giovedì 2 giugno 2016
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​«Sono il primo srilankese a diventare prete della diocesi di Milano. Un fatto storico. Me lo ha ricordato anche il cardinale Scola. Ma al cuore della mia speranza c’è un solo desiderio. È nella Chiesa ambrosiana, nelle sue parrocchie, nei suoi oratori, nel suo seminario, che ho fatto l’esperienza dell’incontro con la misericordia di Dio. A questa Chiesa, a questo popolo, voglio portare Gesù, volto della misericordia divina. Non desidero altro. Se non essere felice, affidandomi tutto a Gesù».wigetunga.jpgAscoltare Don Asiri Kalpa Wijetunga è ascoltare il racconto di un innamorato. Perché questa è la realtà del 34enne che l’11 giugno verrà ordinato sacerdote in Duomo con altri 25 diaconi.

«"Asiri Kalpa" significa "Benedetto in eterno"», spiega il giovane. Un nome che sembra sprigionare un destino. «Ma al sacerdozio arrivo dopo molte traversie. E ora sono "Don" due volte: perché la parola "Don" precede i nomi dei maschi srilankesi cristiani. Sono nato il 2 maggio 1982, ho vissuto nello Sri Lanka i miei primi 17 anni, in Italia gli altri 17. E spero di avere presto la cittadinanza».

Nel 1989 il papà di Asiri parte per l’Italia, l’anno dopo la mamma. Clandestina, all’inizio. Vogliono dare un futuro migliore ai loro tre figli. «Nel 1990 ho 8 anni, mia sorella 5, mio fratello 2. A farci da mamma e papà, anche nella fede, è la nonna paterna. Che però il 24 maggio 2000 muore. E il 24 giugno, un mese dopo, siamo in Italia con mamma e papà». La scuola professionale, poi il lavoro: soddisfacente e ben retribuito. «Faccio soldi, sono libero. Aiuto i miei. E me la godo. Dal 2003 sono anni di vita mondana: auto, ragazze, discoteca. La fede, meno di un ricordo lontano. Ma il 23 dicembre 2006 cambia tutto. Sto male, vomito sangue. Corro a Niguarda. La vita sregolata presenta il conto. Ho il fegato a rischio. Forse non solo quello». Nel silenzio dell’ospedale e della convalescenza a casa, è l’inizio di un cammino nuovo. «Per la prima volta scendo in profondità nella mia vita. Cosa ne sto facendo? Il Vangelo di Luca lasciatomi da mia madre e la Bibbia di mia nonna – unico suo ricordo che m’ero portato dallo Sri Lanka, senza mai aprirla – mi fanno scoprire l’infinito amore di Gesù. Mi trovo davanti a un tabernacolo a dire al Signore: voglio seguirti, non voglio altro, dimmi tu la via. Poi mi ritrovo davanti al coadiutore di Santa Maria Beltrade a dire: voglio diventare prete anch’io». Sarà il primo di una lunga serie di incontri e di esperienze (come il Gruppo Samuele) che lo porteranno fino al Seminario. «Essere straniero non è mai stato un ostacolo nelle parrocchie e negli oratori dove mi sono fatto le ossa. Quando ti apri all’ascolto, all’accoglienza, non c’è diffidenza che resista. E tutti ti offrono il loro cuore». Ora il sacerdozio. E il servizio nella comunità pastorale «San Giovanni Battista», decanato Cagnola, a Milano. Dov’essere, «Benedetto in eterno», benedizione per tutti.

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