martedì 1 settembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Con la Cattedra dei non credenti Martini ha mostrato il volto di una Chiesa consapevole di essere minoranza, “un piccolo gregge” come lui amava ripetere, ma in grado di aprirsi al dialogo con i lontani, molte volte non in connessione con il linguaggio ecclesiale. E proprio grazie a questa intuizione geniale il cardinale ha indicato anche a chi non crede, è agnostico o scettico verso tutto il mondo del trascendente, la non irrilevanza del cristianesimo». A tre anni dalla morte di Martini è il bilancio che si sente di tracciare il monaco benedettino tedesco Elmar Salmann sulla esperienza della Cattedra dei non credenti, di cui fu uno dei relatori a metà degli anni Novanta sul tema: fede, amore e violenza. «Si è trattato, a mio giudizio, di un tentativo illuminante, guidato da un uomo che proprio per il suo carisma era fatto per essere capito, parlare ma anche apparire all’esterno della Chiesa – osserva il benedettino –. Non è un caso che l’idea della Cattedra fu replicata in tante altre realtà ecclesiali, soprattutto in Italia. Seppur con una chiave di lettura diversa, il Cortile dei gentili di Ravasi si è mosso sulla lunghezza d’onda, impressa da Martini». Di quella esperienza padre Salmann rievoca «l’urbanità accogliente, pur con tutti i crismi del discernimento dello Spirito» dell’arcivescovo o l’interesse che quell’incontro destò nei milanesi (tremila uditori circa) accorsi alla Statale per ascoltare le parole di un benedettino e di un cardinale gesuita. «Mi colpì soprattutto la preparazione con cui Martini affrontò quella conferenza – racconta –, aveva letto molti dei miei saggi in tedesco su von Balthasar, Drewermann o le mie critiche a Severino e Küng. Pur essendo un biblista di razza, era in grado di muoversi con grande abilità nell’orizzonte teologico. Rimasi impressionato dalla finezza rara, in questo molto simile a Ratzinger, con cui controbatté alle mie riflessioni in modo veramente signorile. Come in un duello fatto a colpi di fioretto, senza l’uso della sciabola, mi sembrò quasi di partecipare a una disputa medievale». Dall’abbazia di Gerleve in Westfalia, padre Salmann, dopo tanti anni di insegnamento alla Pontificia Università Gregoriana e al Sant’Anselmo di Roma, con alle spalle una passione per gli studi sulla mistica di Michel de Certeau, rievoca di questa amicizia particolare («con il rammarico di non averlo salutato prima della sua morte a Gallarate») alcuni tratti inediti. «Pur essendo un gesuita a tutto tondo era molto attento e attratto dalla spiritualità monastica. Quasi ogni anno, quando poteva, amava ritirarsi per la pratica degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio nell’abbazia di Lerino, sull’isola di Saint Honorat, in Costa Azzurra, ospite dei cistercensi. Era molto affezionato a questo luogo di spiritualità e di silenzio. In lui ho sempre intravisto un gesuita attento alla mistica e con una vena nascosta benedettina in cui era ben mescolata, come in ognuno di noi, il carisma dell’azione con quello della contemplazione». Un’eredità e uno stile di annuncio quelli di Martini – è la convinzione di Salmann – destinati a durare nel tempo. «Mi è rimasta la memoria viva di un uomo dello Spirito che aderiva in profondità al mistero della Chiesa grazie al suo sconfinato amore per la Bibbia».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: