giovedì 8 ottobre 2015
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Marco e Lucia Matassoni arrivano da Rovereto, in provincia di Trento, sono sposati da 18 anni e hanno quattro figli, dagli 11 ai 17 anni. Lei, biologa di formazione, si occupa di assistenza. Lui è ricercatore informatico. Collaborano da anni con la Commissione diocesana di pastorale familiare. Una famiglia come tante, con i problemi normali di tutte le famiglie in cui crescono quattro figli adolescenti. E poi ci sono gli impegni di lavoro, la fatica di far quadrare il bilancio, le relazioni da costruire e, talvolta, ricucire. Insomma, tutta quell’ordinaria e straordinaria quotidianità impastata nelle giornate di ogni famiglia. Eppure da tre giorni, Marco e Lucia stanno vivendo un’esperienza non comune. Sono infatti tra le 17 coppie “uditrici” al Sinodo sulla famiglia.  “Uditrici” è in realtà definizione che non rende ragione alla loro intensa esperienza di vita e di fede. Perché i coniugi trentini portano nell’Aula sinodale un percorso decennale come operatori di pastorale battesimale. Che vuol dire un contatto diretto e ravvicinato con giovani coppie alle prese con la bellezza e lo stupore della vita appena sbocciata. In altri termini, un impegno di iniziazione alla fede su una duplice frontiera, quella dei piccoli e quella, ben più complessa, dei loro genitori. Dieci anni accanto alle coppie che si aprono alla vita. Com’è cambiato in questo periodo il profilo di questi giovani? Tantissimo. Dieci anni fa i nostri interlocutori erano in maggioranza coppie sposate. Oggi le proporzioni si sono invertite e ci sono soprattutto persone che non intendono sposarsi o comunque conviventi in attesa di capire quale decisioni prendere. Gli sposi purtroppo sono sempre meno. Il fatto di chiedere il Battesimo per un figlio appena nato, non può comunque essere inteso come desiderio di fare chiarezza nella propria vita e di aprirsi ad altre dimensioni? Certo, spesso è così. Ci si mette insieme, si va avanti senza troppo riflettere. Ma quando arriva un figlio, rispunta la domanda di fede. Naturalmente ci sono casi in cui la ragione predominante nasce da convenzioni sociali. In tanti altri casi però, l’arrivo di una nuova vita mette in crisi e interroga. Questi giovani, e spesso meno giovani, intuiscono che non tutto viene da loro, che c’è un mistero con cui non avevano fatto i conti. E quindi si aprono spiragli importanti per le ragioni della fede. Non è quindi così strano affermare che anche nelle convivenze opera la grazia e che ci sono spazi favorevoli per le domande di senso? La catechesi battesimale è proprio un’occasione propizia per incontrare le famiglie, tutte le famiglie, per avvicinarle alle comunità, per far sentire loro il calore della carità. Spesso sono famiglie che arrivano da aree geografiche diverse, che non hanno la possibilità di avere contatti con i nuclei di origine. Spiegare loro il senso del sacramento, nell’intimità della loro casa, equivale a una carezza amichevole. È importante che l’incontro avvenga in casa? Fondamentale. Quando ci troviamo nei locali dell’oratorio, tutti rimangono un po’ sulla difensiva. In casa invece ci si apre, si raccontano i problemi, anche quelli concreti legati alla crescita dei bambini, ai pannoloni e al biberon. Ma è bello così. La vita non è fatta a compartimenti stagni. Un incontro prima del Battesimo, poi tre incontri annuali dopo. Che rapporti nascono con queste coppie? Spesso di grande amicizia e di comune crescita nella fede. Con tanti di loro il contatto, almeno telefonico, è frequente. Siamo davvero convinti dell’importanza di questa specifica catechesi. Cosa riuscite a trasmettere di tutto ciò al Sinodo? Per il momento ascoltiamo. Vediamo che i problemi sono tanti. E che in ogni area geografica esistono difficoltà diverse. Ci rendiamo conto di quanto sarà difficile fare sintesi di tutte le difficoltà e di tutti i contributi. Ma è bello comunque vedere questa grande assemblea mondiale lavorare nella stessa, armonica direzione.
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