giovedì 22 settembre 2016
In un corposo dossier pubblicato sul numero 14 de «il Regno» il segretario del C9 illustra il cammino percorso e le linee del suo impegno, «con gradualità, senza incertezze».
Semeraro: così il C9 sta lavorando con Francesco
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Si intitola semplicemente «La riforma di papa Francesco» il testo che il vescovo Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei cardinali, ha scritto per il numero 14 de il Regno la rivista culturale e di informazione religiosa, diretta da Gianfranco Brunelli, che uscirà oggi. Si tratta, in realtà, di un corposo dossier sull’azione riformatrice che è in corso nella Chiesa sulla spinta di papa Francesco, che quel Consiglio dei cardinali ha voluto accanto a sé in questo cammino. Un gruppo di 9 persone che sta lavorando da tre anni, ha dato vita a sedici sessioni di lavoro in Vaticano (la prossima è fissata dal 12 al 14 dicembre 2016) e ha offerto al Papa riflessioni e materiali per qualche cambiamento già messo in atto. Dell’ampio dossier - che parte dallo spiegare il senso di una Chiesa «semper reformanda» e dallo mostrare un cammino che si pone in continuità con il passato - pubblichiamo il passaggio che riguarda proprio la costituzione dei nuovi due dicasteri «Laici, famiglia e vita» e «Sviluppo umano integrale», in cui Semeraro, vescovo di Albano, illustra i criteri, la filosofia di fondo e le intenzioni che stanno animando la riforma avviata da papa Francesco.

La costituzione da parte di papa Francesco del «Consiglio di cardinali », fu annunciata il 13 aprile 2013 con un comunicato della Segreteria di Stato, dove spiegava pure che ciò era stato fatto «riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il Conclave» ( Regno-doc . 8,2013,207). Lo stesso Consiglio fu costituito ufficialmente col chirografo di Francesco datato 28 settembre 2013. Anche qui il Papa ricordava: «Tra i suggerimenti emersi nel corso delle Congregazioni generali di cardinali precedenti al Conclave, figurava la convenienza di istituire un ristretto gruppo di membri dell’episcopato, provenienti dalle diverse parti del mondo, che il Santo Padre potesse consultare, singolarmente o in forma collettiva, su questioni particolari». 

Il Papa aggiungeva d’avere avuto modo di riflettere su questo argomento. Indicava, pertanto, gli scopi del Consiglio come segue: «aiutarmi nel governo della Chiesa universale» e «studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana». (...) L’organizzazione e la struttura dei due più recenti dicasteri i cui statuti sono stati approvati dal Papa e fatti pubblicare mostrano come si è cercato di corrispondere a tali istanze. Faccio due esempi al riguardo. Quanto al dicastero per i Laici, la famiglia e la vita, il punto di partenza è stata la considerazione della comune dignità che è alla base dei diversi stati di vita, delle vocazioni e dei ministeri all’interno dell’unico popolo di Dio.

Questo ha indotto a considerare e valorizzare con sempre più matura consapevolezza lo status e il ruolo dei fedeli laici nella Chiesa. A questa promozione e sviluppo hanno dato un contributo decisivo il Concilio Vaticano II e il Sinodo dei vescovi del 1987, dedicato appunto alla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. A tale consapevolezza della dignità e peculiarità dell’essere e dell’operare dei laici nella Chiesa, e della varietà delle vocazioni al loro interno, si è pensato giusto dovesse corrispondere un risvolto anche istituzionale nell’assetto del governo della Chiesa corrispondente all’attenzione e alla considerazione che, anche sul piano istituzionale, è riservata ai vescovi, ai presbiteri e alle persone di vita consacrata. Si è pensato pure che all’ambito del laicato sia particolarmente appropriato il bene della famiglia, basata sul matrimonio e sia, di conseguenza, congiunto il bene della vita. Da qui la proposta di conservare unite queste istanze anche nell’assetto organizzativo e funzionale della Chiesa e della sua pastorale. In breve, alla base c’è la presa d’atto di una relazione d’implicazione della vita nella famiglia e della famiglia nel laicato, che rende molto plausibile la loro connessione istituzionale.

 

Con gradualità, senza incertezze Qualcosa di analogo è avvenuto per l’attuale dicastero per lo Sviluppo umano integrale. Le sue ragioni sono le stesse della dottrina sociale della Chiesa e delle sue istanze evangelizzatrici, da riconoscere, attualizzare, incentivare, coordinare. Essa assume a statuto valoriale e linea direttrice tale dottrina, adoperandosi affinché «i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno». Ma ne «ricava le conseguenze pratiche, perché possano efficacemente incidere anche nelle complesse situazioni odierne». Scegliendo per titolo 'Sviluppo umano integrale' il Papa ha voluto indicare l’orizzonte entro cui il dicastero è chiamato a operare, costituito dai tre grandi documenti che oggi esprimono la dottrina sociale della Chiesa e sono richiamati dalle tre parole: la Populorum progressio di Paolo VI per l’insegnamento sullo sviluppo; la Caritas in veritate di Benedetto per il tema della dimensione umana integrale; l’enciclica Laudato si’ per il profilo solidale e di ecologia integrale. Inoltre, in questo dicastero c’è al momento pure l’assunzione in prima persona da parte del Papa della guida della sezione relativa ai migranti e ai profughi.

È una scelta che sottolinea un’attenzione specifica a un’emergenza mondiale di stringente attualità e costituisce un richiamo per tutti, credenti e non! Penso pure che quell’ad tempus possa leggersi come speranza e auspicio che tale emergenza non tardi a essere presto risolta. In ogni caso, la scelta di guidare personalmente un settore della Curia Romana non è un’invenzione di Francesco. È accaduto già (e pure in un passato non lontano) per le attuali Congregazioni per la dottrina della fede (allora Sant’Ufficio), per le Chiese orientali, delle Cause dei santi, per i Vescovi (allora Concistoriale). (...) C’è d’altra parte, prima di giungere a un assetto globale e compiuto, la volontà di procedere mediante sperimentazioni e assestamenti. (...) In questa linea, i testi approvati sono come potrà vedersi - tutti ad experimentum, ma senza l’indicazione di una scadenza (per esempio: ad triennium, quinquennium ecc.) e questo onde procedere serenamente e con celerità a correzioni e miglioramenti, appena ciò si rendesse evidente, necessario, o anche opportuno.

Profilo teologico generale: le idee di fondo Penso di potere essere, sull’argomento, molto breve. Lo farò con tre richiami. Il primo al discorso di Francesco del 17 ottobre 2015, celebrativo per il 50° d’istituzione del Synodus episcoporum; il secondo all’esortazione apostolica Evangelii gaudium; il terzo al motu proprio Humanam progressionem del 31 agosto scorso scorso. Nel discorso del 17 ottobre 2015 Francesco ha parlato della «sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa» ( Regno- doc . 37,2015,14). Si dirà che la Curia non è menzionata direttamente; alcuni principi enunciati, però, chiedono sicuramente di essere tenuti in conto. Certamente dove il Papa tratta del secondo livello della sinodalità (quello delle province e delle regioni ecclesiastiche, dei Concili particolari e in modo speciale delle conferenze episcopali)! Qui Francesco enuncia un’importante indicazione: «Dobbiamo riflettere per realizzare ancor più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialità, magari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico. 

L’auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato. Siamo a metà cammino, a parte del cammino. In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, 'non è opportuno che il papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione'» ( Regno-doc . 37,2015,15). Alla parola decentralizzazione si potrebbe associare la sussidiarietà, che indica un altro principio ispiratore della riforma della Curia Romana. Un’allusione a questo principio si trova nel motu proprio Humanam progressionem , prima citato: «Il successore dell’apostolo Pietro, nella sua opera in favore dell’affermazione di tali valori, adatta continuamente gli organismi che collaborano con Lui, affinché possano meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire».

Anche l’articolo 3 comma 3 dello statuto del nuovo dicastero per lo Sviluppo umano integrale vi fa riferimento quando dispone: «Il dicastero si adopera perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza materiale e spirituale - se necessario anche mediante opportune strutture pastorali - agli ammalati, ai profughi, agli esuli, ai migranti, agli apolidi, ai circensi, ai nomadi e agli itineranti». Considerando, poi, l’esortazione Evangelii gaudium si vedrà che al n. 27 Francesco enuncia un principio generale, che non può non essere valido (aggiungerei esemplare) anche per la Curia romana.

Si legge: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di 'uscita' e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia » ( EV 29/2133). 

 Ai valori già sottolineati per la Curia Romana dalle precedenti riforme: in particolare il criterio della pastoralità come principio guida dei procedimenti di attuazione e strutturazione degli organismi curiali sottolineato da Paolo VI, e il criterio della communio come principio- base dove confluiscono non solo il mistero della Chiesa, ma anche la sua struttura gerarchica richiamato da Giovanni Paolo II, Francesco unisce come forza unificante il criterio della sinodalità e come forza dinamica quello della conversione missionaria. Il tutto con il giusto discernimento e una forte speranza, poiché «ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza 'fedeltà della Chiesa alla propria vocazione', qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» ( Evangelii gaudium, n. 26; EV 29/2132).

*vescovo di Albano, segretario del Consiglio dei cardinali 

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