lunedì 13 gennaio 2014
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L’Evangelii gaudium sollecita l’identità più profonda dell’Agesci e rilancia a guide e scout cattolici italiani la sfida di sapere essere autentici educatori in ascolto del mondo con i suoi rapidi cambiamenti. Un ascolto che fonda quella pedagogia del "fratello maggiore", fatta di condivisione e accompagnamento, in sintonia con il "carisma" dell’associazione. Ne sono convinti Marilina Laforgia e Matteo Spanò, presidenti del Comitato nazionale dell’Agesci.Che cosa vi ha colpito dell’esortazione apostolica di papa Francesco come scout e guide?La Evangelii gaudium nella sua interezza e sin dalla introduzione ci "colpisce" e ci interpella. Tuttavia, forse prima che altri richiami, l’affermazione «i laici sono l’immensa maggioranza del popolo di Dio» da un lato sollecita la memoria delle motivazioni e delle riflessioni che hanno condotto l’Agesci, a partire dal 1976, ad assumere un ruolo attivo e propositivo nell’ambito del laicato cattolico e quindi della Chiesa italiana e dall’altro rafforza la consapevolezza di quanto l’Agesci possa fare nella e con la Chiesa per il mondo contemporaneo, nell’evangelizzazione di una società che si va trasformando a una velocità finora impensabile.Vi sentiti coinvolti quindi soprattutto nell’invito a una nuova missionarietà?Sì, l’immagine missionaria della Chiesa, come Chiesa "in uscita", comunità di discepoli che prendono l’iniziativa, che accompagnano, che fruttificano, che festeggiano, esalta, in maniera sorprendente per noi, alcuni aspetti della nostra pedagogia e illumina il valore di alcuni fondamenti e strumenti del metodo educativo dello scautismo (pensiamo, per esempio, allo «spirito dell’impresa» che caratterizza la vita delle squadriglie di esploratori e guide). Nel richiamo a essere «realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia, la dedizione piena di speranza» riconosciamo l’immagine delle Sentinelle di positività che abbiamo scelto di incarnare - a partire dal Progetto nazionale che sta orientando il cammino dell’Agesci in questi anni - per stare da cristiani nelle città, da educatori che accompagnano i piccoli e i giovani a riconoscere strade e prospettive per il futuro, e che a loro devono insegnare la forza della speranza e il coraggio della fedeltà.Quali punti del carisma dell’Agesci in particolare vengono sollecitati dall’Evangelii gaudium?Lo scautismo, è una pedagogia, un’esperienza, un linguaggio, anzi è pedagogia dell’esperienza e linguaggio capace di codificare senso e valore delle esperienze. Usiamo l’espressione "parlata nuova" (tratta dal «Libro della Giugla» di Kipling) per indicare un linguaggio - fatto anche di simboli, gesti, espressioni, immagini - capace di rinnovarsi e arricchirsi costantemente, pur radicandosi in una tradizione, mentre si vivono e si raccontano avventure sempre nuove. Il linguaggio dello scautismo può raccontare l’avventura dello «sporcarsi con il fango della strada», come l’avventura di crescere nella comprensione del Vangelo e nel discernimento dei sentieri dello Spirito. La Evangelii gaudium sollecita questo nostro "carisma" quando ricorda come oggi, negli enormi e rapidi cambiamenti culturali, l’impegno evangelizzatore deve «cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consente di riconoscere la sua permanente novità». E poi l’«arte dell’accompagnamento», che così come illustrata, nel capitolo terzo dell’Evangelii gaudium, come «sguardo di vicinanza, ritmo salutare della prossimità», capace di risvegliare in chi viene accompagnato «la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere», sollecita in noi la peculiarità della relazione capo-ragazzo.In che modo?La cifra della relazione educativa dello scautismo è data dalla figura dell’educatore scout come "fratello maggiore". Il fratello maggiore è proprio un accompagnatore perché, in forza di una comune paternità, vive con l’altro una stessa esperienza, com-patisce, ascolta, comprende, aspetta e così promuove un "progressione personale" liberando una forza "autoeducante". Uno stile che ritroviamo nell’Esortazione apostolica quando afferma che «solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio».Nel documento il Papa indica alcune delle sfide poste alla Chiesa dal mondo contemporaneo. Quale sentite più viva e attuale per voi?La sfida più viva è l’inedito di questo tempo, concentrato nella città. La città è lo spazio più esigente di nuova evangelizzazione, esige linguaggi nuovi, percorsi nuovi, esige l’abbandono di strade già battute, esige dalla Chiesa un supplemento di creatività: immaginare spazi di preghiera e di comunione, con caratteristiche innovative. La pluralità di mondi che si incontrano e si concentrano nelle nostre città, e che le nuove generazioni frequentano, rende fortemente sfidante l’educazione alla fede, proprio perché la fede non può prescindere dai destinatari e dall’ethos in cui sono. Le città sono anche spazi di nuove e vecchie povertà, nuove e vecchie solitudini, nuove e vecchie ingiustizie fra cui spesso si cela un senso profondo dell’esistenza. La Chiesa è sfidata a promuovere nuove forme di solidarietà, carità, fraternità come risposte "politiche" al grido della città, come un "sortire insieme" verso un tempo nuovo.
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