sabato 30 aprile 2016
​L'intervista all'arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l'Italia: da Papa Francesco un esempio profetico
Militari come «ministri» di sicurezza e di pace
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C’è una missione per i cappellani militari. Una missione divenuta ancor più attuale alla luce del magistero di papa Francesco e del clima di «terza guerra mondiale a pezzi». «Il suo insegnamento – dice l’ordinario militare per l’Italia, l’arcivescovo Santo Marcianò – è denso di contenuti e di metodologie ed è anche carico di un tanta preoccupazione per la pace nel mondo. Noi ci sentiamo particolarmente chiamati a questa missione: essere costruttori di pace attraverso la cura pastorale di quei militari che il Concilio stesso ha definito “ministri” della sicurezza e della pace». Con questo spirito, dunque, l’ordinariato si appresta a prendere parte questa mattina all’udienza giubilare con la quale, in piazza San Pietro, Francesco abbraccia la famiglia militare e di polizia. Ci saranno anche rappresentanze degli ordinariati di numerosi Paesi e testimonianze da parte di chi ha salvato vite umane (presenti alcuni dei salvati). Monsignor Marcianò sottolinea: «È un dono, un’opportunità, un invito che accogliamo. Al Papa potremo esprimere, ancora una volta, grande affetto e profonda gratitudine per lo spirito di “parresìa e di profezia” con cui interviene in difesa dei più deboli, soprattutto quando grida la necessità che oggi ha il mondo, e prima di tutto l’Europa, di non ergere muri ma di costruire ponti». Il giubileo della famiglia militare e di polizia ha come tema: «La sua porta è sempre aperta». Che significa applicare la misericordia in tale ambito? Il messaggio della misericordia trova un grande spazio all’interno di questa nostra realtà militare. E l’ho scritto anche nella Lettera pastorale che verrà inviata a tutti i militari proprio in questi giorni. Occorre infatti tener conto che ai militari, assieme alle forze di polizia, sono affidati compiti quali la difesa dei cittadini dalla violenza e dal crimine ma anche il controllo delle illegalità in ambito sociale e finanziario; la protezione dalla criminalità organizzata o dal narcotraffico, come pure dagli abusi su donne e bambini; la lotta contro il traffico di esseri umani e l’indiscriminata devastazione dell’ambiente e del creato. Soprattutto significativo, oggi, il grande compito dell’accoglienza, attraverso la quale i nostri militari salvano tante vite umane di migranti e profughi, cercando alla stesso tempo di non farli sentire stranieri o rifiutati. La misericordia, dunque, si concretizza per noi anche in questi gesti. Come definirebbe oggi il ruolo dei cappellani militari? Un ruolo religioso, ma anche di educatore. Siamo in una cultura che non aiuta la pace, facilitando non solo il diffondersi delle guerre ma anche l’imperare del soggettivismo e dell’autoreferenzialità. La pastorale, oggi, deve tener conto di tale emergenza culturale e perciò credo che l’opera dei cappellani militari, in tal senso, sia meritoria. Si tratta di sacerdoti che condividono la vita dei militari, che abitano con loro nelle caserme, nelle unità operative, nelle missioni estere, in navigazione, in situazioni di difficoltà e rischio. L’opera della Chiesa in tale contesto è di grande importanza per la crescita umana, culturale, spirituale di una classe di militari che si è profondamente trasformata negli ultimi decenni, soprattutto in Italia, mostrando un impegno serio di dedizione che arriva anche al dono della vita. I nostri militari operano anche all’estero. Qual è il bilancio di queste missioni di pace? Gli interventi dei nostri militari nelle missioni internazionali di sostegno alla pace rispondono a quella «responsabilità di proteggere» che l’Onu intende attuare perché la pace sia garantita a tutti. Io stesso ho potuto constatare più volte come queste missioni non siano soltanto un presidio di difesa dalla guerra o dal terrorismo, ma un’opera più complessa nella quale i nostri militari svolgono un importante servizio di promozione umana e culturale, di sostegno alla cooperazione e di formazione delle forze armate e di polizia del luogo. Quest’opera sarebbe utile anche per la Libia? Le missioni di sostegno alla pace devono sempre svolgersi sotto l’egida dell’autorità internazionale competente. Questo, a mio avviso, è il criterio guida anche riguardo la decisione – che è di carattere politico – di un’eventuale presenza dei nostri militari per la Libia: un intervento militare internazionale, in risposta ad una grave emergenza umanitaria, dovrà essere richiesto dal governo locale e autorizzato dalla comunità internazionale.
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