sabato 27 settembre 2014
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(Madrid) - Sarà molto piaciuto a don Alvaro del Portillo che a portare la reliquia sull’altare nella Messa della sua beatificazione sia stato un ragazzino di 11 anni, Josè Ignacio Ureta Wilson, uno scricciolo che nell’agosto 2003 appena nato venne dato per morto. Ma i genitori, che ieri rossi di commozione e di orgoglio lo accompagnavano all’inizio della cerimonia, si aggrapparono alla devozione per quel sacerdote buono, che tuttora basta guardare negli occhi per sentirsi rincuorati. (Guarda il video) Ed eccolo lì, allora, il piccolo che apre la Messa solenne per beatificare il primo successore di san Josemaria Escrivà alla guida dell’Opus Dei: lui piccolo com’è là davanti, e 200mila da 80 Paesi a seguirlo nella grande conca di Valdebebas, periferia estrema di Madrid, teatro della Messa presieduta a nome del Papa dal cardinale prefetto della Congregazione per le cause dei santi Angelo Amato, e concelebrata da 18 cardinali (tra i quali De Giorgi, Monterisi, Pell, Muller, Rylko, Herranz, Sarah, Monsengwo Pasinya e Rouco Varela, padrone di casa), 160 vescovi e 300 sacerdoti da 34 Paesi. In prima fila gli animatori delle centinaia di opere sociali promosse ovunque da membri della Pralatura: scuole, ospedali, centri di assistenza per disabili, di formazione agraria, di promozione della donna, di ricerca scientifica, di alfabetizzazione e sviluppo di base, e soprattutto iniziative per la famiglia. Perche´questa cerimonia madrilena insieme solenne e semplice ha assunto per protagoniste proprio loro, le famiglie, arrivate a migliaia da ogni parte del mondo perche’ spinte dalla gratitudine e dall’affetto che nutrono per un sacerdote che si e’ prodigato per insegnargli il “segreto” della santita’ cristiana imparato da Escriva`: cercarla nella vita quotidiana. Un legame cosi’ forte che delle 13.300 relazioni giunte al postulatore della causa di beatificazione don Javier Medina Bayo per documentare favori attribuiti all’intercessione di don Alvaro la gran parte riguarda grazie legate proprio alla vita familiare. I “segreti” della santità di del Portillo sono di questo tipo: semplici, veri, immediati. Come le tre parole della giaculatoria cara a don Alvaro, meditate dal Papa nel suo affettuoso messaggio: grazie, perdono, aiutami di più. Anzitutto la gratitudine per i doni di Dio, con “il riconoscimento – scrive Francesco - dell'amore del Signore” che “risvegliò nel suo cuore desideri di vivere una vita di umile servizio agli altri”, alla Chiesa prima di tutto, servita “con un cuore spoglio di interessi mondani, alieno alla discordia, accogliente con tutti e sempre alla ricerca del buono negli altri, di ciò che unisce, che edifica”. Nel chiedere perdono, poi, don Álvaro mostrava di conoscere “bene il bisogno che abbiamo della misericordia divina”, e per questo “spese molte energie per incoraggiare le persone con cui entrava in contatto ad accostarsi al sacramento della confessione”. Infine, fu forte della sola richiesta a Dio di avere “più aiuto” che il beato del Portillo “percorse molti Paesi dando impulso a progetti di evangelizzazione, senza preoccuparsi delle difficoltà, spronato dal suo amore a Dio e ai fratelli”, perche´ “chi è profondamente immerso in Dio sa stare molto vicino agli uomini”. È proprio l’umiltà, come ha ricordato nell’omelia Amato, la virtù che tra le altre don Alvaro “visse in modo del tutto straordinario, ritenendola uno strumento indispensabile di santità e di apostolato”, se “amabile, gioiosa”. Un esempio cosi` incoraggia a sentirsi non solo chiamati alla santità ma anche in grado di farcela, proprio perche´ “normali” e non malgrado questo. L’hanno confermato ai 200mila di Valdebebabs le parole con le quali il prelato dell’Opus Dei monsignor Javier Echevarria ha concluso la celebrazione: “L'itinerario terreno del beato Álvaro ci dimostra che il perfetto compimento dei propri doveri contrassegna il cammino della santificazione personale, la via che conduce alla piena unione con Dio, alla quale tutti dobbiamo aspirare”.

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