venerdì 20 marzo 2015
Parla il cardinale prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: Cristiani e musulmani nella misericordia un «anno» di dialogo.
Vicino alla persona solo per premura di Mauro Cozzoli
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«Anche i musulmani credono in un Dio misericordioso. Il mio appello è che anche loro, secondo le loro forme, possano celebrare un "anno della misericordia" e così crescere nella comprensione reciproca con i cristiani che vivranno l’Anno Santo della misericordia proclamato da papa Francesco, camminando insieme sotto la protezione di Dio. Sarebbe il miracolo più bello del Giubileo». A formulare questa speranza è il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, intervenuto ieri all’Università Cattolica, a Milano, alla presentazione del libro di Joseph Yacoub «Qui s’en souviendra? 1915: le génocide assyro-chaldéo-syriaque» ("Chi se ne ricorderà? 1915: il genocidio assiro-caldeo-siriaco"), dedicato a una tragedia dimenticata del XX secolo, il genocidio dei cristiani assiro-caldei che, con quello degli armeni, fu prova e "prototipo" degli altri genocidi del nostro tempo.Una strage subito rimossa. E non entrata, finora, nella memoria dei popoli. «Una strage che però segna l’inizio delle grandi sofferenze vissute dai cristiani nel Vicino Oriente. Noi abbiamo il dovere, discreto ma forte, di non dimenticare. Entrando in punta di piedi, senza urlare, nel tempio sacro delle sofferenze di quei martiri, di quei confessori della fede», afferma Filoni intervenendo all’incontro con Yacoub (si veda a lato). Proprio l’oblio, la memoria cattiva e fragile, il deficit di solidarietà, anticamera all’indifferenza verso le sofferenze degli altri, sono la condizione ideale perché stragi e persecuzioni possano continuare a perpetrarsi, allora come oggi. Ne è convinto Filoni: «La secolarizzazione – spiega ad Avvenire prima di intervenire alla presentazione del libro – che ci porta ad una visione personale o, peggio, privata della fede, ci ha portati anche a non occuparci più di tanto a ciò che succede nel mondo. Poi: quel che succede oggi, domani lo abbiamo già dimenticato. La nostra società vive in uno stato di continuo oblio. Come è possibile, così, riconoscere e valorizzare quelli che invece sono segni altissimi della nostra umanità, come la capacità di morire per un ideale, per un valore spirituale, per una fede? In un mondo materialista e dalla memoria corta, il martire, chi è capace di dare la vita per fede, diventa quasi superfluo». In questo oblio, cresce l’indifferenza non solo verso le sofferenze dei cristiani in Africa, India o Pakistan, ma anche verso il rischio che terre dove la Chiesa è presente fin dalle origini rimangano senza cristiani. Come il Vicino Oriente che Filoni – nunzio dal 2001 al 2006 in Giordania e Iraq, dopo aver prestato servizio anche in Iran, dal 1983 all’85 – conosce bene. E porta nel cuore.Ed è in un giorno speciale che è avvenuto, ieri, l’incontro in Cattolica. Era il 19 marzo 2001 quando Filoni riceveva l’ordinazione episcopale da Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro. Due mesi prima, il 17 gennaio, papa Wojtyla lo aveva nominato nunzio in Iraq. Un altro 19 marzo, quello del 2003, la cosiddetta «coalizione dei volenterosi», «cominciava a bombardare il Paese», ricorda il porporato. E fu l’inizio di quella tragica deriva che avrebbe portato alla drammatica – e ancora non conclusa – diaspora dei cristiani iracheni. Come proteggere le comunità cristiane e tutte le minoranze perseguitate? «Non c’è altra risposta che la solidarietà. Negli Stati e a livello internazionale, sviluppando un’idea di multiculturalità, perché le minoranze abbiano riconosciuto il diritto di esistere, di vivere, al fianco delle maggioranze. Bisogna costruire una solidarietà previa – scandisce Filoni –, se si vogliono prevenire violenze, discriminazioni, guerre». Mentre oggi invece sembra prevalere l’indifferenza. O un’attenzione interessata. «Per cui ci si occupa di ebola solo quando rischia di toccarci, mentre finché ebola, dengue o malaria fanno vittime solo in Africa, restiamo indifferenti, mentre continuiamo a sfruttarne le ricchezze».Proprio per testimoniare solidarietà, papa Francesco vorrebbe andare in Iraq. «È un desiderio che ha espresso chiaramente più volte. Credo che quando ci saranno le condizioni politiche e umane per realizzare il viaggio, non si tirerà indietro. E credo – prosegue Filoni – che ne saranno felicissimi non solo i cristiani ma anche i musulmani – consapevoli di quale storica occasione si perse col viaggio a Ur negato a Giovanni Paolo II». A proposito di papa Francesco: quale impulso nuovo, originale ha dato alla sfida dell’evangelizzazione dei popoli? ««Con lui – grazie in particolare alla Evangelii gaudium –siamo passati da un concetto di evangelizzazione ad gentes ad un concetto "comprensivo", che ha rivalutato l’idea di missione, guardando non solo a chi incontra Cristo e il Vangelo per la prima volta, ma anche chi li conosce già, ma poco, o è chiuso nella dicotomia tra Vangelo e vita».
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