domenica 29 novembre 2015
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Un prete che prega nel cuore di Raqqa, la città che abbiamo imparato a conoscere come la capitale di Daesh, lo Stato islamico. Ventidue anni fa un prete romano – in un momento difficile della sua vita – annotava proprio lì sul suo diario parole come «fedeltà» e «martirio senza sangue». Senza sapere che a lui, invece, il 5 febbraio 2006 a Trabzon il sangue sarebbe stato chiesto di versarlo per davvero per quella terra d’Oriente che da tanti anni amava profondamente.  Sì, nei suoi pellegrinaggi in Medio Oriente sulle orme degli Apostoli, don Andrea Santoro era passato proprio da Raqqa, la grande città del nord della Siria oggi insanguinata dalla guerra. La stessa dove nell’estate 2013 si sono perse le tracce di un altro prete romano, il gesuita padre Paolo Dall’Oglio. Quella dove Daesh ha issato come sfida la sua bandiera nera sul campanile delle chiese e sulla quale oggi i caccia francesi scaricano le loro bombe, come risposta ai terribili attentati del 13 novembre a Parigi. Don Andrea Santoro sostò proprio lì nel dicembre 1993. A rivelarlo è un volume appena giunto in libreria che raccoglie le preghiere che il sacerdote annotava sul diario spirituale. Un fiore dal deserto (Edizioni San Paolo, 240 pagine, euro 17,50) è una carrellata di brevi testi intensi, con la Parola di Dio come punto di riferimento («il basso continuo, il filo armonico permanente del suo canto orante», lo definisce il cardinale Gianfranco Ravasi, nella prefazione al volume). Un’iniziativa editoriale che – insieme a una serie di eventi che prendono il via oggi alle 17.30 alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, con un momento di riflessione e preghiera guidato dal cardinale Beniamino Stella – guardano al decennale del martirio di don Santoro, che cadrà appunto tra poche settimane. Le preghiere raccolte in Un fiore dal deserto sono testi scritti in momenti e luoghi diversi. Ma il filo rosso che le attraversa è l’inquietudine di un prete che sceglie di affidarsi al suo Signore pur non nascondendo la fatica a comprenderne le vie. E proprio le preghiere scritte nei mesi trascorsi in Turchia e in Siria tra il settembre 1993 e il febbraio 1994 sono tra le più significative del libro. In quel periodo don Santoro è reduce dalla fine del suo ministero di parroco a Verderocca, dodici anni nella periferia romana ad accompagnare la nascita della chiesa intitolata a Gesù di Nazareth. Con nel cuore il desiderio di «una vita missionaria, in situazioni meno rigide delle nostre» che a quel tempo non sembra affatto destinato a essere accolto dal suo vescovo. Don Andrea parte da Roma per cercare una strada sulle orme degli Apostoli: «Che mi ritrovi in te per essere te», scrive sull’aereo che lo porta in Turchia. Nelle settimane successive passa da Iskenderun, da Efeso nella Casa di Maria, Antiochia, Aleppo; con la certezza che «lo sposo verrà» anche per Torpignatara, Monteverde e Verderocca. Ed è – appunto – da Aleppo che il 13 dicembre 1993 decide di spingersi fino a Raqqa, 190 chilometri più a ovest, nel deserto, in un posto segnato da una grande tradizione eremitica nel primo millennio. «Perché sono qui, perché ho lasciato la parrocchia? – prega lì –. Tu sai tutto, raccoglimi Signore, amami». Già allora incrocia anche le sofferenze dei cristiani di quella terra: ad Aleppo fa suo nella preghiera «il sogno del vescovo affinché i cristiani non fuggano dalla Siria»; a Damasco ritrova Hoda e Joachim, cristiani maroniti conosciuti a Roma, che gli mostrano i villaggi distrutti. «Mitezza, dolcezza, umiliazione, umiltà, misericordia, perdono, dono del sangue: è la vittoria del Cristo, è la vittima sul mondo, è la salvezza del mondo», commenta. A Sednaya, nel santuario della Madonna di San Luca, l’affidamento a Maria: «Da Gerusalemme a Efeso con Giovanni. Da Efeso a Roma con me», prega. Il 13 febbraio 1994 sarà già sulla via del ritorno in Italia: «Torno con tre certezze: Cristo in me, Maria accanto, la redenzione dei poveri, nostra speranza. Torno debole, con tanto timore: la mia unica fiducia sei tu». A settembre di quell’anno inizierà la sua missione nella parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio; quella da cui l’11 settembre 2000 finalmente partirà come fidei donum del vicariato di Roma al vicariato dell’Anatolia. «Ti dono il mio presente e il mio futuro», era stata la conclusione della preghiera recitata quel giorno a Raqqa. Parole che rilette oggi illuminano forse con un raggio di speranza anche la città più ferita del mondo di oggi.
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