lunedì 28 novembre 2011
​Si aprono le quattro settimane che precedono il Natale. Una piccola guida per comprendere questo tempo liturgico.
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È l’attesa lo stile cristiano ed è il saper attendere oggi uno dei tratti più «scandalosi» della fede nel Dio fatto uomo. Lo si capisce soffermandosi a riflettere sul significato del tempo liturgico che nel rito romano si apre oggi: l’Avvento. Quattro settimane che precedono il secondo «fuoco» dell’anno liturgico. E proprio ispirandosi ai 40 giorni che precedono la solennità più importante nella vita celebrativa della Chiesa, la Pasqua, intorno al VI secolo venne introdotto l’Avvento. Nato in Gallia, con un forte accento penitenziale – tanto da chiamarsi «Quaresima di san Martino», perché iniziava l’11 novembre – il periodo di preparazione al Natale subì diverse modifiche fino ad arrivare, intorno al XIII secolo, a prendere la forma attuale. Mai però ha perso il suo tono di gioiosa seppur sommessa attesa: caratteri che non solo lo inseriscono nella stagione invernale, tempo privilegiato per coltivare l’interiorità, ma lo rendono particolarmente prezioso per l’uomo contemporaneo, spesso affascinato dal mito dell’istantaneità. L’Avvento, infatti, insegna a gustare il tempo del percorso, l’itinerario quotidiano verso la meta, i piccoli passi di ogni giorno e ricorda che la meta in realtà è sempre l’«origine». La natività, infatti, è l’icona più evidente di un Creatore che «era in principio» e che torna continuamente ad abitare il cuore dell’esistenza del mondo. È questo l’orizzonte teologico che permea tutte le quattro settimane dell’Avvento. Nella prima parte, infatti, la liturgia orienta verso la venuta di Cristo nella gloria della fine dei tempi, la seconda parte, dal 17 dicembre, invece, le celebrazioni avvicinano sempre di più al mistero storico dell’incarnazione di Gesù, il Figlio di Dio, nel grembo di una donna e quindi in mezzo agli uomini. Per entrare a pieno nel senso di questo periodo proponiamo in questa pagina quattro voci di altrettante comunità monastiche: dai «viandanti del silenzio», insomma, una piccola guida per comprendere il tempo liturgico del «gioioso silenzio». Matteo Liut 

AnnunziataIL MESSAGGIO DEL MONASTERO DI BONIFATI: LA PAROLA CAMBIA IL MODO DI SENTIRE E VIVERECOSENZA. È un invito alla preghiera e al raccoglimento quello che in vista dell’Avvento arriva dal monastero di Bonifati. Sul Tirreno cosentino ci sono dieci religiosi - otto donne e due uomini - che vivono la loro vocazione secondo il carisma ispirato da don Giuseppe Dossetti e portato avanti dalla Piccola famiglia dell’Annunziata, associazione di fedeli che prevede un ramo monastico che vive nel raccoglimento claustrale e uno laicale focalizzato sulle famiglie. E alle famiglie rivolge ora il proprio messaggio la comunità calabrese: «Le letture dell’Avvento – affermano i religiosi – possono orientare la nostra attesa e restituire a questo tempo la sua specificità cristiana». Si tratta, sottolineano, di un tempo di veglia, cioè «di lucida attenzione alla storia secondo il cuore di Dio», ma anche «di vita battesimale», di «contemplazione del Verbo che si è fatto carne» e di «accoglienza e adesione vitale al progetto di bene che Dio ha per tutti». Per questo, sottolineano i religiosi di Bonifati, «la prima cosa è fare silenzio e dare spazio di accoglienza alla Parola di Dio che ha la potenza di cambiare il nostro modo di sentire e di vivere». Ma sarà necessario anche «dilatare la preghiera per tutti gli uomini» perché «per tutti e per ciascuno il Signore si è incarnato e la nostra preghiera di intercessione è prolungamento del suo amore». E poi «sentire il lavoro feriale come partecipazione all’opera redentrice di Cristo» e compierlo quindi «con uno zelo ancora maggiore» e vivere la festa «mettendo al centro la Messa e poi concentrandosi sulle relazioni familiari e l’accoglienza». Andrea GualtieriI minori conventualiA PALERMO NELLA BASILICA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI: SI VA A CRISTO ATTRAVERSO MARIAPALERMO. L’Avvento a Palermo è il periodo in cui Maria prende per mano i fedeli e li conduce alla nascita di Gesù. Perché l’Immacolata è copatrona della città e la preparazione al Natale coincide con un lungo periodo di riflessione e preghiera a partire dalla figura di Maria. Luogo privilegiato per questo speciale cammino d’Avvento è la Basilica di San Francesco d’Assisi, nel cuore del centro storico, che custodisce la statua argentea del Seicento portata in processione tutti gli anni l’8 dicembre. Lì i frati minori conventuali, domani, apriranno le porte della cappella dell’Immacolata e comincerà il cammino di preparazione spirituale per la città. Ogni pomeriggio fino al 6 dicembre, dopo la recita del Rosario e dello Stellario cantato, il domenicano padre Antonio Rocca curerà la predicazione della novena dell’Immacolata durante la Messa. «È un momento sempre molto partecipato dalla gente – spiega il padre guardiano, Fedele Fiasconaro, rettore della Basilica –. Ogni anno chiediamo a un sacerdote diverso di preparare le meditazioni per accompagnarci a una piena comprensione dell’avvento di Cristo». Ogni sera, alle 21, i gruppi ecclesiali organizzeranno momenti di preghiera a turno. Il 7 dicembre, alle 19, sarà il momento dell’affidamento di Palermo alla Madonna, con la simbolica offerta degli scudi d’argento alla presenza del cardinale Paolo Romeo, del sindaco Diego Cammarata e del provinciale dei francescani, padre Angelo Busà. Alle 23,15 una Messa e il giorno dopo, l’8 dicembre, la processione dell’Immacolata per le strade della città e il discorso dell’arcivescovo. Le parrocchie, poi, ogni pomeriggio fino al 18 dicembre, si recheranno in pellegrinaggio in Basilica. «Il nostro motto è che si va a Cristo attraverso Maria – aggiunge padre Fiasconaro –. È la Madonna che ci conduce al Natale». Alessandra TurrisiI camaldolesiNELL'EREMO DI BARDOLINO «L'ASCESI DELL'ATTESA ANTIDOTO A QUESTO TEMPO DI BARBARIE»VERONA Ogni sabato pomeriggio, alle 17.15, s’aprono le porte dell’eremo camaldolese di Bardolino di Verona per la lectio divina aperta a tutti sul Vangelo della domenica. Ma in Avvento i nove monaci dello storico eremo di San Giorgio offrono una proposta specifica, sempre più partecipata: un ciclo di quattro meditazioni domenicali alle 16, seguite da silenzio e vespri, sul tema «Figure dell’Attesa». «Mentre vegliare implica una dimensione difensiva – distingue frate Lorenzo Saraceno, per spiegare la scelta del tema di quest’anno – l’attendere comporta invece una tensione positiva, un desiderio verso ciò che verrà, una disponibilità e un’apertura». Citando il pensiero di Simone Weil sulla «qualità» di quest’attesa, i monaci osservano come essa «può caricare la veglia di speranza, renderla non solo guardinga, ma fervente e gioiosa anche nei suoi aspetti più duri e severi». È quanto loro stessi vivono in modo ancora più intenso in queste settimane prenatalizie, dedite ad un «ora et labora» con accoglienza di gruppi e singoli dal Veneto, dal Trentino e anche dalla Lombardia, senza venire meno al lavoro manuale e al raccoglimento silenzioso sul loro promontorio che domina il lago di Garda. Una gioia in più, a fine dicembre, con l’ordinazione sacerdotale del priore, il sociologo trentino frate Giovanni Dalpiaz. «Essere attenti nell’attesa – spiegano i monaci, fra i quali padre Franco Mosconi, biblista di punta a livello nazionale – implica da una parte la pazienza, perché i tempi degli uomini non sono quelli di Dio, ma anche, per converso, l’essere impazienti, sfidare il tempo, cercare di affrettare il momento della visita e dell’incontro. L’ascesi dell’attesa può allora essere antidoto anche a questo tempo di barbarie e di banalità grossolana». Per info 045.7211390, www.eremosangiorgio.itDiego Andreatta

 

Le clarisseL'INVITO DELLE CLAUSTRALI: PERIODO CHE CI FA «RISCOPRIRE LA GIOIA DI ESSERE CREATI PER AMORE»AREZZO Nella clausura delle clarisse di Cortona non entrano soltanto «i raggi radenti di questo autunno», come raccontano le religiose del monastero nella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Ma superano le grate anche il «travaglio di un licenziamento, la fatica di uno stipendio insufficiente ad assicurare la sussistenza familiare, lo sconcerto per un futuro che non sembra offrire sbocchi dopo un impegnato itinerario di studio», spiegano le sorelle. E allora l’Avvento che «porta con sé promesse e speranze, ci provoca e ci interroga». Ecco una domanda che risuona nella comunità: «In questo momento storico di crisi sperimentata con un’intensità nuova quale attesa è possibile e come tener vivo il gusto di sognare?». La risposta arriva alzando lo sguardo. «Ci incamminiamo verso il Natale – affermano le religiose – non per ripetere una rappresentazione edificante, ma per ravvivare la consapevolezza di chi siamo e di come vogliamo giocare questa vita». Aiutano quelle «parole antiche di una sapienza sempre nuova» che riecheggiano nel monastero: silenzio, sobrietà, vigilanza, perseveranza; e ancora luce, speranza, gioia. «Parole che ci stimolano a renderci più determinati nell’abbracciare uno stile di vita veramente umano». Come? Leggendo nell’Avvento un tempo per «recuperare relazioni semplici e vere, gustare cose genuine, riscoprire la gioia di saperci creati per amore». Basta anche un segno. «La luce di una candela che accendiamo in un angolo della casa o il presepe che da Francesco d’Assisi in poi ha educato generazioni al senso della povertà e dell’umiltà di Dio possono ricordarci che la vita ci è donata da un Padre creatore e salvatore: nessuno brancola nel buio, ma cammina all’incontro con il Signore che viene». Giacomo Gambassi

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