giovedì 6 febbraio 2014
Duro rapporto del Comitato per l’infanzia. Ma il dossier è confuso e pieno di inesattezze
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Diciamolo francamente. A prima vista le 16 pagine del Rapporto del Comitato Onu sui diritti dell’infanzia riferito alla Santa Sede potrebbero far pensare a uno scherzo. Di pessimo gusto, ma pur sempre uno scherzo. E invece è purtroppo proprio vera la paternità di un documento che come pochi altri contiene in sé un numero tale di inesattezze, confusioni di piani, ignoranze di dati materiali da lasciare letteralmente sgomenti. Si comincia fin dai primi paragrafi con una "perla" di carattere giuridico che farebbe inorridire persino un semplice studente di giurisprudenza. «La commissione raccomanda – si legge infatti al numero 14 del testo – che la Santa Sede provveda a una riforma complessiva del proprio quadro normativo, in particolare della Legge Canonica, al fine di assicurare la sua piena adesione alla Convenzione dei diritti dell’Infanzia», soprattutto per quanto riguarda i casi di abuso sessuale. Ma il Diritto canonico già prevede al canone 277 «la perfetta continenza» per i chierici, una dizione che evidentemente ingloba anche i casi in oggetto. Dunque il diritto interno della Chiesa, cioè la normativa direttamente connessa con il depositum fidei contiene quanto viene richiesto. Il che fa davvero pensare che dietro la posizione espressa dal Comitato vi possano essere tesi preconcette.L’impressione si rafforza poi quando si passa a considerare il grosso delle contestazioni che riguarda la tristissima vicenda dei preti pedofili, le cui vittime sarebbero decine di migliaia, afferma il Rapporto. «Il Comitato – si legge nel testo – è gravemente preoccupato del fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto l’ampiezza dei crimini commessi, non abbia preso le necessarie misure per affrontare i casi di abusi sessuali e per proteggere i bambini, e abbia adottato politiche e pratiche che hanno portato a una continuazione degli abusi e all’impunità dei responsabili». Vengono così di fatto ignorati i passi compiuti negli ultimi 15 anni, cioè ben prima che gli scandali emergessero a livello mediatico. Le norme contro la pedofilia sono infatti contenute nel documento De delictis gravioribus firmato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001. Il testo assegnava la competenza alla Congregazione per la dottrina della fede. E nelle linee guida che seguirono l’istruzione si raccomanda di informare la Santa Sede, seguire le disposizioni della giustizia civile, allontanare il sospetto dalle attività pastorali. Sotto il pontificato di Benedetto XVI, il 15 luglio 2010, sono state pubblicate alcune modifiche alle norme della De delictis gravioribus redatte dalla Congregazione per la dottrina della fede ed approvate dal Papa. La prescrizione è elevata da dieci a vent’anni, le procedure vengono snellite e semplificate e, nei casi più gravi, si può chiedere al Papa la dimissione dallo stato clericale.Il Comitato, evidentemente ignora queste misure, perché chiede che siano «immediatamente rimossi e consegnati alle autorità civili tutti i prelati che siano coinvolti in abusi su minori o sospettati di esserlo». E anche qui vi è la solita confusione di piani giuridici. Continua infatti a essere perpetrato l’errore di chi considera la Santa Sede alla stregua di una multinazionale con poteri sovrani rispetto alle filiali che sarebbero in questo caso le Chiese dei diversi Paesi. Non è ovviamente così e le norme del diritto canonico vanno distinte da quelle del diritto penale dei singoli Stati. Così, ad esempio, un sacerdote francese che abbia commesso atti di pedofilia in Francia potrà essere perseguito sia dalla legge civile transalpina, sia sottoposto a processo canonico per una eventuale riduzione allo stato laicale.A tal proposito bisogna inoltre ricordare che recentemente è stata varata nella Città del Vaticano una legislazione penale per casi di pedofilia eventualmente commessi sul territorio del piccolo Stato o negli uffici della Santa Sede, che è tra le più severe al mondo. Ma tutto questo viene quasi ignorato dal Rapporto del Comitato Onu.Se possibile, ancora più sconcertanti sono le richieste relative all’interruzione volontaria della gravidanza. La Santa Sede viene infatti invitata «a rivedere le sue posizioni sull’aborto», soprattutto nel caso in cui sia a rischio la vita e la salute delle gestanti, modificando il canone 1398 che stabilisce: «Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae (cioè senza bisogno che vi sia una sentenza di accertamento dei fatti, ndr)». Critiche anche sulla contraccezione ai fini di tutelare gli adolescenti e prevenire l’Aids. Con questo documento, dunque, un organismo dell’Onu giunge a chiedere alla Chiesa Cattolica di rivedere il suo stesso Credo. Da qui l’enormità della richiesta. È evidente infatti che o al Comitato ne sfugge la reale portata o essa getta ombre sulla buona fede di chi l’ha formulata. Seguono le contestazioni sull’omosessualità. Il Rapporto chiede infatti alla Santa Sede di «fare pieno uso della sua autorità morale per condannare tutte le forme di molestie, discriminazione e violenza contro i bambini sulla base del loro orientamento sessuale e quello dei loro genitori». Inoltre, ulteriori durissime osservazioni riguardano «la manipolazione di coscienze individuali in alcune istituzioni cattoliche e congregazioni»; per cui si chiede che i minori in questione vengano restituiti alle loro famiglie.Infine una specie di ciliegina sulla torta. Il Comitato esorta la Santa Sede a «valutare il numero di bambini nati da preti cattolici, scoprire chi sono e prendere tutte le misure necessarie per garantire i diritti di questi bambini a conoscere e ad essere curati dai loro padri». Proprio così. Nero su bianco. Sfidando il senso del ridicolo.

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