sabato 19 settembre 2015
L’arcivescovo di Chieti: via penitenziale? Si dovrà tenere conto delle situazioni reali. La misericordia avvicina al cuore dell’annuncio. Non è debolezza, ma una scelta evangelica coerente.
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Gli obiettivi del Sinodo che sta per cominciare? Due, innanzi tutto, secondo l’arcivescovo di Cheti-Vasto, Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo e teologo tra più ascoltati: tornare ad annunciare il Vangelo della famiglia e mostrare nei confronti delle famiglie ferite un’accoglienza non più intessuta soltanto di buoni propositi. «Innanzi tutto mi sembra opportuno ricordare le aspettative che il Papa ripone in questo Sinodo. In un momento storico in cui la famiglia è spesso in crisi per diversi motivi e in cui spesso si preferisce la semplice convivenza al matrimonio, Francesco desidera che si torni ad annunciare nella sua pienezza e nella sua verità il Vangelo della famiglia e del matrimonio, si torni a spiegare che la famiglia è scuola di umanità, di socializzazione, di ecclesialità. In secondo luogo c’è l’esigenza di esprimere alle famiglie ferite e alle persone impegnate in un nuovo vincolo la misericordia che Dio ha per ciascuna di loro». Si darà concretezza a questa misericordia?Accoglienza e di attenzione non portano necessariamente alla riammissione al sacramento dell’Eucaristia. La prima necessità è quella di integrare nuovamente queste persone nella comunità. Sull’eventuale riammissione all’Eucaristia il Sinodo farà le sue proposte e, in ultima istanza, spetterà al Papa decidere».E nei confronti dei conviventi, verso i quali l’Instrumentum laboris, sollecita a mostrare “apprezzamento e amicizia”, quale misericordia?È un’indicazione di simpatia verso tutto ciò che esiste di positivo, anche quando, come nel caso delle convivenze, siamo di fronte ad una positività incompleta. I criteri di simpatia verso i conviventi sono dettati dalla presenza nella loro unione del desiderio di fedeltà, stabilità, apertura alla vita. E quando si coglie che questo desiderio possa essere coronato dal sacramento del matrimonio. Giusto quindi accompagnare questo cammino di maturazione. Quando invece la convivenza è episodica, tutto appare più difficile e diventa allora importante trovare la strada per sollecitare nuovi passi verso una maturazione più significativa.Ma per i giovani oggi la paura di sposarsi è spesso insuperabile. Come aiutarli?Il questionario inviato a tutte le conferenze del mondo ci dice che nei giovani c’è una contraddizione di fondo: da una parte un forte desiderio di famiglia che essi continuano a guardare come grembo stabile, affidabile, rassicurante. Ma, allo stesso tempo, c’è la paura di entrare nel “sistema” familiare, perché questa scelta si radica nella logica del definitivo, dell’impegno “per sempre”, che diventa ai loro occhi una sorta di macigno. E allora scatta l’indisponibilità a legare in modo definitivo la propria libertà. Come far comprendere che nella stabilità c’è una  bellezza che rende umanizzante la scelta familiare? È questo l’annuncio che la Chiesa deve riproporre: la bellezza della fedeltà del “per sempre” costruita a imitazione della fedeltà di Dio.Parlavamo di misericordia. Qualcuno vorrebbe contrapporla alla verità. Operazione legittima?Ma la misericordia è solo l’altro nome del Dio provvidente e fedele. Per il cristiano la verità è Lui e Lui è misericordia. L’insistenza sulla misericordia avvicina al cuore del Vangelo. Non è debolismo, non è bisogno di rassicurazione, è uno sviluppo coerente che arriva diritto al centro del messaggio evangelico. Il nostro Dio è buono, misericordioso e fedele. E ci chiede ciò che ci dona.Percorsi di preparazione al matrimonio. Si consiglia una sinergia tra pastorale giovanile, familiare, catechesi, con la collaborazione di movimenti e associazione. Sono maturi i tempi per arrivare al superamento dei tradizionali ambiti pastorali?Sempre di più ci si accorge che al centro della pastorale c’è la persona nella sua integralità. Ecco perché la pastorale non può che integrare i vari aspetti della vita, i percorsi di iniziazione cristiana, il fidanzamento, la catechesi, il matrimonio, l’accompagnamento delle giovani coppie. Tutti momenti che si tengono insieme e che devono essere compresi e unificati in un solo progetto. Da qui l’esigenza di un coordinamento pastorale sempre più armonioso tra comunità, parrocchie, diocesi, sotto la guida del vescovo.Via penitenziale per i divorziati risposati. C’è “un comune accordo” su questa ipotesi ma opinioni differenti – e molto – sulle modalità di realizzarla. A suo parere quale potrebbe essere la strada opportuna?Il primo punto su cui tutti convergono è la necessità della presa di coscienza da parte della persona degli errori commessi e l’apertura del cuore al pentimento. Non si tratta di una scorciatoia. La presa di coscienza riguarda la consapevolezza di aver fallito rispetto al disegno di Dio. Il pentimento schiude al cambiamento interiore. La via penitenziale deve naturalmente tenere conto delle situazioni reali. Quando c’è una convivenza irreversibile, soprattutto con la presenza di figli nati dalla nuova unione, tornare indietro vorrebbe dire venire meno agli impegni presi. E questi impegni comportano doveri morali che vanno ottemperati in spirito di obbedienza alla volontà di Dio che chiede fedeltà a questa nuova unione. Quando esistono questi presupposti, allora si può considerare un’integrazione sempre più profonda alla vita della comunità cristiana. Fino a che punto? L’abbiamo già detto. Toccherà al Sinodo proporre e al Papa decidere. La tradizione ortodossa della cosiddetta “oikonomia” – condiscendenza pastorale nei confronti dei matrimoni falliti – potrà rappresentare un’opportunità su cui riflettere?La cosiddetta condiscendenza pastorale - o “synkatábasis” - è propria della tradizione orientale, ed è fondata sul principio del realismo e sulla storia della grazia. Potrebbe essere un principio valido ma bisogna stare molto attenti alle diversità con l’Oriente. Nella tradizione orientale il matrimonio sacramento è sempre e soltanto il primo. L’unione successiva potrebbe essere considerata come l’accettazione da parte della comunità di una situazione che si è venuta consolidando e da cui non si può tornare indietro. La comunità accetta che le persone in tale situazione siano aiutare a superare le loro fragilità con il sacramento dell’Eucaristia, per vivere il meglio possibile davanti a Dio. Un modello anche per noi? Non ne sono certo. Le proposte pastorali devono tener conto delle tradizione, della storia, della cultura e dell’esperienza di un popolo. E bisogna anche valutare il rischio di creare confusione. A proposito delle famiglie in cui sono presenti persone con tendenza omosessuale, si sollecita la formazione di “progetti pastorali diocesani”. Compito tutt’altro che agevole. Quale potrebbero essere le modalità per seguire queste indicazioni?Il Sinodo si occupa della famiglia e quindi il tema dell’omosessualità riguarda le persone, soprattutto i giovani, con tendenza omosessuale che vivono all’interno di una famiglia. Il messaggio è rivolto quindi ai genitori, e intende evidenziare il rispetto sempre e comunque dovuto alla persona umana. Non va dimenticato che la Chiesa considera un disordine l’esercizio dell’omosessualità, non giudica la tendenza omosessuale in sé. D’altra parte i documenti sinodali, compreso l’Instrumentum laboris, non hanno espresso un giudizio di valore sull’omosessualità, non ne hanno riconosciuto la positività. Certamente, l’accompagnamento della persona omosessuale in una logica di rispetto, di accoglienza e di simpatia, implica conoscenze psicologiche, spirituali e pedagogiche che non possono essere improvvisate. Ci si dovrà chiedere come fare  per predisporre al meglio percorsi capaci di aiutare davvero queste persone a maturare la propria identità nella luce della fede.Sulla comunione spirituale si è aperto, in questi mesi, un dibattito serrato. Opportuno o non opportuno concederla ai divorziati risposati?Bisogna precisare il rapporto tra comunione spirituale e comunione sacramentale. Se la comunione spirituale è un profondo desiderio di comunione con il Signore, la differenza con la comunione sacramentale è evidente. Nel senso che si può avere un grande desiderio di unione con il Signore e trovarsi in situazioni in cui non è possibile accedere al sacramento, perché mancano le condizioni oggettive (per esempio per i divorziati risposati). Il desiderio è un grande valore, perché spinge la persona a frequentare la Messa e ad avvicinarsi alla comunità, ma non può essere confuso con l’Eucaristia sacramentale. Anzi, laddove si volesse identificare la comunione spirituale con la comunione sacramentale si finirebbe per contrapporre la Chiesa invisibile alla Chiesa visibile, e questo per la dottrina cattolica è inaccettabile, perché sono due realtà distinte, anche se non separate. Credo che questo problema potrà comunque essere chiarito, quando riusciremo a delineare con maggior precisione le caratteristiche da attribuire al cammino penitenziale per i divorziati risposati.
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