla CEI,18 maggio 2015). Da qui ne scaturisce che il primo compito che la Chiesa oggi è chiamata non solo a svolgere,ma a manifestare nel senso che la gente deve vedere in concreto che è ciò che primariamente la interessa, perché lei per prima lo vive, è l'annuncio di Gesù Cristo, ritenendo destinatari di ciò tutti gli uomini, nessuno escluso. Lo deve fare dando credito anzitutto a Dio e alla forza del suo Spirito che agisce nella storia e nel cuore di ogni uomo; lo deve fare non sminuendo la forza alternativa del Vangelo e la trascendenza che esso ha rispetto alla vita dell’uomo, ma anche rendendosi solidale fino in fondo con le sue ferite ed attese. Il travaglio culturale che il nostro tempo sta vivendo e subendo,è un vero e proprio cambiamento d'epoca che non è frutto di accelerazioni improvvise disomogenee tra loro, ma scaturisce invece da una logica forte perseguita secondo regie ben definite e convergenti. La messa in crisi dei fondamentali su cui si radica la libertà e la responsabilità dell'uomo verso la vita,la famiglia, il creato conduce alla "morte " dell'uomo stesso e di quel bene comune che cementa ogni società e garantisce il suo futuro. Eppure noi crediamo fermamente alla luce della rivelazione di Dio che la verità, il bello, il buono e il giusto sono aspirazioni profondamente radicate nel cuore della persona;e i problemi e questioni vitali, che la coinvolgono "dentro" restano sempre determinanti per la sua felicità e il suo futuro. E' a partire da questi fondamentali, che sono ad un tempo antropologici, culturali e spirituali, che il Vangelo e la vicinanza della comunità e dei cristiani possono risultare decisivi per la vera e integrale promozione della persona, e per vivere insieme in una terra abitabile e materna per tutti i suoi figli. Così, il cristianesimo indica e orienta la via del futuro e non è solo – come spesso si dice – un retaggio del passato o un ostacolo alla libertà. È piuttosto la via per vivere con gioia e responsabilità la novità e speranza che nascono dal Vangelo, vera forza di rinnovamento personale e insieme culturale e sociale nella storia. Nel libro «Il padrone del mondo», che Papa Francesco ha consigliato di leggere, viene detto così: «Per lui la religione cattolica sola poteva spiegare adeguatamente un universo, e, anche se non apriva le porte di tutti i misteri, doveva sempre ritenersi come la chiave migliore. Era altresì convinto che il Cristianesimo fosse l'unico sistema di pensiero che appagasse tutto l'uomo, l'unico che potesse penetrare a fondo nella sua natura; che l'insuccesso del Cristianesimo nell'unire perfettamente gli uomini non dipendeva dalla sua debolezza: ne dimostrava anzi la vitalità: le sue vie portano verso l'eternità, non verso il tempo».  Per rispondere all'emergenza educativa 2. Un altro riferimento importante che il Convegno terrà in grande considerazione è il piano decennale della Cei: “Educare alla vita buona del Vangelo”, di cui il Convegno stesso è parte viva. Anche qui le vie e gli ambiti del nostro lavoro si intersecano: non possiamo limitarci a parlare di educazione solo nella terza via, in quanto l’emergenza educativa – come l’abbiamo giustamente chiamata – continua e anzi si aggrava e incide sulla mentalità e sul costume di vita non solo delle nuove generazioni, ma prima ancora degli educatori, della famiglia, della scuola e dei mass-media. Di fatto, le tradizionali realtà educative - famiglia, scuola, parrocchia - stanno arretrando sempre più, non solo nella loro incidenza sulla mentalità e sul costume di vita delle nuove generazioni e degli stessi adulti, ma anche nella considerazione e stima necessarie per accoglierne gli indirizzi. Eppure restano una risorsa non secondaria, soprattutto se sapranno collegarsi tra loro per immaginare nuove grammatiche educative e conseguenti nuove alleanze che superino la frammentazione e consentano di unire le forze per educare all’unità della persona e della famiglia umana. Come affrontare questa sfida? Viviamo in un clima dominato dal «politicamente corretto», cioè da un sistema che ha paura delle parole non tanto perché possono ferire ma perché rivelano le debolezze e l’inadeguatezza delle culture dominanti. E abbiamo bisogno, invece, di linguaggi che aiutino a compiere scelte libere e responsabili, e promuovere la capacità di pensare con la propria testa ed esercitare quel senso critico della ragione che non accetta passivamente di oscurare il bene, la verità e il bello, ma ne sostiene la ricerca incessante e il coraggio di andare “controcorrente”. La proposta che la Traccia ci affida come motivo di riflessione e di scelte operative è la seguente: «Il primato della relazione, il ricupero del ruolo fondamentale della coscienza e dell’interiorità nella costruzione dell’identità della persona umana, la necessità di ripensare i percorsi pedagogici come pure la formazione dei giovani e degli adulti, divengono oggi le priorità ineludibili» (p. 52).  Abbiamo bisogno di laici donne e uomini, adulti nella fede partecipi dell'esperienza ecclesiale, nelle comunità, associazioni e movimenti,saldamente radicati e formati alla scuola del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa; laici capaci di proporre e tradurre nei vari campi del vissuto familiare,culturale,sociale e politico, il nuovo umanesimo in Gesù Cristo. Ho richiamato esplicitamente le donne perché conosciamo bene quanto nelle parrocchie e in tante realtà ecclesiali e civili,il generoso e qualificato servizio di molte di loro, laiche e consacrate, sia indispensabile per l'evangelizzazione, l'educazione e la carità. Occorre che la nostra Chiesa accogliendo l'invito di Papa Francesco, sappia riconoscere e valorizzare il loro apporto, non solo per quello che fanno, ma anche espandendo nuovi spazi di responsabilità, nei vari ambiti della missione della Chiesa e nella società. Concretezza ed essenzialità nelle scelte pastorali 3. Infine il nostro Convegno, a differenza degli altri precedenti, gode di una novità assoluta e determinante per il fatto che ad aprirlo domani sarà Papa Francesco con il suo intervento e la sua presenza. Ringraziamo sentitamente il Santo Padre per questo dono grande che ci fa, offrendoci l’apporto autorevole del suo Magistero, che ci permetterà di illuminare e guidare tutto il successivo impegno di questi giorni. Credo che la scelta del Santo Padre di venire all'inizio del Convegno rappresenti un impulso forte a non circoscrivere i suoi lavori alla pur feconda celebrazione, ma a farne una occasione per impostare con coraggio una conversione pastorale e missionaria che orienti il cammino delle nostre Chiese nei prossimi anni. Di fronte ai grandi cambiamenti del nostro tempo occorrono cristiani e comunità capaci di una testimonianza di coerenza non solo ai valori o ai principi come si dice, ma al Vangelo che è buona notizia di gioia, di misericordia e di speranza sia per colui che lo annuncia, sia per ogni uomo. Questa prospettiva di futuro risponde anche ai criteri della concretezza ed essenzialità che papa Francesco ci ha indicato per orientare i nostri lavori non restando sulle linee generali, ma scendendo nel vissuto delle persone e delle fatiche e problemi che esse debbono affrontare. 4- Mi permetto pertanto di richiamare alcune aree di impegno che hanno una grande valenza e impatto antropologico,culturale e sociale e insieme anche ecclesiale, spirituale e pastorale. Aree non certo esaustive del nostro compito di annunciare e vivere il nuovo umanesimo in Gesù Cristo, ma che oggi appaiono prioritarie per la vita della nostra gente e del Paese. La priorità della famiglia 1-Partendo dal tema educativo, e tenendo presente l'apertura alla società propria del Convegno di metà decennio, un'area prioritaria, è senza dubbio la famiglia, soggetta a tante fatiche, e anche ferite,ma sempre ricca di risorse e potenzialità insostituibili. Essa ha bisogno di una accoglienza compassionevole e di un accompagnamento e sostegno della sua esistenza, sia sotto il profilo spirituale che sociale, sottoposta com'è alla forte colonizzazione culturale e ideologica dominante, che privilegia i diritti individuali e la logica del provvisorio, rispetto al bene comune e alla stabilità del vincolo, e orienta i mass-media e la stessa politica ad equiparare ogni unione di fatto etero o omosessuale,al patto stabilmente fondato sull'Istituto naturale e per noi cristiani sacramentale,del matrimonio tra un uomo e una donna,sancito anche dalla Costituzione del nostro Paese. La famiglia voluta da Dio come custode della vita e fonte dell'autentico amore,in cui i figli possano e debbano usufruire dell'apporto congiunto del padre e della madre, resta l'architrave insostituibile di ogni società e garanzia del suo futuro e per questo va salvaguardata, promossa e valorizzata anche sul piano legislativo ed economico,nelle sue potenzialità umane, spirituali e sociali. Di fronte al grave problema demografico proprio del nostro Paese e a tante spinte individualistiche, la famiglia resta determinante per una necessaria inversione di tendenza che esalti il valore assoluto della vita. Che futuro può avere il nostro Paese se il diritto alla vita, dal primo istante del suo concepimento al suo naturale tramonto,quale indispensabile dono e compito di una generazione all'altra,non viene considerato fondamento della società? Il Sinodo ha sviluppato sulla famiglia una ampia e approfondita riflessione, per cui credo che anche il nostro Convegno debba considerarla soggetto primario di evangelizzazione per promuovere il nuovo umanesimo in Gesù Cristo. "Le famiglie-ha detto Papa Francesco a Torino- hanno bisogno di sentire la carezza della Chiesa per andare avanti nella vita coniugale, nell'educazione dei figli, nella cura degli anziani e anche nella trasmissione della fede alle nuove generazioni ". ( 21.6.2015) La sfida antropologica e pastorale del giovani  2- Un'altra area su cui puntare e perseguire insieme è la grande sfida antropologica e spirituale che ci viene dalle nuove generazioni. In un tempo invaso da messaggi e proposte alternative e contrastanti ad opera del mondo digitale, della cultura individualista ed edonista, è decisivo il compito di accompagnamento e di testimonianza degli educatori. Gesù Cristo uomo nuovo e Maestro di verità e di vita ci insegna ad ascoltare, amare e stimolare i giovani perché diventino protagonisti della loro crescita umana, vocazionale e culturale. (Cfr Mc. 10,17-22). Oggi assistiamo all'estendersi della separatezza tra il mondo giovanile e quello adulto. I giovani giudicano infatti il mondo adulto chiuso a riccio nei suoi privilegi e incapace di ascoltarli e prendere sul serio le loro concrete necessità e possibilità. Il rischio è dunque quello che anche tra i più giovani venga meno la speranza nel proprio domani e vivano come in una apnea di incertezza mai sperimentata dalle generazioni precedenti. È necessario riattivare una solidarietà tra le generazioni e ricuperare la fiducia tra giovani e adulti sia sul piano educativo e formativo, sia su quello dell'importante problema del lavoro. Papa Francesco a Torino ha parlato di un patto educativo e sociale di corresponsabilità tra le generazioni che aiuti a "fare insieme" per costruire una identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze umane, interiori e professionali dei giovani. Da quì emerge l'impegno di operare nella scuola e Università, come credenti e portatori di un sistema educativo e culturale ricco di valori umanistici che punti alla promozione integrale della persona di ogni studente, al suo sapere e saper fare,ma radicati nel saper essere. Tutta la scuola, quella statale, quella paritaria cattolica, espressione della libertà educativa dei genitori,la formazione professionale che orienta e accompagna i giovani al lavoro, vanno messe in grado di svolgere il proprio servizio pubblico quale parte integrante del sistema scolastico nazionale. Strettamente connesso alla scuola è il grande tema del lavoro. Il lavoro fa parte di quei diritti umani fondamentali connessi alla dignità della persona umana,alla sua riconosciuta cittadinanza e in vista della sua inclusione sociale. Quando il lavoro manca, come avviene oggi per tanti giovani, aumentano le disuguaglianze economiche e sociali e ci si sente impoveriti di un bene necessario per il proprio futuro. Attivare un costante orientamento e accompagnamento al lavoro dei giovani rientra pertanto nei processi formativi di base sia culturali che pastorali, ed esige un modello economico non organizzato solo in funzione del capitale, ma della persona e del bene comune. È nell'affrontare nel concreto queste sfide che ci giochiamo la credibilità verso i giovani e nello stesso tempo poniamo le basi per contrastare quel disimpegno che lamentiamo in loro quando vediamo crescere con preoccupazione le varie dipendenze, dall'alcol, al gioco di azzardo, al bullismo, allo sballo. In questi determinanti ambiti della vita di ogni giovane è poi necessario promuovere la sua responsabile intraprendenza e creatività perché possa esprimere tutte le sue potenzialità e risorse e consideri l'umanesimo in Gesù Cristo punto di riferimento e di forza propulsiva per acquisire appropriate qualità etiche e professionali, capaci di sostenere e orientare la sua vita e il suo futuro. L'ecologia umana e i poveri 3 - Infine un'area di grande importanza è quella delineata con realismo e chiarezza nella “Laudato sì” relativa all'ecologia in rapporto all'antropologia e dunque al rispetto e alla tutela della persona umana,della sua vita e dell'ambiente di cui ogni uomo è "custode " e non padrone assoluto : "Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo" (118). La centralità di ogni persona, è decisiva per ogni tipo di azione,politica, economica e culturale perchè come afferma lucidamente l'Enciclica, qualunque di queste dimensioni si risolvesse in atti contrari alla dignità umana, non sarebbe da considerare ecologica, ma contraria alla natura dell'uomo e del creato. "Un antropologismo deviato dà luogo a uno stile di vita deviato"(122). Curare la "casa di tutti" quale è la terra che Dio ci ha donato, significa dunque non limitarsi alla pure necessaria salvaguardia della natura, e al rispetto di ogni creatura,ma a quella ecologia umana che è la prima a dover essere perseguita con la massima responsabilità da parte di tutti. Da qui la necessità di contrastare e superare quella cultura dello scarto richiamata con forza da papa Francesco che si fonda sull'idolatria del denaro, sulla corruzione tanto diffusa che appare un comportamento normale, sulla illegalità,le mafie e le tangenti e l'inequità, che generano ingiustizie, discriminazioni e violenze verso i poveri, dai bambini agli anziani, dai senza dimora,ai precari e disoccupati o in cerca di lavoro, dai disabili ai malati terminali. Ricordando il principio del Concilio che "siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia"( A.A.n.8 ), non ci stancheremo di denunciare potentati politici ed economico-finanziari che perseguono propri interessi personali o di cordata, a scapito del bene comune e di ogni regola etica di equità e solidarietà. Una denuncia che quando necessaria, può riguardare tutti e anche noi stessi, perché la conversione a cui richiama con forza la Parola di Dio, ci sprona a rivedere e cambiare scelte e comportamenti personali e collettivi, per non cadere nel rischio che "dopo aver predicato agli altri veniamo noi stessi squalificati "( Cfr.1 Cor.9,27).Una denuncia però che non è fine a se stessa: non ci interessa amplificare il rumore degli scandali. Cerchiamo invece in positivo di sostenere ed esigere il riconoscimento di quei diritti fondamentali propri di ogni persona: condizioni di vita e di lavoro degne dell'uomo e della donna, un fisco più equo verso la famiglia e quella più numerosa, una giusta distribuzione dei beni, la cura dei più poveri, della salute e dei servizi sanitari, un congruo tempo da dedicare a Dio,alla famiglia e ai figli e all'incontro con gli altri, valorizzando in particolare la Domenica. Inoltre si tratta di migliorare ed estendere la capillare assistenza che tanti volontari offrono a chi è in necessità,favorendo quei processi di inclusione sociale che aiutino e accompagnino le persone a trovare vie di riscatto e di ripresa della loro condizione di vita. Di questa cultura escludente sono succubi con particolare crudezza e con conseguenze tragiche che colpiscono anche minori, donne e famiglie, tanti rifugiati e profughi che tentano di raggiungere il nostro Paese. Un dramma del nostro tempo che vede le nostre Chiese in prima linea per accogliere e difendere il dovere di attuare la parola del Signore: "ero forestiero e mi hai accolto"( Mt.25). Attorno a queste aree, come ad altre ugualmente importanti, è comunque necessario attivare un adeguato supporto di pensiero e di azione concreta da parte dei laici soprattutto, che hanno diritto e dovere di "fare coscienza" e operare uniti,con tutti gli strumenti a disposizione. Se la politica infatti è una forma alta di carità come affermava il Beato Paolo VI ( O.A. n.46) perché deve perseguire il bene comune e la giustizia sociale, occorre che le comunità incoraggino quanti intendono impegnarsi in questo campo, ne sostengano la formazione e la coerenza e ne accompagnino l'esercizio anche dal punto di vista spirituale. Ne abbiamo un esempio in questa città dove ricordiamo autorevoli figure di laici impegnati nelle istituzioni come è stato Giorgio La Pira, che hanno saputo unire insieme la testimonianza di fede viva e profonda in Gesù Cristo, con un qualificato servizio al bene comune dei cittadini, l'amore e la fedeltà alla Chiesa con l'impegno appassionato alla comunità civile. E' il Vangelo che rimette in piedi Cari confratelli e cari amici, 5 - Un ulteriore motivo di impegno viene a noi dall'imminente celebrazione del giubileo della misericordia indetto da papa Francesco. All'uomo sfigurato dalla sua fragilità come comunità cristiana, oggetto della misericordia di Dio, siamo chiamati a mostrare il volto misericordioso del Padre che Cristo ha rivelato nella storia. L'accoglienza del nuovo umanesimo di Gesù di Nazareth, ci aiuterà a riscoprire il fondamento teologale della misericordia da vivere nei rapporti umani, e ad evitare che le azioni scivolino verso forme di solidarismo che, private del loro riferimento a Cristo, rendono le nostre comunità una ong. Mi permetto di terminare con un ricordo personale. In un viaggio nelle missioni del Cameroun ho celebrato la Messa per un gruppo di cristiani e una donna ha pregato così: ringrazio i missionari che sono venuti tra noi e ci hanno portato il Vangelo che ci ha rimesso in piedi. I missionari avevano dotato il villaggio di pozzi per l'acqua, scuola per i ragazzi, ambulatorio medico per far fronte alle tante malattie, scuola agraria per insegnare a usufruire al meglio della terra..ma quella donna non ha ringraziato per queste importanti opere. Ha incentrato la sua preghiera sul dono del Vangelo che li aveva fatti alzare-risorgere a una vita nuova e guardare avanti con speranza. Il nuovo umanesimo ha le sue radici prima di tutto nei nostri cuori, nell’esperienza contagiosa di Gesù Cristo che viviamo insieme con gioia e fraternità nell'ascolto della sua Parola,nell'Eucaristia e nella testimonianza in ogni ambito e ambiente di vita. «Non ci sarebbero più pagani – diceva san Giovanni Crisostomo – se ci comportassimo da veri cristiani» (Ep ad Tim. 3, hom. 10).
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