giovedì 5 novembre 2015
Le voci di chi si trova ad affrontare sul territorio il disorientamento dei fedeli per le vicende abilmente cavalcate dai mass-media. ​​«Avanti con lo spirito di carità che insegna. E con la necessaria pulizia».
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Padre Sebastiano Giuseppe Lai è parroco di San Giuseppe all’Aurelio a Roma. La comunità, affidata agli Oblati di San Giuseppe di Asti, ha dunque qualche legame con le radici piemontesi di Jorge Mario Bergoglio. Il Papa è andato a visitare la sua parrocchia il 9 maggio 2014. «Gli voglio un bene da morire e dico: c’è bisogno che si faccia una pulizia generale, in Vaticano sono avvenuti ultimamente troppi fatti che disorientano» dice con calore padre Lai. «Questo Papa è un santo – continua il religioso – lei non sa quanta gente si è riavvicinata alla fede, con semplicità, grazie al suo esempio e aiutata dallo Spirito ». Il religioso fa un paragone biblico: «Il Papa mi ricorda quei profeti che davano fastidio, che diversi in Israele avrebbero voluto togliersi di torno. Ma come i profeti, lo protegge il Signore». E tornando su arresti, malversazioni, notizie che in questi giorni campeggiano sulle prime pagine dei giornali e in tv, il padre oblato di San Giuseppe aggiunge: «Noi sacerdoti siamo i più arrabbiati: in tanti diamo il sangue nelle nostre parrocchie, poi la gente scopre queste storie. È come per i preti pedofili: quella è la mia rabbia più grande. Io sto coi bambini, ridiamo e scherziamo, non vorrei mai che qualche genitore dicesse al figlio di stare attento. Ma io credo nello Spirito Santo, e la Chiesa, che dallo Spirito è guidata, supererà anche questo. Al Papa ho scritto dopo la visita che ci ha fatto, dicendogli di considerare la lettera una carezza della nostra comunità. Dieci giorni dopo mi ha risposto: grazie per la lettera-carezza». Un altro prete che vorrebbe scrivere in questi giorni al Papa è don Saulo Scarabattoli,  parroco a Santo Spirito a Perugia e da vent’anni cappellano della sezione femminile del carcere cittadino. Ma anche uno dei due sacerdoti invitati personalmente da Bergoglio a partecipare ai lavori del Sinodo da poco conclusosi. «Voglio mandargli delle parole di affetto e di sostegno » dice, «siamo profondamente rattristati per quello che sta avvenendo, ma anche profondamente vicini a lui». Don Scarabattoli ha anche intenzione di pubblicare sul prossimo numero del giornalino parrocchiale il brano del Vangelo con Gesù che dorme sulla barca, mentre attorno infuria la tempesta che getta nel panico gli Apostoli. «Vede, il Papa mi sembra in questo momento tranquillo come Gesù su quella barca. Non dorme, ma è taciturno, non lo si sente dire chissà quali cose. Questo perché chi ha fede – e Francesco è una persona profondamente unita a Dio, basta vedere come celebra, come prega – sa che Dio non si dimentica della sua barca. C’è qualcuno che ci spera, magari, ma invano». Don Renzo Zocca, parroco di Santa Lucia a Pescantina ( Verona), è diventato noto come il prete della Renault 4, quella che ha regalato a Bergoglio e che è diventata un’inconfondibile papamobile in Vaticano. Don Zocca, che ha superato da poco i 70 anni, è un motore di carità. Non “pago” di aver fatto nascere una parrocchia nella periferia operaia di Verona, negli anni 80, di aver creato una grande casa di accoglienza per bisognosi, L’“Oasi Gina ed Enrico”, il nome dei suoi genitori, di aver fondato la Onlus “L’Ancora”, ha lanciato recentemente un progetto per dare lavoro a una decina di giovani come insegnanti di sostegno nelle scuole, pagati con i soldi del 5 per mille. Quando gli chiediamo cosa direbbe in questo momento a papa Francesco – con cui ha celebrato la Messa in Santa Marta il 25 giugno, ultimo episodio di un’amicizia fatta di scambi epistolari e di telefonate – risponde citando un detto veneto: «Muso duro e bareta fracà, ovvero determinati e con il berretto ben calcato in testa. La missione del Papa è grande, quello che sta capitando in questi giorni fa male, ma non deve offuscare né quello che lui sta facendo né quello che la Chiesa fa, anche seguendo il suo esempio. Magari a colazione starà usando il miele che gli abbiamo mandato, l’ha fatto un cinquantenne, uscito da un’esperienza di vita molto dura e dolorosa, che abbiamo accolto nella nostra azienda agricola affindandogli due arnie. Un esempio di reinserimento, di valorizzazione di quelli che il mercato del lavoro considera “scarti”. È questa la bellezza della carità che Francesco ci insegna e che deve risplendere. Se ci sono stati episodi disdicevoli in Vaticano, si faccia ordine, si chieda scusa. Ma sia ben chiaro che la Chiesa è altra cosa». © RIPRODUZIO NE RISERVATA
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