mercoledì 1 aprile 2015
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È stato uno dei grandi sogni di Giovanni Paolo II quello di un’Europa che tornasse a respirare con due polmoni. E sembra un segno che oggi l’arcivescovo latino di Leopoli, in Ucraina, Paese al centro del continente e scosso brutalmente da tensioni fra le sue anime filo occidentale e filo orientale, sia Mieczyslaw Mokrzyck, conosciuto familiarmente come don Mietek nei nove anni in cui fu il secondo segretario di Wojtyla a fianco di don Stanislaw Dziwisz. Nel decimo anniversario del transito al cielo del Pontefice santo, “don Mietek” torna con la memoria a quei giorni di 10 anni fa e in particolare a quel 2 aprile in cui la Chiesa si fermò in silenzio e in preghiera. «Il primo ricordo che mi si ripresenta – spiega l’arcivescovo – è appunto quello di come il Papa ha chiuso il suo viaggio terreno. Perché è stato un grande insegnamento, quello di un uomo che si è affidato totalmente al Signore. A partire da venerdì 1 aprile in tanti erano venuti a salutarlo per l’ultima volta e a chiedere la sua benedizione. Cardinali, vescovi, persone che lavoravano nella Curia romana, i suoi amici più cari dalla Polonia, come Wanda Poltawska e suo marito, padre Tadeusz Styczen, il cardinale Marian Jaworski e molti altri. Al pomeriggio di sabato 2 aprile ha iniziato ad assopirsi più frequentemente. Alla sera abbiamo celebrato la Messa. Poi il Papa ha percorso l’ultimissimo tratto della sua vita. Ho assistito al decesso di altre persone e so che quando ci si avvicina alla fine ci sono reazioni di diverse. Giovanni Paolo II è stato tranquillo fino all’ultimo: la sua mi ha ricordato una "dormizione", come quella di Maria. Uno dei miei ricordi più forti è questo: ho visto come muore un uomo di grande fede, un santo». Il presule polacco, oggi di stanza in Ucraina ma per sempre romano dopo il periodo trascorso nell’appartamento papale, ricorda un altro episodio di questa santità ordinaria di Wojtyla: «Quando subì l’intervento di tracheotomia, ero anch’io al Gemelli. A un certo punto don Stanislaw mi passò da leggere un foglietto che il Papa aveva scritto a mano. Feci un attimo fatica a decifrare la scrittura, poi lessi queste parole: “Che cosa mi avete fatto? Ma... Totus Tuus”. In quel biglietto c’era la sua sofferenza e le sua tristezza per un’operazione che toccava la sua voce, la sua parola, quella con cui aveva esercitato il suo ministero. Però c’era anche la fiducia, nella Madonna prima di tutto, il suo accettare la volontà di Dio». Don Mietek aggiunge un altro ricordo: «Nell’omelia del funerale, quando l’allora cardinale Ratzinger disse: “sicuramente il Papa ci sta benedicendo dalla casa del Padre”, rimasi colpito. Perché neanche lui era a conoscenza di un’abitudine di Wojtyla. Alla fine della giornata si recava in cappella, pregava, intonava un canto mariano, poi si recava nella sua stanza. Noi lo accompagnavamo e, anche quando era in carrozzina, di fronte alla prima finestra della sua camera, faceva spegnere le luci, apriva le persiane interne, poi si sporgeva, pregava qualche istante e dava la sua benedizione. Era un gesto che mi impressionava. Era il suo sguardo che andava a chi ancora camminava in piazza San Pietro, alla città di Roma, all’Italia. Era il suo portare nel cuore il mondo intero».
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