lunedì 9 novembre 2015
​Bergoglio all'Angelus parla di "reato": "Con il sostegno di tutta la Chiesa noi andiamo avanti nella riforma". (Stefania Falasca)
«Il Vaticano possiede il 20% di Roma». Falso: è lo 0,75%
Cammino aperto di Marco Tarquinio
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«Furto», «reato», «riforma». La vera chiarezza la fa il Papa. Chiamando le cose con il loro nome e dimostrando di governare con mano salda e con coerenza la Barca di Pietro sulla rotta del rinnovamento della Chiesa. Nulla sorprende di quanto detto da Francesco domenica ai fedeli di tutto il mondo. Ma forse molti non si aspettavano che intervenisse nel corso del dopo-Angelus con parole così puntuali e perentorie e senza eufemismi parlasse con decisione della riforma intrapresa, che va avanti e nella quale fin dal principio è impegnato con i suoi collaboratori. E si sottolinea «con i collaboratori». Il Papa per prima cosa ha definito «furto» e dunque «reato» la sottrazione dei documenti relativi alla fase iniziale (ora superata) della riforma economica-finanziaria del Vaticano e che sono stati usati dalle due note pubblicazioni. Così che se finora la stampa ha chiamato questo deplorevole atto come «notizie o documenti trafugati» ora gli stessi non possono che essere definiti «documenti rubati» da «ladri che hanno passato carte riservate d’inchiesta del Vaticano» ad alcuni che hanno prefigurato di veder lievitare il loro conto in banca. Non ci sono notizie o carte che il Papa ignorava. L’inchiesta l’avevano promossa lui e i suoi collaboratori. Pertanto i “nobili fini” paventati dagli autori dei due libri riguardo alla divulgazione di quelle carte come “aiuto al Pontefice” e alla sua riforma, è stata denunciata dal diretto interessato che ha promosso l’inchiesta: «Io stesso avevo chiesto di fare quello studio, e quei documenti io e i miei collaboratori già li conoscevamo bene, e sono state prese delle misure che hanno incominciato a dare dei frutti, anche alcuni visibili». Secondo: l’assicurazione del Papa che questo «triste fatto» «non distoglie dal lavoro di riforma». Ogni riforma necessita di perseveranza, determinazione e gradualità ed è significativo il verbo «distogliere» usato da Francesco. Significa esplicitare che qualsiasi azione volta ad ostacolare, snaturare, o rallentare il processo in corso, il work in progress con i suoi collaboratori non può essere tolto, fermato: «Perciò voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato». Quanto alla necessità di fare proprio il cuore della riforma in sé, difendendolo dagli attacchi di ogni ipocrisia farisaica, (quell’ipocrisia che separa la preghiera dalla giustizia, «perché non si può rendere culto a Dio e causare danno ai poveri» o «quando si dice di amare Dio, e invece si antepone a Lui la propria vanagloria, il proprio tornaconto»), basta ricordare quanto in una sua recente omelia a Santa Marta il Papa ha stigmatizzato riguardo a quei «sacerdoti e vescovi arrampicatori e attaccati ai soldi» che «invece di servire si servono degli altri e della Chiesa» e la rendono «affarista» con il loro vivere comodamente il proprio status senza onestà. Un’immagine certo non difendibile con le sole repliche e che è esattamente opposta a quella della donazione gratuita di sé e dei suoi averi della povera vedova del Vangelo ricordata giusto nell’Angelus di domenica scorsa. Quella che Cristo, prendendola d’esempio, tra lo sconcerto degli stessi discepoli «fa salire in cattedra e presenta come maestra di Vangelo vivo».
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