martedì 21 ottobre 2014
L'appello degli operatori lanciato a Roma: le priorità sono centri specializzati, cibo per chi è in isolamento, riapertura in sicurezza degli ospedali per non aggiungere ai morti di Ebola anche altri decessi, rafforzamento di sistemi sanitari fragili e cura degli orfani.
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Centri specializzati, cibo per chi in isolamento non può lavorare, riapertura in sicurezza degli ospedali per non aggiungere ai morti di Ebola anche decessi per altre patologie non curate, accompagnamento di governi nel rafforzamento di sistemi sanitari fragili e nella cura degli orfani. È questo l’appello lanciato al governo e alla comunità internazionale delle associazioni cattoliche (tra cui Caritas italiana, Camilliani, Fatebenefratelli, Salesiani, Saveriani, Cuamm, Focsiv) che operano in Guinea Conakry, Liberia e Sierra Leone, dove cresce l’emergenza Ebola con 9.000 persone infettate e 4.000 morti.In questi territori, infatti, l’impegno della Chiesa locale consente di arginare la carenza alimentare, di aiutare gli orfani che hanno visto morire i genitori per l’ebola, di svolgere un’azione di sensibilizzazione per prevenire il contagio. Per arginare l’emergenza umanitaria però, serve un’azione coordinata e congiunta – sostengono le associazioni – per questo si è partiti dall’ascolto proprio delle comunità più colpite in una tavola rotonda “Fratelli in ascolto”, organizzata martedì mattina a Roma. In queste zone, ricorda così Padre Natalio Paganelli, amministratore apostolico di Makeni (Sierra Leone) è stata proclamata la quarantena, "molti ospedali sono chiusi e non ci sono i laboratori per fare il test del virus Ebola". Insomma in Africa occidentale ad uccidere è la fame, la malaria, il parto e l’ignoranza. "Dobbiamo riaprire gli ospedali, creare centri specializzati per Ebola, formare il personale sanitario – aggiunge monsignor Robert J.Vitillo, delegato presso le Nazioni Unite per Caritas Internationalis – e dare appoggio finanziario e tecnico ai governi".

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