mercoledì 23 dicembre 2015
​Il filo che lega Francesco e Benedetto XVI a dieci anni dall'enciclica "Deus caritas est". L'analisi dell'arcivescovo Bruno Forte. (Giacomo Gambassi)
 
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«Senza Benedetto XVI non riusciremmo a capire fino in fondo papa Francesco. E senza Francesco non riusciremmo a esplicitare fino in fondo il magistero di Benedetto XVI». Quando all’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, si chiede quale sia il filo rosso che collega i pontificati di Joseph Ratzinger e di Jorge Mario Bergoglio, lui – teologo di spicco – risponde senza esitare. «Il tema che unifica il magistero dei due Papi è quello del primato della carità, della centralità dell’amore ricevuto e donato». A fare da spunto al ragionamento di Forte è il decennale dell’enciclica di Benedetto XVI "Deus caritas est", la prima del pontificato ratzingeriano. Il documento porta la data del 25 dicembre 2005 e Benedetto XVI era salito al soglio di Pietro il 19 aprile dello stesso anno. «Il testo – afferma l’arcivescovo di Chieti-Vasto – esprime il cuore pulsante della teologia di Joseph Ratzinger, ossia il tema di Dio che è amore. Si tratta di un motivo centrale nella riflessione del Papa emerito fin dagli anni in cui era professore di teologia a Ratisbona. Ad esempio, nel volume del 1973 "Dogma e predicazione" afferma che la fede trinitaria rappresenta “il punto centrale del cristianesimo. L’esistenza di Dio come amore vuol dire appunto che egli esiste come Trinità. Egli esiste da sempre come amore, come incontro fecondo di io e tu, nella relazione personale e per sua natura, e proprio per questo come unità altissima”. A partire dall’importanza della carità, Benedetto XVI si augura che la Chiesa possa vivere un profondo rinnovamento proprio all’insegna del primato dell’amore». Poi Forte cita il libro "Il nuovo popolo di Dio" di Ratzinger. «Una frase programmatica dice: “Il rinnovamento della vita ecclesiale non consiste in una quantità di esercizi e istituzioni esteriori, ma nell’appartenere unicamente e interamente a Gesù Cristo... Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di un decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici, del rivolgersi a quella semplicità vera… eco della semplicità del Dio uno”. Joseph Ratzinger sviluppa tutto ciò sostenendo che l’"agape" cristiana non è negazione dell’umano in alcuna forma, neppure quella dell’"eros", ma è realizzazione piena dell’umano perché soltanto l’amore che salva ci fa veramente umani, a immagine di Dio che è amore. E da Papa scrive nella "Deus caritas est" che l’amore cristiano “non è rifiuto dell’eros, non è il suo avvelenamento, ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza”». L’analisi di Forte si sposta su Bergoglio. «Ora, il tema fondamentale dell’amore come forza motivante della creazione e della redenzione e come vocazione profonda dell’essere umano è anche il motivo dell’insistenza di papa Francesco sulla misericordia. Che cos’è la misericordia se non l’amore gratuitamente donato da Dio e accolto da chi si lascia salvare dalla Sua offerta libera e liberante? Ecco una dominante che lega la prima enciclica di Benedetto XVI all’invito con cui Francesco ci chiama a vivere l’Anno Santo della misericordia». Nella "Deus caritas est" papa Ratzinger definisce la parabola del Buon Samaritano il «programma del cristiano» e spiega che «impone l’universalità dell’amore». Proprio l’icona del Buon Samaritano è al centro del Giubileo. «Qual è l’idea di uomo in Benedetto XVI e in Francesco? – si domanda Forte – È quella di una creatura che ha desiderio, attesa, infinita nostalgia di Dio. Parlo di nostalgia perché questo bisogno rimanda a un legame originario e spinge l’essere umano alla continua ricerca. L’uomo porta impresso nel suo cuore il bisogno dell’infinito amore di Dio e cammina verso questo amore nella volontà più o meno consapevole di lasciarsi raggiungere e trasformare da esso. L’uomo come sete d’amore è il concetto che congiunge l’antropologia di Benedetto XVI e quella di Francesco. Tutto ciò non ha nulla di astratto. Infatti il bisogno di amore si concretizza nell’urgenza di giustizia, di solidarietà, di custodia del creato: sono questioni al centro dell’"Evangelii gaudium"». Poi Forte chiarisce: «Mentre in Benedetto questi temi sono articolati in una direzione più specificatamente teologica, nel senso dell’argomentazione e dell’approfondimento propri del teologo pastore, in Francesco sono declinati sul piano dello stimolo pastorale alla Chiesa, in direzione dell’impegno e dell’azione del popolo di Dio. È indubbio che la continuità fra i due Pontefici sia profondissima». Nell’enciclica che compie dieci anni, Benedetto XVI parla dell’"agape" come di «amore per il prossimo» e chiede di «farsi tutto a tutti». Un’impostazione che torna in Bergoglio. «Nell’"Evangelii gaudium", il “manifesto” di Francesco – osserva l’arcivescovo teologo – si sottolinea come la gioia che consegue al sentirsi amati da Dio si debba tradurre nell’impegno per la giustizia sociale. Francesco parla di inclusione sociale dei poveri. È una tematica che gli sta fortemente a cuore, in cui vede come una concretizzazione dell’amore divino che il credente accoglie affidandosi al Dio vivo e lasciandosi amare da Lui. Chi vive l’amore di Dio, scrive nell’Esortazione apostolica, esce da sé con coraggio per annunciare a tutte le periferie, geografiche ed esistenziali, dell’umano la luce del Vangelo. Al 24 si evidenzia che sull’esempio di Gesù l’amore accorcia le distanze e si abbassa fino all’umiliazione. Agisce così la Chiesa “in uscita” che tocca la carne sofferente di Cristo nel popolo. Il discorso di Francesco traduce in dense indicazioni pastorali il messaggio ispiratore della carità divina e della sua ricaduta nei rapporti sociali, che già Benedetto XVI aveva sviluppato nella "Deus caritas est"».
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