martedì 9 luglio 2013
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Mai Lampedusa avreb­be immaginato di po­tere avere un Papa a casa. L’impossibile si è realiz­zato e nulla sarà più uguale. «Non cambierà niente di e­steriore, ma nelle coscienze e nei cuori sì», sussurra il par­roco di San Gerlando, don Ste­fano Nastasi, ancora stordito dall’intensa giornata, vissuta fianco a fianco con papa Ber­goglio, dall’arrivo sull’isola al decollo dell’aereo. Emozio­nato e sorridente, don Stefano ha guidato il Pontefice lungo la costa, a bordo della moto­vedetta della Capitaneria. «Ha voluto sapere ogni cosa dei luoghi dai quali transitavamo, cos’è quello, com’è accaduto questo. Gli ho spiegato il si­gnificato della Porta d’Europa e lui ha ascoltato tutto con molta attenzione», racconta don Stefano, che con la sua lettera d’augurio all’inizio del ministero petrino di Bergo­glio, pubblicata sul sito di Mi­grantes, ha dato il via allo sto­rico viaggio. Testimone di ogni attimo del­la visita anche l’arcivescovo di Agrigento, monsignor France­sco Montenegro, che nel suo saluto al Papa parla di Lam­pedusa come 'scoglio e faro', che «purtroppo per molti è di­ventato tomba». Un «faro ac­ceso per la Chiesa intera, per l’Italia, per l’Europa – afferma Montenegro, che è anche pre­sidente della Commissione e­piscopale per le migrazioni della Cei –. Su quest’isola ri­vivono le pagine del Libro del­l’Esodo: la schiavitù, il pas­saggio del mare, la traversata nel deserto, la terra promessa, il sogno della libertà. Essa ricorda a tutti che ci sono delle esigenze di giustizia, di dignità, che non possono essere sop­presse; que­st’isola – ri­corda ancora l’arcivescovo – è lampada accesa perché non si pensi più in termini di emer­genza o di semplice acco­glienza, ma a promuovere po­litiche adeguate di giustizia e di rispetto di ogni vita uma­na ». Archiviata l’emozione per la giornata storica, è il momen­to dei bilanci e dei racconti. «Siamo riusciti a dire al Papa ciò che abbiamo fatto per ac­cogliere e ciò che non siamo riusciti a fare, a riferirgli tante storie di dolore, ad ascoltare le sue parole», dette «non per puntare il dito contro qualcu­no, ma per guardare dentro noi stessi, per trovare forza per il futuro e perdono per il pas­sato », ricorda don Stefano. «Gli ho detto 'lei è dono per noi, e noi siamo dono per lei'. Il desiderio di papa Francesco era di pregare con noi, con la nostra comunità, che in que­sti anni non ha cercato di respingere la storia, ma di vivere la sto­ria ». «Negli ultimi decen­ni – continua il parroco – Lampedusa è stata attraver­sata dalla storia e sicuramen­te tutto questo ha stravolto il quotidiano della gente, a vol­te in modo violento, e questo bisogna riconoscerlo». Il grazie di Papa Francesco a don Stefano è arrivato in di­retta nazionale. «Sulla nave mi ha raccontato quello che han­no fatto lui e il viceparroco per i migranti – spiega ai fedeli pa­pa Francesco – per questo li ringrazio». E alla Caritas dio­cesana e alla parrocchia di Lampedusa il Pontefice ha vo­luto donare un obolo in se­gno di solidarietà per i poveri e i migranti. Don Stefano si è commosso «all’attracco al mo­lo Favarolo, ma anche prima a Cala Maluk. Il calice è tratto dal pezzo di legno della bar­ca naufragata la notte dell’8 maggio 2011. E per noi ha un significato enorme. Bisogna fare memoria del passato. Nel­la scena dell’incontro del Pa­pa con i migranti rivedevo le scene degli anni passati, di sac­che di dolore raccolte su quel molo. Ho rivisto con i miei occhi quello che successe al­lora e il dolore di quel gior­no ». Immagini che rimarranno per sempre anche nella mente e nel cuore del Pontefice. «Quando gli ho chiesto se fos­se davvero soddisfatto, il Papa mi ha assicurato di sì e mi ha detto di essere colpito dal ca­lore della gente», rivela mon­signor Montenegro. «Alla Por­ta d’Europa e anche davanti ai barconi ha detto: 'Ma quanta sofferenza'. Il suo è stato ve­ramente l’atteggiamento del pellegrino, venuto a rendere omaggio alla sofferenza di chi è morto, ma per vivere».
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