lunedì 24 febbraio 2014
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Anche nella periferia più povera del mondo occidentale da ieri c’è un cardinale. È il più giovane tra i 19 elevati nel Concistoro ed è considerato il volto nuovo della giovane Chiesa caraibica, un uomo infaticabile nella missione a fianco dei poveri.La storia di Chibly Langlois, 56enne haitiano, arcivescovo di Les Cayes, non inizia nemmeno nei gironi infernali della capitale Port au Prince, in quelle baraccopoli dove si è formato prima da giovane catechista e poi come prete. Luoghi proibiti a chi ha la pelle bianca e ai poliziotti, con nomi esotici che celano storie quotidiane di miseria e abbruttimento come Citè Soleil - mezzo milione di abitanti sotto la soglia di povertà ostaggi delle gang - o Wharf Jeremie, la bidonville delle ragazze madri nata sulla discarica in riva al mare. La storia del primo cardinale nella storia della repubblica degli schiavi affrancati comincia invece un gradino sotto, nella spietata gerarchia della miseria, a La Vallee, dove è nato nel 1958, un piccolo villaggio nelle campagne di Jacmel. Luogo da dove spesso fuggono verso le favelas della capitale, prima di emigrare nella vicina America o nella confinante Repubblica Dominicana, i contadini disperati messi in ginocchio da cataclismi da mutamenti climatici e latifondisti. L’infanzia di questo pastore che ama stare tra la gente è stata segnata dalla miseria che caratterizza questo angolo di Africa trapiantato nei Caraibi.Eminenza, quanto ha influito sulla sua scelta vocazionale l’esperienza personale della povertà?Moltissimo. La mia è una vocazione adulta, maturata dopo anni di impegno come catechista dei ragazzi più poveri prima ad Haiti e poi nella Repubblica Dominicana, dove vivono molte famiglie haitiane. Alla fine ho capito che quella del sacerdote era la strada che dovevo percorrere per cercare di portare con la comunità cristiana la pace e la giustizia del Vangelo alla gente della mia terra tormentata.Quando ha sentito l’annuncio della sua nomina cosa ha pensato?Che era la prima volta che nella Chiesa universale c’era un cardinale di Haiti e , più che per la mia persona, ero contento perché era una scelta di attenzione particolare verso la Chiesa del mio Paese e dei Caraibi. Questo mi ha reso felice. Spesso si pensa che la nostra comunità ecclesiale sia troppo coinvolta nella politica locale. Ma c’è anche da parte delle parrocchie un grande impegno per i poveri e un serio lavoro pastorale che è cresciuto in silenzio. Questo è stato riconosciuto. Ho pensato infine che era un segno di speranza per gli ultimi. Il mio Paese è infatti uno dei più poveri del pianeta e il terremoto del 2010 ha lasciato ferite profonde che faticano a chiudersi. La notizia è stata data il giorno del quarto anniversario del sisma che ha ucciso 220 mila persone. La mia nomina deve richiamare l’attenzione sul grido di aiuto di chi era già povero e ha perso tutto.Quali cambiamenti porterà nella Chiesa di Haiti la sua nomina?Credo che per affrontare le sfide e le contraddizioni ci voglia una Chiesa dinamica, che metta un maggiore impegno nel sociale e svolga un grande lavoro  missionario. È questa la strada da percorrere. Il suo Paese ha 9 milioni di abitanti ed è uno dei più giovani del globo. Miseria infantile e immigrazione sono due grossi problemi. Cosa può fare la Chiesa?Purtroppo la mia nomina non può fermare l’immigrazione di tanti giovani. Però credo che la via maestra per contrastare la miseria sia l’istruzione. Ad Haiti ogni parrocchia ha una scuola. Spesso a casa le famiglie non sono in grado di educare i bambini né di mantenerli, la comunità cristiana ha allora una grande responsabilità. Dobbiamo fare di più per loro.Ieri al Concistoro a chi ha pensato?A mio padre e a mia madre. Erano due poveri contadini, gente semplice che ha fatto una vita durissima. Percorrevano ogni giorno chilometri a piedi per andare a lavorare nei campi e sfamare la famiglia. Mi hanno insegnato molto. Non ci sono più, ma ieri mi erano vicini.Cosa pensa la gente di Haiti di papa Francesco?C’è stata una sintonia immediata con lui soprattutto perché ha chiesto ai cristiani di mostrare la gioia. E, nonostante la povertà, gli haitiani sono un popolo gioioso. Ho invitato Francesco ad Haiti per vedere di persona.
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