lunedì 11 luglio 2016
Senza le opere la nostra fede è morta. Così Papa Francesco all’Angelus in piazza San Pietro ha invitato i fedeli a riconoscere Gesù nel migrante che tanti vogliono cacciare via, nei nonni soli e negli ammalati che nessuno va a trovare. IL TESTO
Francesco: farsi prossimo a chi soffre
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“Chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso?”. Papa Francesco ha mosso da queste due domande la sua riflessione sulla parabola del Buon Samaritano, proposta dal Vangelo domenicale. Un racconto, ha osservato, che “indica uno stile di vita, il cui baricentro non siamo noi stessi, ma gli altri, con le loro difficoltà, che incontriamo sul nostro cammino e che ci interpellano”. “Gli altri ci interpellano. E quando gli altri non ci interpellano, qualcosa lì non funziona; qualcosa in quel cuore non è cristiano”.>> IL TESTO

Non selezionare chi è il mio prossimo e chi non lo è Francesco ha sottolineato che proprio il samaritano, che era disprezzato dai giudei perché non osservante della vera religione, è l’unico a farsi prossimo al viandante assalito e abbandonato per strada dai briganti. E così il dottore della legge che aveva chiesto al Signore chi fosse il suo prossimo, deve ora rispondere alla domanda di Gesù su chi si sia fatto prossimo al viandante sulla via per Gerico: “In questo modo Gesù ha ribaltato completamente la prospettiva iniziale del dottore della legge – e anche la nostra! – non devo catalogare gli altri per decidere chi è il mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere prossimo. La decisione è mia. Dipende da me essere o non essere prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche se estranea o magari ostile. E Gesù conclude: ‘Va’ e anche tu fa’ così’. Bella lezione! E lo ripete a ciascuno di noi: ‘Va’ e anche tu fa’ così’, fatti prossimo del fratello e della sorella che vedi in difficoltà”. La nostra fede è feconda solo se è seguita dalle opere Non bisogna fermarsi alle parole, ha ripreso citando la celebre canzone di Mina, “parole che vanno al vento”, ma – ha ammonito – bisogna “fare”. E, ha aggiunto, che “mediante le opere buone, che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto”: “Domandiamoci – ognuno di noi risponda nel proprio cuore – domandiamoci: la nostra fede è feconda? La nostra fede produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile, e quindi più morta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Sono di quelli che selezionano la gente secondo il proprio piacere? Queste domande è bene farcele spesso, perché alla fine saremo giudicati sulle opere di misericordia”. Gesù ci chiederà se lo abbiamo riconosciuto nei poveri e sofferenti Il Signore, ha soggiunto, potrà dirci: “Ma tu, ti ricordi quella volta, sulla strada da Gerusalemme a Gerico? Quell’uomo mezzo morto ero io”: “Ti ricordi? Quel bambino affamato ero io. Ti ricordi? Quel migrante che tanti vogliono cacciare via ero io. Quei nonni soli, abbandonati nelle case di riposo, ero io. Quell’ammalato solo in ospedale che non va a trovare nessuno ero io!”

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