sabato 21 maggio 2016
​Una giovane bisnipote scrive una lettera per la cofondatrice della comunità di don Zeno, mamma per vocazione di 58 figli, scomparsa nei giorni scorsi. «Il bene nel mondo ha perso una delle sue più pure messaggere» (di Elisa Tirabassi)
Nonna Irene di Nomadelfia: la nipote la ricorda
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​La bara al centro della sala Don Zeno e intorno i bambini nomadelfi che ballavano a ritmo di  Charleston e Zapateado, la tipica danza messicana. È stata salutata così mercoledì 18 maggio Irene Bertoni, morta a 93 anni, la prima mamma di vocazione di Nomadelfia, la comunità religiosa fondata da Don Zeno sulle colline vicine a Grosseto. Centinaia di persone presenti per dare l'ultimo saluto a mamma Irene, che nella sua vita ha allevato 58 bambini. "Papa Francesco invia le sue più sentite condoglianze per colei che è stata mamma per vocazione", ha detto il vescovo di Grosseto Rodolfo Cetoloni, leggendo una lettera inviata dal segretario di Stato del pontefice. Presente alla celebrazioneanche il cardinale Ennio Antonelli, arrivato in Maremma per portare anche lui l'ultimo saluto alla mamma di Nomadelfia. "Irene era la degna erede di Maria", ha detto. CHI ERA IRENE BERTONI di Andrea FagioliIL RICORDO DI UNA BISNIPOTE: LA SUA MISSIONE ERA IL BENEdi Elisa Tirabassi

"Perché non telefoni a mamma Irene?", mi aveva suggerito mia nonna Chiara (una delle sue figlie adottive). A quel tempo dovevo frequentare un master a Roma ed è stato così che ci siamo conosciute. Ricordo il giorno in cui arrivai davanti alla residenza di Nomadelfia a Monte Mario. Mamma Irene non era in casa ma io l'aspettai in cucina dove c'era un odore caldo di caffè e si respirava un'aria distesa, come di un luogo in cui regnava la calma e in cui si viveva in pace. Da quel giorno ci vedemmo tutte le settimane per alcuni mesi e ricordo che ogni volta era lei ad aspettarmi fino a tarda sera quando da Modena arrivavo in treno dopo avere lavorato tutto il giorno.

Mamma IreneEntravo in casa e lei era sempre indaffarata nelle sue faccende affinché non mi mancasse nulla. Apparecchiava la tavola con la sua cura più che materna e trottava senza sosta avanti e indietro per la cucina dove ogni tentativo di aiutarla per farla riposare mi veniva sistematicamente negato. Finalmente, una volta servita la cena, si sedeva di fronte a me con il suo splendido e disarmante sorriso che illuminava un volto dal quale pareva scomparire ogni segno lasciato dal tempo e dalla sua intensa vita. Erano suoi i primi passi che sentivo al mattino e, nel silenzio della mia stanza, pensavo a quel corpo piegato sotto al peso di una esistenza che l'aveva provata ma senza spezzarla mai. Se sono qui adesso, a migliaia di chilometri di distanza a sentire una tristezza che mi gonfia il cuore, non è per la sua mancanza fisica su questa terra ma è per tutto ciò che faceva luce dentro di lei e che ora, brillando da più lontano, sarà più difficile sentire allo stesso modo. Quando ho ricevuto la notizia della scomparsa di mamma Irene un'immagine si è subito materializzata nella mia mente: quella del bene rappresentato come fosse una grande torta. Da quel momento è stato come se una grossa fetta non ci fosse più e osservarla lì, incompleta, ora la fa apparire indebolita e snaturata nella sua essenza. È stato come raggiungere la consapevolezza che il bene stesso del mondo abbia perso una delle sue più sane, oneste e pure messaggere. A ripensare oggi al nostro legame, mi pare come se tutto ciò che ero e avevo prima di incontrare lei fosse soltanto la metà di qualcosa che non immaginavo potesse essere così frammentario. Da lei ho imparato che tutto sopravvivere nell'equilibrio di due pesi. Da una parte, il piatto che pare pesare sempre di più, quello delle disuguaglianze, delle ingiustizie e delle umane scorciatoie della vita materiale; ma dall'altro c'è qualcosa di altrettanto tenace e che ha la forza sufficiente per non arrendersi contro tutto ciò che con estrema facilità saprebbe trascinarci irreparabilmente verso il fondo.  Come è stato per la Comunità che hai cresciuto, grazie perché saranno semi come i tuoi che con la prepotenza del bene faranno crepare e smuoveranno la terra arida e incolta che da troppo tempo abbiamo lasciato andare dentro di noi. "Sei stata bene, Elisa?", mi ha chiesto prendendomi le mani quando ci siamo incontrate l'ultima volta. "Certo, nonna. Grazie per tutto". Bene, mi disse, perché quella era la sua missione.

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