sabato 19 luglio 2014
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«Oggi ho capito di più perché san Paolo iniziò la sua missione da Tiro». L’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, nunzio apostolico a Beirut saluta i fedeli accorsi nella Cattedrale greco bizantina di San Tommaso, dove si è appena conclusa la cerimonia del passaggio alla guida delle sede arcieparchiale dei greco-melchiti. Monsignor Georges Bacouni lascia dopo 8 anni e mezzo e passa ad Akka: solo 50 chilometri da qui, ma è già Israele (il territorio include anche Nazareth e Haifa), e col confine interrotto controllato dalla forza di interposizione Onu, per andarci dovrà fare un giro lungo, molto più lungo, passando per la Giordania. Ma oggi qui è un giorno di pace. In chiesa c’erano tutti i capi religiosi, in pace fra loro a pochi chilometri dal confine con Israele dove invece infuriano le ostilità e dove andrà Bacouni. Non sono voluti mancare, a salutarlo, nonostante il Ramadan, tutti i capi musulmani locali, il muftì sciita Hassan Abdallah e quello sunnita Medral Al Habbah, oltre all’arcivescovo maronita Chucrallah-Nabil El-Hage. Il vescovo greco-melchita subentrante, Michel Abrass, nel suo discorso abbandona per un attimo l’arabo e passa all’italiano per ringraziare la missione Unifil, guidata dall’Italia - in prima fila c’è il generale Fabio Polli, comandante del Settore Ovest - per il «mantenimento della sicurezza degli abitanti del Libano del Sud». Le foto in sagrestia di papa Francesco e del patriarca di Antiochia Gregorio III Laham parlano di questa chiesa "sui iuris", che vive pienamente la comunione con Roma attraverso il codice e il sinodo delle Chiese orientali e l’uso del rito bizantino. «Che cosa porterò da qui? – ci dice monsignor Bacouni –. L’esperienza di Cristo che è amore e carità».Giovanni Paolo II e poi anche Benedetto XVI hanno spesso parlato di "miracolo" libanese per il suo unicum - purtroppo - di proficuo dialogo fra religioni.L’esperienza che ho potuto sperimentare in Libano è che nella carità diverse religioni e ideologie possono vivere nella misericordia reciproca e nel rispetto della libertà di ognuno. Un clima di cui oggi si è avuta la riprova oggi, con diversi gruppi politici e religiosi, nonché forze di sicurezza e operatori economici che si rispettano e ci rispettano. Esperienza che, sono certo, potrà essere sperimentata anche con gli ebrei.Non teme che sia un contesto molto diverso e molto più dilaniato?La mia unica certezza è che l’esperienza di Gesù Cristo è capace di portare parole di pace ovunque, anche in un territorio in cui infuria la guerra.Ha potuto già parlare con papa Francesco?Non ce n’è stato materialmente il tempo, se me ne sarà data la possibilità, ho il desiderio di farlo al più presto.Il suo gesto profetico per il dialogo interreligioso in Terra Santa le sarà di aiuto... Certo, perché indica qual è la missione della vita cristiana: portare la pace testimoniando la verità del Vangelo, in modo particolare nei luoghi che ricordano la vita di Gesù in cui io ora andrò.Non ha timore per la situazione che troverà?Tutto il Medio Oriente è in tensione, tensioni che attraversano ciclicamente, non da oggi, anche l’islam e i cristiani al loro interno. Ma, come dicevo, l’unica vera arma nelle situazioni di conflitto è il Vangelo. Non sono un businessman, un uomo d’affari, né un politico. Vado per seguire un unico modello, quello di Gesù, e la mia esperienza dice che è il potere che divide. Io invece vado per servire e la mia esperienza dice che nessuno è infastidito da chi opera per servire.
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