lunedì 10 agosto 2015
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Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ha concluso la sua missione in Giordania, compiuta a nome di tutti i vescovi italiani. Qui ha incontrato i tanti cristiani fuggiti dall’Iraq un anno fa, a causa dell’avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico, e accolti nei campi profughi del Regno Hashemita. Il vescovo ha portato il saluto e il messaggio del Papa in cui Francesco esprime la concreta vicinanza di tutta la Chiesa ai fratelli perseguitati. Di seguito l'intervista rilasciata da Galantino alla Radio Vaticana, raccolta da Antonella Palermo. «La Chiesa - dice Nunzio Galantino - che sta accogliendo. sia quella del Kurdistan iracheno di Erbil sia quella di Amman, ha sentito particolarmente vicina la Chiesa italiana, e l’ha sentita attraverso l’interesse, attraverso la preghiera, attraverso le presenza, ma soprattutto, in maniera concreta, attraverso quello che è arrivato a queste Chiese per aiutare i profughi con le offerte dell’8 per mille. Sapete che parte dell’8 per mille viene impiegato – una buona parte – proprio per interventi urgenti di emergenza, ma anche di promozione e di carità continua. Questa Chiesa ha sentito, quindi, la Chiesa italiana, i vescovi italiani, vicini, e ha voluto che fossimo presenti, attraverso la mia persona, a questa straordinaria celebrazione che c’è stata. Immaginate che insieme a tutti i patriarchi, alle altre Chiese cristiane, anche di confessioni diverse, c’erano tremila profughi, venuti lì per pregare insieme, per ascoltare e presentare insieme le loro parole di ringraziamento al Santo Padre che, come sapete, attraverso di me ha mandato un messaggio molto, molto intenso». Che emozioni ha provato in questa prossimità così forte verso di loro? «L’atteggiamento con il quale io sono andato lì non è stato l’atteggiamento di chi andava per dare: sono andato lì con l’atteggiamento di chi riceve; sono andato lì per dire grazie a nome mio, ma a nome un po’ di tutti: grazie a questi uomini, a queste donne, a questi giovani, tantissimi giovani, che per non tradire Gesù, per non tradire il Vangelo, hanno lasciato veramente tutto. Sono andato lì per dire grazie: “Grazie per la vostra testimonianza; grazie perché ci avete fatto capire cosa significhino certe frasi del Vangelo, quando si parla di uomini che hanno lasciato tutto per seguire Gesù”. Io queste parole le ho sentite da un papà che ha detto proprio questo: “Noi abbiamo lasciato tutto per non tradire Gesù”. E mi veniva in mente il modo in cui tante volte questa espressione viene da noi banalizzata; quante volte noi diciamo che abbiamo lasciato tutto per farci preti, suore, per una vocazione particolare, e poi un poco alla volta ci riprendiamo quel tutto che abbiamo dato. Quindi, innanzitutto sono andato lì per dire “grazie, grazie per questa testimonianza seria, profonda, sofferta che ci date”. E poi, sicuramente, sono stato colpito dalla serietà con la quale la Chiesa di Giordania, in questo caso, ma lo scorso anno, quando sono stato ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, anche queste Chiese locali, aiutate evidentemente da altre Chiese, stanno vivendo quell’altro richiamo forte del Vangelo ad accogliere gli immigrati, ad accogliere coloro i quali vengono perseguitati. E qui, guardate, sono persone che sono state perseguitate. L’altra mattina ero in un centro Caritas e ascoltavo la testimonianza di un papà con le sue tre bambine, che ha dovuto lasciare tutto, ma soprattutto ha dovuto vedere – e da questo non si stava riprendendo più – la pistola di un esponente dell’Is puntata sulla tempia della propria bambina. Per fortuna poi questa bambina è stata risparmiata, ma evidentemente quest’uomo è stato così toccato da non riuscire ancora a riprendersi. Come sta reggendo questo Paese, la Giordania, di fronte all’ondata massiccia di questi profughi? «Anche qui, io penso che noi come italiani dovremmo un poco di più imparare a distinguere il percepire dal reale. Cosa intendo dire? Noi qui sentiamo dire e sentiamo parlare di “insopportabilità” del numero di richiedenti asilo: guardate, questo, secondo me, è un atteggiamento che viene, in questi giorni, purtroppo alimentato da questi quattro “piazzisti” da quattro soldi che pur di prendere voti, di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse! Capisco, lo so. Lo so che l’accoglienza è faticosa; lo so che è difficile aprire le proprie case, aprire il proprio cuore, aprire le proprie realtà all’accoglienza. La Giordania ha una popolazione che è di circa 6 milioni, 6 milioni e mezzo, ma sapete che lì ci sono due milioni e mezzo di profughi che vengono accolti? Allora io penso che quello che distingue la Giordania, il Kurdistan iracheno e le altre zone che stanno accogliendo i profughi in questo momento dall’Italia, da noi è questo: non perché loro hanno più mezzi, probabilmente hanno solo un cuore un poco più grande; probabilmente vogliono veramente mettere vita con vita con queste persone. E soprattutto – ripeto – questa attenzione che da noi ahimé manca, questa attenzione ai perseguitati cristiani e yazidi, minoranze che hanno fatto la storia del Medio Oriente». Che cosa ci può dire a proposito del ritorno a scuola di molti rifugiati iracheni? «Sì, questa è stata una scelta precisa fatta dalla Conferenza episcopale italiana, accogliendo una richiesta che ci è venuta in questi giorni. Non ci abbiamo messo molto tempo, grazie a Dio! Ci abbiamo messo meno di 24 ore per decidere: grazie alla solerzia, all’attenzione e alla sensibilità del nostro presidente, il cardinale Angelo Bagnasco. Ricordo di avergli telefonato mentre ero in Nunziatura, con i responsabili Caritas, e dove stavamo vedendo, insieme, cosa concretamente poteva ridare speranza a questa persone in quel momento particolare. Ho subito telefonato al presidente, il quale non ha avuto alcun dubbio e mi ha detto: “Sì! Partiamo subito, appena puoi annunzialo!”. E l’altra sera, durante quell’incontro di preghiera con i 3 mila profughi volevo far vedere l’entusiasmo, la gioia. Perché? Perché, sapete, questi bambini, questi ragazzi, questi giovani, per un anno non sono andati a scuola: dovevano stare lì, chiusi, in quei 2-3 metri che erano a loro disposizione per tutta la loro famiglia. Quindi capite l’angoscia, capite la frustrazione, capite anche l’impossibilità di guardare in avanti. Allora la Chiesa italiana è riuscita, attraverso l’8 per mille. E quindi come dicevo all’inizio non sono i vescovi o non sono soltanto i vescovi, ma tutti coloro i quali hanno firmato per destinare alla Chiesa cattolica l’8 per mille, l’altra sera, erano presenti con me, per guardare in faccia queste famiglie, per guardare in faccia questi ragazzi, guardare in faccia questi giovani. Ne ricordo una che piangeva, perché doveva sostenere ancora due esami per laurearsi e ha dovuto lasciare tutto … Quella sera, l’altra sera, insieme a me, c’eravate tutti voi, c’erano tutti coloro che hanno firmato per dire a queste persone: “Noi concretamente vi stiamo vicini!”.Dal 1° settembre 1.400 tra bambini, ragazzi e giovani torneranno a scuola: andranno nelle scuole del Patriarcato, nelle scuole anche dello Stato e a pagare i professori, a pagare le strutture, sarà l’8 per mille della Chiesa cattolica italiana».
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