mercoledì 30 maggio 2012
Con un pensiero alle vittime del sisma in Emila si è aperto oggi il Congresso teologico pastorale, con 111 relatori e migliaia di partecipanti. Scola: famiglia insostituibile risorsa per la società. Antonelli: l'incontro è un saggio di speranza. Giovani, migrazioni, comunicazioni, conciliazione al centro dei dibattiti (di Zaccuri, LenziLiut, Martinelli, Daloiso e Ferrario). VAI ALLO SPECIALE
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Una platea di cardinali, vescovi, sacerdoti da tutto il mondo, con il 90% delle Conferenze episcopali rappresentate, e soprattutto famiglie dai cinque continenti: oltre seimila persone a riempire e animare il centro congressi MiCo a Fieramilanocity. È con questo colpo d'occhio che si sono aperti oggi i lavori del VII Incontro mondiale delle famiglie, con il primo dei suoi momenti chiave, il Congresso teologico pastorale.Un evento che sarà "anzitutto un evento di testimonianza", ha spiegato l'arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola. "La famiglia è un'insostituibile risorsa per ogni persona e per la società", dice Scola aprendo i lavori, e "la cura appassionata dei cristiani per la famiglia è un contributo di civiltà alla società del presente e del futuro".Dopo la cerimonia d'inaugurazione, animata tra le altre cose da una sfilata delle bandiere del mondo e dalla recitazione in varie lingue di una preghiera sulla famiglia scritta dallo stesso Scola, i lavori sono entrati nel vivo con i primi interventi dei 111 relatori che si alterneranno nei prossimi tre giorni.Tutto ruoterà intorno ai tre temi chiave scelti da papa Benedetto XVI per l'Incontro: la famiglia, il lavoro, "ambito in cui l'uomo - dice Scola - racconta sé stesso", e il riposo, "che si innesta - afferma il cardinale - tra famiglia e lavoro, favorisce l'equilibrio, dà un ritmo a affetti e lavoro, ed è compiuto quando diventa festa, comunitaria e piena di gioia".Non è mancato, in avvio della mattinata, un pensiero alle vittime del sisma, sia da parte di Scola, sia da parte del cardinale Ennio Antonelli: "Aleggia su di noi una nube di mestizia - ha detto quest'ultimo -: ai morti, ai feriti, alle famiglie che hanno perso la casa, a chi ha perso il lavoro, il nostro commosso pensiero e la nostra solidarietà, avvalorati dalla preghiera". "L'attuale crisi non è solo economica ma culturale e religiosa, acuisce la domanda di valori autentici, provoca la revisione delle dinamiche di mercato, invita a riconoscere il primato della persona, la solidarietà": ha continuato Antonelli, presidente del Pontificio consiglio della famiglia, nella sua relazione di apertura del Congresso. "Nonostante i problemi che oggi incontra la famiglia - ha detto Antonelli al MiCo di Fieramilanocity - l'Incontro vuole offrire un saggio di speranza fondato su fenomeni che ci sono anche oggi". Bisogna avere fiducia, conclude il cardinale, "nell'energia inesauribile dell'essere umano". GIOVANI E FUTURO DEL LAVORO (di Alessandro Zaccuri) Che guaio se la Net Generation diventasse la generazione dei Neet, e cioè quelli che non lavorano, non studiano, non investono sulla formazione. In Italia rappresentano più del 22% della popolazione giovanile e questo – sottolinea il presidente dell’Ipsos, Nando Pagnoncelli – è un dato sui cui riflettere. Se ne parla al Centro Giovanni XXIII di Bergamo, nell’incontro su «Progetto di vita dei giovani e futuro del lavoro» inserito nel percorso di Family 2012. Due i relatori, per due interventi che si intrecciano e si completano. Di taglio letteralmente pastorale quello di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano e presidente della Commissione episcopale per la giustizia, la pace, il lavoro e i problemi sociali. La figura del pastore, ha spiegato, è immagine della sollecitudine che l’intera comunità deve alla condizione di precariato di cui i giovani sono vittime. È poi toccato al sociologo Giuseppe De Rita ricostruire la genesi di una crisi che la famiglia potrà contrastare solo tornando a ricordare che «la vita si insegna attraverso la vita». MIGRAZIONI: LE SFIDE E LE OPPORTUNITA' PER LE FAMIGLIE (di Matteo Liut)La famiglia è la prima “vittima” del fenomeno migratorio, poiché i nuclei domestici dei migranti devono affrontare numerose difficoltà, ma la famiglia è anche “il primo interlocutore con il governo di accoglienza per l’estensione di nuove leggi”. E forse in Italia non si è ancora compresa la necessità di “nuove leggi per i cittadini che non sono nati nel nostro Paese”. Queste parole di don Giancarlo Quadri, responsabile delle pastorale dei  migranti dell’arcidiocesi di Milano, ieri, nell’ambito del VII Incontro mondiale della famiglia in corso nel capoluogo lombardo, hanno aperto il dibattito sul tema “Il fenomeno migratorio e la famiglia”.Comunità migranti, comunità che accolgonoUna tavola rotonda che ha visto l’intervento di due vescovi: monsignor Gilbert Garcera, vescovo di Daet, nelle Filippine, e monsignor Nicholas Di Marzio, vescovo di Brooklyn, a New York. Due voci che hanno affrontato le sfide poste dalle migrazioni da due diversi punti di vista. Garcera, infatti, si è soffermato sui problemi che i migranti e le loro famiglie devono affrontare, soprattutto davanti all’esperienza lacerante del distacco dai propri cari. Una riflessione che si è soffermata sull’esperienza delle Filippine, Paese che conosce un forte flusso migratorio verso l’estero. Di Marzio, vescovo di origini campane, ha voluto, invece, mettere in primo piano, dal punto di vista delle comunità che accolgono i migranti, i criteri da realizzare per un’integrazione efficace.Due esperienze di migrazioneLa tavola rotonda, infine, è stata animata dalle testimonianze di due famiglie di immigrati a Milano: i peruviani Felix e Carmen Juarez e i filippini Fernando e Bernadette Gomez. Due esperienze diverse, ma accomunate dal forte radicamento nell’educazione cristiana: un patrimonio, hanno raccontato le due famiglie, che li hanno sorretti nelle difficoltà e aiutati a diventare protagonisti attivi nella pastorale dell’arcidiocesi milanese. FAMIGLIA E COMUNICAZIONE GLOBALE, IL BISOGNO DI UN CAMBIO DI RAPPORTO (di Nicoletta Martinelli)Si possono maneggiare i nuovi media utilizzando vecchi schemi? La risposta è scontata – no – e sconfortante se non si è attrezzati per utilizzare approcci efficaci e all’avanguardia. Che fare quando i figli ti sorpassano nell’uso della tecnologia, quando ovunque e in qualsiasi momento possono navigare in un mondo, quello del web, in cui è facile finire inghiottiti dai flutti? «Meno controllo, più governo» risponde Piercesare Rivoltella. Il che comporta un’educazione alla responsabilità. «Bisogna puntare alla responsabilizzazione e costruire soluzioni  negoziali condivise». Insomma, l’utilizzo dei nuovi media su base contrattuale, con un accordo tra genitori e figli. Senza mai dimenticare che per governare proficuamente chi la tecnologia la usa disinvoltamente, bisogna governare prima di tutto la tecnologia: no ai genitori analfabeti digitali. «Sono gli adulti a dover discriminare cosa è buono e cosa è no e a trasmettere lo stesso criterio ai figli – interviene Norberto Gonzales Gaitano – insegnando loro, per esempio, che c’è una grande differenza tra l’essere connessi e l’essere in relazione. Tocca ai genitori spingere perché si privilegino quelle relazioni che creano vincoli e legami e che è spesso inutile cercare su Facebook. Che crea rete ma non comunità».LA FAMIGLIA COME RISORSA DELLA SOCIETA' (di Paolo Ferrario)Presentazione ricerca “Famiglia risorsa per la società”, realizzata dal Pontificio consiglio per la famigliaRelatori: Pierpaolo Donati, curatore della ricerca e docente di Sociologia della famiglia all’Università di BolognaFrancesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiariGiovanna Rossi, docente di Sociologia della famiglia all’Università Cattolica di MilanoInvestire sulla famiglia per uscire dalla crisi e costruire una società di più libera, giusta e solidale. È la “ricetta” che arriva dall’Incontro mondiale di Milano, corroborata dai dati della ricerca “Famiglia risorsa della società”. Non tutte le forme di famiglia sono, in egual misura, una risorsa sociale. Ma soltanto la famiglia normocostituita, formata da un uomo e una donna, uniti in matrimonio, con i loro figli rappresentano un valore aggiunto per il progresso sociale. Il problema è che la politica non ha ancora compreso qual è il genoma sociale della famiglia, che non è la sommatoria di due individualità, ma una moltiplicazione di energia decisiva per il benessere e la felicità della persona e, quindi, della società. Per questa ragione, l’appello che viene rilanciato anche dall’Incontro mondiale delle famiglie è di avere politiche familiari promozionali e non assistenziali, preventive e non soltanto riparatorie, sussidiarie e non sostitutive. Insomma, serve una politica che capisca che mettere risorse sulla famiglia è un investimento sul futuro e non un costo del passato.

LA CONCILIAZIONE DI FAMIGLIA, LAVORO E FESTA: ALCUNE BUONE PRATICHE (di Viviana Daloiso)Conciliare famiglia, lavoro e festa? Si può fare. Parola dei partecipanti alla tavola rotonda dedicata al tema e moderata da Francesco Ognibene, che con le loro esperienze concrete hanno intrattenuto oltre un migliaio di partecipanti, per una sessione del Congresso “da record” in termini di numeri e di attenzione al dibattito.
Ad aprire i lavori la professoressa Nuria Chinchilla, direttore del dipartimento di Lavoro e famiglia della prestigiosa Iese Business school, la scuola di specializzazione in Amministrazione d’Impresa dell’Università di Navarra con sede a Barcellona e a Madrid. Che della conciliazione non solo ha ricordato il ruolo fondamentale per il benessere della società (quest’ultimo si fonda sull’equilibrio tra le dimensioni di ogni essere umano in azienda e in famiglia), ma ha anche mostrato gli effettivi, straordinari risultati sul piano produttivo: in una ricerca condotta dallo Iese in 24 Paesi del mondo sul grado di “responsabilità familiare” delle politiche messe in atto dalle aziende, il risultato è che in quelle dove la conciliazione è attuata con successo l’impegno dei dipendenti è 3 volte superiore rispetto a quelle dove non esiste alcuna pratica di questo tipo, la soddisfazione 7 volte maggiore e la produttività aumenta mediamente del 19%.
Numeri che un imprenditore come Enzo Rossi, al timone del colosso della pasta marchigiano Campofilone, conosce bene: almeno da quando, nel 2007, ha deciso di punto in bianco di aumentare di 200 euro netti lo stipendio dei suoi dipendenti sulla base di un’intuizione: quella che aiutandoli ad arrivare a fine mese, a concedersi un acquisto o una cena in più, magari a mettere da parte dei soldini per le vacanze o per il futuro dei propri figli, il clima in azienda potesse migliorare. Risultato? Molto di più. Non solo la Campofilone è diventata una grande famiglia, e la “casa” dove si festeggiano Natale, compleanni, lauree. L’azienda ha anche ottimizzato i suoi incassi, inaugurando un turn over tra dipendenti sempre più stimolati e responsabili e abbattendo completamente le spese per la comunicazione interna, la formazione, la sicurezza. Di più ancora: contagiando tutte le piccole e medie imprese locali, che oggi seguono il metodo “Rossi” creando realtà in cui famiglia e lavoro vanno a braccetto, col guadagno di tutti.
E quello che nella Marche è avvenuto in piccolo, all’Endesa (colosso iberico dell’energia oggi acquisita da Enel) viene applicato su 78mila dipendenti, in 40 Paesi del mondo. A raccontarlo, una direttrice delle risorse umane madre di due figlie, Miriam Filella, che slide dettagliate alla mano ha illustrato il “sogno” diventato realtà nella sua azienda: quello di un posto di lavoro dove il dipendente trova tutta l’assistenza sanitaria di cui ha bisogno, corsi di fitness e di inglese, servizio di spesa e shopping “a domicilio”, flessibilità assoluta nei tempi e nei modi di lavoro (ingressi posticipati e tempi ridotti nei primi tre anni di vita dei figli sia per le mamme che per i papà). E ancora sostegno economico, agevolazioni sui tassi per i mutui, piani pensioni ad hoc. Tutte misure che hanno portato il colosso a un benessere economico impensabile in tempi di crisi come i nostri. A dimostrazione che proprio innanzi alla crisi, forse, si è aperto lo spazio per una nuova imprenditorialità a misura di “persona”, in cui il curriculum “vitae” del lavoratore parli davvero della sua vita, delle sue esigenze, delle sue capacità e smetta di considerarlo solo come strumento e finché funziona. SCUOLA: ALLEATA DELLA FAMIGLIA (di Enrico Lenzi)Una scuola schiacciata dai tempi del lavoro. Eppure dovrebbe essere il "luogo della formazione" e, per questo, il "tempo della festa". E in tutto questo la scuola cattolica è chiamata a evidenziare la missione di "luogo della formazione" e il ruolo di "alleata" della famiglia in campo educativo. E' quanto hanno sottolineato i relatori dell'incontro che il VII Incontro mondiale delle famiglie ha voluto dedicare proprio al tema della scuola cattolica. E due famiglie , una croata e una italiana, hanno testimoniato come la scelta della scuola cattolica per loro si è rivelata "una scelta vincente". "I nostri sei figli - raccontano i coniugi croati Zdravko e Nela Kirincic -  hanno trovato nella scuola cattolica una formazione completa, anche dal punto di vista spirituale". Analogo discorso per i coniugi Giulio e Angela Borgia di Arezzo. "Abbiamo trovato nella scuola cattolica un valido alleato nel nostro compito educativo". A testimoniare quanto sia importante il ruolo della scuola cattolica è stato il gesuita padre José Antonio Vega direttore della scuola Don Bosco in Marocco. "Le famiglie marocchine, tutte musulmane - racconta - scelgono le nostre scuole perché vedono in noi una coerenza di pensiero e azione nel campo della fede". Un aspetto, sottolinea il professore Sergio Cicatelli, direttore del Centro studi della scuola cattolica, che "in Italia sembra essere passato in secondo piano nella scelta delle famiglie verso la scuola cattolica". Ma il valore della testimonianza e della funzione formativa non viene meno.
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