sabato 29 agosto 2015
Nei campi profughi dove sono riparati dopo l'esodo coatto dalla piana di Ninive i cristiani espongono con orgoglio sulla tenda che gli fa da casa la "N" di "nazareni" che a Mosul è marchio d'infamia.
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Una "N" sulle tende. Come «Nazareno». Il segno usato dagli estremisti islamici come marchio d’infamia per segnalare le case degli "infedeli" ora è diventato simbolo di appartenenza. Lo disegnano i rifugiati, i cristiani cacciati dalle zone dell'Iraq dove il sedicente Stato islamico ha preso il sopravvento. Lo racconta don Georges Jahola, sacerdote siro-cattolico della diocesi di Mosul, in questi giorni in Italia, invitato dall'associazione "Angelo custode". Nei campi profughi di Erbil – riferisce l'Osservatore Romano – «dove molti cristiani sono stati costretti a rifugiarsi in fuga da Mosul e Qaraqosh, nessuno ha avuto paura di scrivere nelle tende che li ospitano frasi come "Gesù è luce nel mondo", o la lettera "N" in caratteri arabi che significa nazareno. Non hanno paura di essere scoperti, sono coraggiosi e fieri». Del milione e mezzo di cristiani che l'Iraq contava negli anni '80 oggi sono rimaste solo 350mila persone. Ora, racconta don Jahola, siamo l'1,5 per cento della popolazione. Stiamo per essere eliminati o costretti ad abbandonare la nostra terra» in un clima di diffusa indifferenza «perché i cristiani in Iraq non hanno appoggi», «non sono considerati elementi essenziali nella società». Ma chi è rimasto fedele al Vangelo non si scoraggia, se espatriato o rimasto in patria: «Non c'è motivo per cui un cristiano debba diventare musulmano. Non lo vogliono fare».

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