lunedì 28 maggio 2012
L'arcivescovo ambrosiano riflette sulla "pienezza della vita familiare" e sul suo valore sociale che non può essere annacquato da altre forme di unione. Il rischio? Quello di cadere "in una pericolosa babele". Oggi l'apertura della Fiera della famiglia. >> VAI AL DOSSIER
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L’Incontro mondiale delle famiglie che oggi entra nel vivo con l’accoglienza delle delegazioni da tutto il mondo, potrà essere una straordinaria occasione per «rigenerare comunità vitali, rinnovare energie spirituali e passioni civili. E questo è tanto più importante nella nostra società plurale».È fiducioso e sereno il cardinale Angelo Scola, mentre si schiudono le porte del grande evento che per una settimana porterà a Milano le famiglie dai cinque continenti. Un’iniezione di mondialità che potrà servire anche per delineare in prospettiva la metropoli che verrà.Eminenza, domenica in Duomo, incontrando i volontari dell’Incontro mondiale delle famiglie, lei ha detto che questo evento è un’occasione privilegiata per contemplare all’opera il dono dello Spirito attraverso l’unità e l’urgenza missionaria che opera in noi. Per le famiglie qual è la missione più urgente?Innanzi tutto quella di vivere in pienezza la vita familiare come esperienza di libertà. Essa, grazie all’amore fedele degli sposi, si comunica nella generazione dei figli che prosegue nella loro educazione. E da qui diventa ricchezza insostituibile non solo per la comunità cristiana, ma per tutta la società.Si parla tanto di emergenza educativa. Le famiglie cristiane però, come tutti gli educatori, devono prima di tutto essere testimoni credibili dei valori che annunciano. Come affrontare questa sfida educativa da parte delle famiglie nella globalizzazione culturale in cui siamo tutti immersi?Bisogna intendersi sul concetto di testimonianza che troppo spesso abbiamo ridotto solo a buon esempio. La testimonianza è assai di più. È conoscenza della realtà e quindi comunicazione della verità. Non si tratta soltanto di enunciare valori, ma di far fare esperienza dei valori. Per questo i fedeli sono chiamati ad immergersi in tutte le dimensioni della comunità cristiana: dall’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio, all’annuncio e alla catechesi, dalla condivisione gratuita di chi è nel bisogno alla comunicazione del dono della fede a tutti i fratelli uomini.La prima catechesi del percorso di preparazione all’Incontro mondiale era intitolata il segreto di Nazareth.  Quali sono i "segreti" di Nazareth che padri e madri dei nostri giorni non dovrebbero dimenticare per vivere al meglio la propria realtà familiare?Quando parlo di Santa Famiglia mi tornano sempre in mente le parole di Paolo VI a Nazareth. Ci spronano ancora oggi a riflettere sullo straordinario rapporto tra Maria, Giuseppe e Gesù e su quell’amore capace di legami forti e pieni di libertà. Da Nazareth ci viene anche la lezione del lavoro come edificazione. Come trascurare, ad esempio, l’episodio delle nozze di Cana? A Cana si esprime bene il concetto di festa, come rigenerazione gratuita e comunitaria della persona. Giusto punto di equilibrio tra famiglia e lavoro. Credo che siano elementi decisivi anche per le famiglie dei nostri giorni.Lavoro che manca in modo sempre più drammatico e festa trasformata molto spesso in "tempo libero" e occasione di "sballo". Sono i temi dell’Incontro mondiale. Anche qui l’opera di "rieducazione" sembra molto impegnativa. Ci riusciremo?Penso di sì. Proprio molti lavoratori che più avvertono i morsi della crisi, penso ai giovani e ai 40-50enni, stanno reagendo in modo energico. Ne faccio diretta esperienza visitando le varie realtà della diocesi ed incontrando rappresentanti di imprenditori e sindacati. Certo, i cristiani dovrebbe entrare di più nella logica dei grandi cambiamenti in atto anche nel mondo del lavoro. Il momento è grave e deve sollecitare la solidarietà di tutti, sostenuta dalle politiche di chi ci governa. La "rieducazione" dovrebbe riguardare anche il modo di intendere la festa?Certo, va ripensato il rapporto tra famiglia e lavoro. Il riposo dev’essere un modo per rigenerarsi, non "per staccare la spina". Ma anche in questo caso ci sono segnali positivi. Penso alla bella abitudine, che sta crescendo, di incontrarsi a pranzo la domenica tra genitori, figli e nonni. Ma anche ai tanti modi di passare la festa insieme nei nostri oratori o tra amici che tengono al valore dei rapporti.Torniamo alla sua omelia di domenica. Sempre in riferimento all’Incontro mondiale, lei ha detto che si tratterà "per i milanesi e per gli abitanti delle nostre terre, di una scuola privilegiata per imparare a vivere la Milano del futuro". In questa Milano del futuro, come in molte altre città italiane, gli amministratori stanno varando iniziative - e spesso l’hanno già fatto - che vorrebbero porre sullo stesso piano la famiglia fondata sul matrimonio e le coppie di fatto. Perché questa equiparazione è ingiusta?È una questione di realismo. Se non vogliamo cadere in una pericolosa babele, dobbiamo tornare alle cose così come sono e chiamare ciascuna di esse col proprio nome. Le parole nascono insieme alle cose. La famiglia è quella fondata sul matrimonio, fedele e aperto alla vita, tra un uomo e una donna. Altre forme sono cose assai diverse. L’equiparazione, in questo caso, genera confusione. Ecco perché è ingiusta.D’altra parte il serbatoio delle coppie in difficoltà sembra purtroppo inesauribile. Sappiamo che, soltanto in Italia, tra separazioni e divorzi, ci sono circa 150 mila coppie che vivono la sofferenza della disgregazione. Come Chiesa facciamo abbastanza a suo parere per evitare questi drammi e poi per accogliere e accompagnare separati e divorziati?Per tutto ciò che riguarda la dignità e la crescita delle persone non si può mai dire di fare abbastanza. Accogliere e aiutare le persone ferite da divisioni familiari è indispensabile. Per questo è necessario poter contare su comunità capaci di far trasparire l’amore di Cristo. Comunità che non siano meri agglomerati di fedeli, ma luoghi vivi, palpitanti. In questo modo possiamo esprimere, nel rispetto degli insegnamenti della Chiesa, ai separati e divorziati, tutta la forza della nostra comunione e proporre a tutti cammini di vita cristiana.    Da stamattina, con l’arrivo delle delegazioni da tutto il mondo, respireremo un clima festoso di incontro, in un abbraccio di mondialità che avrà tanti risvolti positivi, anche dal punto di vista emotivo. Ma una settimana passa in fretta. E poi? Che tipo di lascito spirituale vorrebbe per Milano e per la Chiesa italiana da questa grande esperienza?Questa domanda è utile per rispondere a quanti si chiedono a cosa servano questi grandi eventi. Organizzazioni così impegnative, con un grande investimento di energie e di mezzi e poi - si dice - lasciano tutto più o meno immutato. Invece io credo che lo straordinario è di formidabile convenienza quando permette di approfondire l’ordinario. I primi frutti dell’incontro milanese sono già palpabili. Basti pensare ai volontari, alle famiglie ospitanti, alla mobilitazione di parrocchie e aggregazioni di fedeli, al peso che gli strumenti di comunicazione di massa stanno dedicando alla centralità e all’attualità del tema. E poi dipenderà da ciascuno di noi mettere a frutto gli eventi che insieme vivremo. Penso in modo particolare alla presenza del Santo Padre e al suo insegnamento. In questa occasione Benedetto XVI compirà una visita pastorale vera e propria alla diocesi di Milano con cinque momenti forti. Toccherà poi a tutta la realtà ecclesiale innestare questa ricchezza nell’Anno della fede.
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